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35 Settembre 2016
Dossier Insegnanti di Religione e Identità di Genere

Biologia e Gender a confronto

Introduzione

La biologia ci insegna che  le varie specie nel corso dell’evoluzione hanno via via sviluppato varie metodologie atte ad assicurare la riproduzione, che è infine pervenuta alla differenziazione in due sessi e alla gestazione condotta nella femmina, gestazione che nella specie umana poi si è finalizzata ad assicurare alla prole lo sviluppo di un grande cervello attraverso una placenta diversa da tutte le  altre specie animali. Dunque questo tipo di riproduzione è il più evoluto, ma per comprendere appieno la lunga storia e il grande valore di due sessi bisogna andare con ordine, biologicamente parlando.

Dal punto di vista biologico, e così dovrebbe essere anche dal punto di vista sociale, i due sessi comportano pari necessità quindi pari dignità

Questa premessa comporta una precisazione non di poco conto e cioè che dal punto di vista biologico, e così dovrebbe essere anche dal punto di vista sociale, i due sessi comportano pari necessità quindi pari dignità. La dualità di interpretazione della funzione della riproduzione nella nostra specie non dovrebbe mai essere usata per giustificare discriminazione, prevaricazione e sfruttamento di nessuno. Assistiamo invece ancora oggi e in tutte le civiltà a una discriminazione più o meno evidente ma sempre presente nei confronti delle donne tanto che il percorso verso le pari opportunità, ove mai perseguito, pare già quasi accantonato.

Perché gli individui umani hanno un sesso

Per evoluzione si intende la selezione naturale che agisce sulla variabilità individuale e favorisce gli individui più adatti che, meglio adeguandosi e quindi riproducendosi, cambiano nel tempo la discendenza. Essa ci presenta una serie di diversi meccanismi destinati alla riproduzione della vita vegetale e animale che culminano nella riproduzione sessuata. La peculiarità della funzione riproduttiva sessuata è di assicurare all’interno di ogni specie una variabilità tale da esprimere nuove caratteristiche che rendano parte della progenie più adatta a sopravvivere e a riprodursi in un determinato ambiente, attraverso quella particolare divisione che è la meiosi, o dimezzamento del patrimonio cromosomico, e la fecondazione che permette l’unione di gameti di diversi genitori con il ristabilimento del completo patrimonio cromosomico.

Mentre tutte le altre funzioni di un organismo sono su base individuale, la riproduzione sessuata, che si è evoluta come tale al fine di una maggiore adeguatezza (fitness) di specie, richiede due individui di sesso diverso per manifestarsi. Non solo per esplicarsi, ma fondamentalmente per esitare allo scopo di propagazione di specie sempre più evolute, cioè adatte e adattabili (ROBERT RG, 2014). Infatti l’evoluzione del sesso è favorita durante l’adattamento a nuovi ambienti (BECKS L. e AGRAWAL AF., 2012).

Alcune specie inferiori, come alcuni pesci, vengono incanalate reversibilmente verso la funzione maschile o femminile da specifiche pressioni ambientali, quali la temperatura dell’acqua o la densità di popolazione, mentre altre vengono irreversibilmente incanalate, tipicamente attraverso un momento critico dopo la fertilizzazione,  verso un destino sessuale quale maschio o femmina (VALENZUELA N., 2008), attraverso vari tipi di determinazione genetica o anche epigenetica, ad esempio  mediante la presenza di fattori di sviluppo depositati all’interno degli oociti, come in insetti (VERHULST EC. et  al., 2010).  Mentre modificazioni di tipo genetico coinvolgono modificazioni della sequenza dei geni, modificazioni di tipo epigenetico consistono nelle modificazioni di espressione dei geni stessi che non coinvolgono la loro sequenza e che sono ugualmente ereditabili.
L’estrema variabilità di differenziazione della funzione sessuale da specie a specie è ancora più curiosa: deve quindi presentare una precisa valenza evolutiva, dato che i processi di sviluppo di tutte le altre funzioni (respiratoria, escretoria ecc..) sono molto più conservati dal punto di vista evolutivo nelle varie specie.

Perché i sessi sono due

L’evoluzione, che necessita di variabilità e di ereditarietà nel tempo, ha via via dato origine a individui dotati di alleli (geni che occupano lo stesso posto sui cromosomi) che sono benefici nei maschi ma deleteri nelle femmine e ad altri individui dotati di alleli con effetti opposti; la selezione ha poi favorito l’accumulo di questi geni sui cromosomi sessuali. L’evoluzione sembra favorire da questo punto in poi tutti i meccanismi di selezione genetica del sesso, in effetti i cromosomi sessuali sono evolutivamente giovani, dato che rispondono più efficacemente a questi determinanti (SANDER VAN DOORN G., 2014).

Quindi l’evoluzione ha rapidamente condotto alla presenza di due sessi completamente separati negli organismi multicellulari, dato che organismi ermafroditi con gameti dei due sessi con autofertilizzazione vanno incontro a progenie a basso livello di adeguatezza.

L’eteromorfismo dei cromosomi sessuali

I cromosomi sessuali sottostanti alla determinazione di sesso sono via via diventati molto diversi uno dall’altro (eteromorfi). Una volta che i cromosomi sessuali hanno cominciato a diventare eteromorfi, avrebbero potuto esistere maschi XX, femmine XY o individui YY di entrambi i sessi, se la determinazione del sesso fosse stata sottoposta a controllo da parte di altri cromosomi. Questi individui avrebbero avuto ridotta fertilità o maggiore morbilità, inibendo la diffusione dei nuovi geni condizionanti il sesso. L’eteromorfismo dei cromosomi sessuali spiega perché la determinazione del sesso è bloccata nel suo stato attuale negli uccelli e nei mammiferi e non in vertebrati inferiori, dove i cromosomi sessuali sono uguali (omomorfici) e soggetti a rari eventi ricombinanti (MAWARIBUCHI S. et al., 2012).
Comunque in natura sono rari i casi di selezione “debole” del sesso. Potrebbe essere perché una scelta di fondo canalizzata in modo “tutto-o-nulla” è più facile da realizzare, tenendo conto che la decisione di sviluppo innescata dal segnale iniziale di determinazione sessuale deve essere stabilizzato e mantenuto durante tutto lo sviluppo (VALENZUELA N., 2008).
Queste condizioni spiegano perché i sessi sono due e solo due.

Solo due sessi e in conflitto?

Il sesso dell’embrione condiziona fin dall’inizio non solo la sessualità ma la stessa esistenza. Ereditiamo infatti da padre e madre una serie di geni che devono essere obbligatoriamente espressi in modo sesso-specifico, detti geni “imprinted”, pena la morte o una patologia presente già a livello embrionale. Queste obbligatorie modalità di espressione di geni si sono manifestate e sono persistite in quanto hanno un preciso e ineluttabile significato evolutivo e non sono modalità casuali, come invece capita per l’espressione dei restanti geni, condizione questa che serve ad assicurare individui mai identici né ai genitori né ai propri fratelli, cioè la variabilità altamente utile per l’evoluzione delle specie, in particolare quella umana.

Il ruolo dei  geni “imprinted”

In effetti l’embrione, ha possibilità di evolvere e crescere solo se sono soddisfatte alcune condizioni di lettura del DNA del nuovo essere definite dalla lettura degli alleli obbligatoriamente espressi in modo sesso-specifico (“imprinting genomico”). Ad esempio, se HCG (la famosa gonadotropina corionica del test di gravidanza) è espressa solo partire dall’allele materno, e non anche da quello paterno come deve, la gravidanza ha elevata probabilità di esitare in aborto spontaneo (UUSKÜLA L. et al., 2011).

La teoria più nota finora, definita del conflitto genetico, è che questi geni “imprinted” esprimano una specie di interesse contrapposto padre-madre, cioè che il padre abbia interesse nel favorire la crescita somatica della propria prole e la madre nel limitarla, al fine di assicurare la propria sopravvivenza. La presenza di geni “imprinted” con azioni opposte garantirebbe l’equilibrio, in effetti la visione più attuale definisce il conflitto genomico non come conflitto tra interessi opposti ma come interazione di geni che, con azioni opposte e ben integrate, cooperano al progetto riproduttivo (HAIG D., 2014). Ma vi sono anche altre più recenti ipotesi sulla presenza dei geni “imprinted”, quali la teoria del “co-adattamento” madre-feto, che riporterebbe il tutto alla necessità del raggiungimento di un equilibrio nell’invasione del trofoblasto dell’embrione e poi della placenta del feto nell’utero della madre, al fine di assicurare un adeguato sviluppo del cervello del feto senza danneggiare la madre. Non è ancora chiaro dunque quale sia l’origine evolutiva dei geni “imprinted”, anche se si sa bene che è un processo relativamente giovane e noi come specie siamo attualmente testimoni della selezione del meccanismo ottimale (MESSERSCHMIDT DM. et al., 2014), dato che sicuramente la loro espressione ha una forte valenza nell’assicurare l’evoluzione nei mammiferi, in particolare per lo sviluppo della placenta e per la crescita del cervello (SPENCER HG. e WOLF JB., 2014).

Solo due sessi e in parità

Anche se la selezione favorisce un rapporto bilanciato tra i sessi e i meccanismi che determinano il sesso sono in grado di produrre lo stesso numero di maschi e di femmine, il rapporto tra i sessi può ancora deviare nelle popolazioni da quello corretto 1:1 per motivi di conflitto genetico favorente un sesso. Questa distorsione è in grado di determinare controreazioni da parte del sistema che determina il sesso per ristabilire la selettiva proliferazione del sesso in minoranza (KOZIELSKA M. e al., 2010).
Ciò sottolinea quanto evolutivamente parlando sono indispensabili i due sessi.

Ogni essere umano si presenta quindi dalla fecondazione con la sua caratteristica di essere geneticamente sessuato, e in seguito anche epigeneticamente sessuato, anzi addirittura prosegue nel suo sviluppo di embrione e poi feto o muore, con diminuzione in tal caso della fertilità della specie, proprio perché è sessualmente differenziato fin dall’inizio (BERMEJO-ALVAREZ P. et al, 2011). Sappiamo infatti che vengono concepiti molti più embrioni di sesso maschile che femminile, che giungono però alla nascita quasi pari e solo dopo si raggiunge il rapporto 1:1 (PERGAMENT E. et al., 2002).
Il sesso (inteso come complesso di caratteri anatomici e funzionali che distinguono all’interno della stessa specie gli individui maschi dalle femmine) si manifesta attraverso vari passaggi: determinazione sessuale (embrione maschio o femmina), differenziazione sessuale (sviluppo dei genitali esterni ed interni, codifica sessualmente diversa di cellule, tessuti, organi), identità sessuale (percezione di sé come essere di sesso femminile o maschile), orientamento sessuale (preferenza di genere di partner sessuale) e comportamento sessuale (attività sessuale). Dal punto di vista evolutivo il tutto converge in un unico sesso in ogni individuo, ma può divergere per patologie genetiche, impostazioni epigenetiche casuali o indotte da interferenti ed infine, con quale rilevanza non si sa, per esperienze ambientali e sociali.

Il sesso degli embrioni: determinazione sessuale

In condizioni fisiologiche, dal punto di vista della determinazione sessuale, l’embrione si accresce e si sviluppa secondo un piano di organizzazione anatomo-funzionale a questo punto predefinito dalla presenza e dal tipo di cromosomi sessuali, a meno di condizioni patologiche geneticamente o epigeneticamente determinate.

Gli embrioni maschili e femminili già prima dell’impianto in utero differiscono nell’espressione genica, nel metabolismo e nella regolazione epigenetica

Sulla coppia di cromosomi sessuali XX o XY sono situate le informazioni che manifesteranno il sesso del nuovo essere: mentre è sufficiente una X per la manifestazione della vita (con genitali di tipo femminile) sarà indispensabile la presenza di X+Y per la manifestazione della vita e del sesso maschile: la X come codifica della vita, la Y come codifica del dimorfismo sessuale e quindi della possibilità di riproduzione sessuata.

Proprio mentre rapidi e complessi cambi epigenetici (definiti riprogrammazione epigenetica) avvengono, rendendo i primi stadi di sviluppo embrionale a seconda dell’ambiente in cui si vengono a trovare (madre in condizioni fisiologiche o patologiche o anche terreno di coltura più o meno adeguato) particolarmente suscettibili a alterazioni epigenetiche con conseguenze in salute o malattia a breve e a lungo termine (FLEMING TP. et al., 2015), gli embrioni maschili e femminili già prima dell’impianto in utero  differiscono nell’espressione genica, nel metabolismo e nella regolazione epigenetica.
Ad esempio, è più attivo il metabolismo delle proteine in embrioni maschi con maggior e più rapida proliferazione allo stadio di blastocisti, mentre è più elevato il livello trascrizionale  globale in embrioni femmine (KWONG WY. et al, 2000; BERMEJO-ALVAREZ P. et al., 2011). Come dire: più veloci i maschi, più sofisticate le femmine, fin da embrioni.

Il sesso dell’embrione è stato quindi proposto come uno dei maggiori determinanti del tipo e della severità di effetti a lungo termine, compresa la salute o le malattie che trovano origine nella fase pre-impianto dell’embrione stesso (BERMEJO-ALVAREZ P. et al. 2011, LOKE H., 2015) e nella fase dello sviluppo fetale (JONES A. et al., 2008; DAI R. e AHMED  SA., 2014; TARRADE A. et al., 2015).

Inoltre il diverso “imprinting” parentale sui geni X è noto per influenzare il successivo sviluppo cognitivo e sociale; vi è infatti diverso comportamento cognitivo e sociale di femmine con assetto cromosomico comprendente un solo cromosoma X, e non due, dipendente dall’origine materna o paterna dell’unico cromosoma X (DAVIES W. et al., 2005).
Attraverso modificazioni epigenetiche, che comprendono molteplici successivi meccanismi generalmente sinergici ma anche antagonisti, cioè promuoventi lo stesso o l’altro sesso, geni attivati dai cromosomi sessuali influenzano, ben prima degli ormoni sessuali, differentemente da quanto si pensava, anche caratteristiche comportamentali. Gli effetti dei cromosomi sessuali sul fenotipo vanno dalla diversa sensibilità alle varie malattie (cardiovascolari, autoimmuni,…) alle differenze comportamentali, come attitudine all’uso di alcool o droghe, dai comportamenti aggressivi o di cura o a rischio nocivo all’esplorazione, gioco e comportamenti sociali (ARNOLD A. et al., 2012).

Il sesso degli embrioni: differenziazione sessuale

Il gene SRY

La maggior parte dei geni sui cromosomi X e Y non contribuiscono alla differenziazione sessuale anatomica, generalmente questa è determinata in senso maschile dal solo gene SRY. Partecipano alla differenziazione sessuale in senso femminile anche geni “imprinted” del cromosoma X, diversamente a seconda che sia espresso l’allele materno o quello paterno (sempre assente nei maschi). Non molto tempo fa si pensava che il fenotipo sessuale di un individuo dipendesse dalle gonadi e che le cellule somatiche maschili e femminili fossero sessualmente indifferenti e che il dimorfismo sessuale fosse imposto dal tipo di gonadi che si sviluppava e dagli ormoni da queste prodotti. In realtà si pensava questo perché si poteva osservare solo il fenotipo delle gonadi e dei genitali. Con l’avvento delle attuali tecniche citogenetiche, si è visto che è cruciale l’espressione del gene SRY del cromosoma Y, che promuove sviluppo testicolare e sopprime la differenziazione ovarica, mentre geni su XX o cromosomi autosomici inducono sviluppo ovarico e sopprimono quello testicolare. Una volta differenziate, le gonadi secernono ormoni gonadici che a questo punto inducono ulteriori modelli sesso-specifici di sviluppo in tutti i tessuti, in particolare sono stati studiati i genitali interni ed esterni e il cervello.

Il dimorfismo sia genitale che somatico che cerebrale può essere condizionato in vari modi da eventi che interferiscono in vario modo e in vari momenti dello sviluppo dell’embrione, del feto e in seguito del nato, tanto da esitare in patologie varie dello sviluppo sessuale, patologie che ovviamente nulla tolgono alla dignità di una persona, ma pur sempre patologie, intese in senso statistico come deviazione dalla norma con minori competenze evolutive.

Nella specie umana la presenza del gene SRY dà inizio alla differenziazione dei testicoli, che si attua verso la sesta settimana di gravidanza. Quindi gli ormoni sessuali, dalla 7°- 8° settimana di gestazione fin verso la 14°, proseguono la differenziazione sessuale nei tessuti e organi non-gonadici. Se tutto questo processo non procede corretto e coordinato, possono manifestarsi disturbi dello sviluppo sessuale, dai genitali ambigui (1:1000 – 1:4500 neonati a seconda delle casistiche) (OSTRER H., 2014) alla sterilità (molto più comune). Sono ora diagnosticabili anche con complesse tecniche citogenetiche, mentre il lavoro successivo, cioè l’assegnazione del nato a un genere, l’indicazione e il tempo per un eventuale intervento chirurgico, la condivisione con i genitori e il paziente delle informazioni mediche richiede un ampio e prolungato approccio multidisciplinare (HUGUES IA. et al., 2006; ÖÇal G., 2011; SANDBERG DE. et al., 2015). Alcune rare patologie di tal tipo sono ad esempio il deficit congenito della 21-idrossilasi (o iperplasia surrenalica congenita), condizione a rischio di morte neonatale per carenza di ormoni surrenalici, che presenta in individui XX genitali interni regolari e esterni ambigui o maschili con impostazione cerebrale ambigua (BERENBAUM SA., 2012), mentre individui XY con resistenza periferica agli androgeni completa presentano genitali esterni femminili con impostazione cerebrale di tipo femminile (HAMANN S. et al., 2014).
È bene ribadire ulteriormente che la differenziazione sessuale non riguarda solo i genitali, ma anche tutte le cellule somatiche, i tessuti e tutti gli organi.

Il sesso del cervello

Insieme agli altri organi, la differenziazione sessuale del cervello è mediata da diversi tipi di meccanismi epigenetici, che possono essere permanenti in alcuni casi e reversibili in altri. Per la permanente mascolinizzazione del comportamento sessuale, ad esempio, è essenziale, ad opera di ormoni sessuali, una modificazione epigenetica (la deacetilazione degli istoni di selezionate regioni dell’area preoptica) come verificato con esperimenti in topi in fase immediatamente postnatale (MATSUDA KI. et al., 2011), verosimilmente mediato dalla quantità di cure materne ricevute dopo lo sviluppo postnatale (MATSUDA KI. et al., 2012). Tuttavia ancora ben poco si sa, perché lo studio dell’epigenetica è ai suoi inizi, ma tutto suggerisce che siano meccanismi epigenetici a giocare un ruolo centrale nella trascrizione e nel mantenimento del segnale sia ormonale sia sociale che organizza funzioni cerebrali sessualmente differenziate (SHEN EY. et al., 2015).

Come detto, il dosaggio dei cromosomi sessuali (vi sono due XX in femmine e una X in maschi) esercita per tutta la vita una grande influenza e determina differenze sessuali nella programmazione epigenetica in risposta all’ambiente, indipendentemente dall’esposizione a ormoni sessuali (GABORY A. et al., 2009); ad esempio vi è un diverso effetto del testosterone a parità di dose su cervello in feti femmina rispetto a un tipo di modificazione epigenetica (la metilazione del DNA), che è minore in femmine. Gli ormoni sessuali pongono in essere in seguito diversi livelli di manifestazioni di differenze sessuali (dimorfismo sessuale) dal punto di vista funzionale in ogni tipo di tessuto su cui agiscono, compreso il cervello, differenze che sono quindi propagate nella rete locale di geni, presenti sulla X come sugli autosomi, nelle cellule somatiche dei due sessi.

La mascolinizzazione e la femminilizzazione della struttura e delle funzioni del cervello oltre che della sensibilità alle malattie, che è permanente, è indotta epigeneticamente prima della nascita, inizialmente dal gene SRY stesso, che a questo livello agisce infatti come programmatore epigenetico (SEKIDO R., 2014), e solo in seguito dal testosterone, ma non è ancora noto quale siano i percorsi di mediazione di questo e dell’SRY, e le loro possibili alterazioni, sulle modificazioni a lungo termine dell’epigenoma (sommatoria di tutti gli effetti di tipo epigenetico) cerebrale e sulla salute (LOKE H. et al., 2015).
Ciò è stato per ora brillantemente evidenziato da studi sul moscerino della frutta (Drosophila), che hanno dimostrato come la morfologia sessuale e il comportamento sessuale siano geneticamente e epigeneticamente determinati a livello dello sviluppo degli organi e del cervello (SING BN. e SING A., 2016; MEISSNER GW. et al, 2016).

Si sa che l’effetto a breve termine degli ormoni sessuali in epoca fetale sul cervello appare modesto, ma poi da adulti si assiste (in topi da esperimento) a mascolinizzazione di siti cerebrali, che appaiono sessualmente dimorfici, dimostrando quindi attività organizzativa. Vi sono così effetti molecolari a lungo termine dell’esposizione ormonale nella vita prenatale (ZAMBRANO E. et al., 2013; GHAHRAMANI NM et al., 2014). Lo sviluppo sessuale del cervello è dunque canalizzato in feti XX o XY diversamente in risposta a marcatori epigenetici determinati dai cromosomi sessuali, in effetti tali marcatori rinforzano la sensibilità al testosterone in feti XY e la deprimono in feti XX.

L’omosessualità potrebbe derivare in alcuni casi da anomalie di questi marcatori epigenetici, tali da condurre in cascata a modificazioni del dimorfismo sessuale cerebrale e non di quello genitale (RICE WR. et al., 2013). L’orientamento omosessuale del cervello sembra però influenzato in altri casi da fattori genetici e specificativamente da geni presenti in particolari regioni cromosomiche: la regione pericentromerica sul cromosoma 8 e la regione q28 sul cromosoma X (CAMPERIO CIANI A. et al., 2008). Questa condizione però non pare evolutivamente negativa per la specie, in quanto si accompagna a maggior fertilità nelle donne di tali famiglie (IEMMOLA F. e CAMPERIO CIANI A., 2009), anche se il significato evolutivo e i meccanismi genetici ed epigenetici coinvolti sono ancora da chiarire (CAMPERIO-CIANI A. et al., 2015). La conferma di tali dati, precedentemente molto discussi, è stata recentemente ottenuta da un approfondito studio genomico in 908 fratelli omosessuali in 384 famiglie (SANDERS AR. et al., 2015), ma senza l’aiuto delle attuali tecniche di citogenetica la componente genetica dell’omosessualità, a lungo smentita anche a livello scientifico, sarebbe ancora in dubbio.

È comunque la componente epigenetica che generalmente va a modulare gli innumerevoli neuroni e rapporti neuronali che poi definiscono la differenziazione sessuale cerebrale. Questa modulazione, assolutamente non nota nelle sue innumerevoli sfumature, comporta per ogni individuo qualche più o meno lieve percezione e comportamento di tipo maschile se femmina e di tipo femminile se maschio, senza peraltro assolutamente modificare l’impianto generale di manifestazione dell’identità sessuale, come se evolutivamente parlando il maschio assoluto e la femmina assoluta quasi non esistessero. È interessante notare che tali acquisizioni epigenetiche sono in accordo con la teoria filosofica cinese dello Yin e Yang dell’universo, dove ogni cosa possiede al suo interno il germe dell’altra, senza peraltro mai confondersi.

Le differenze di sessuazione cerebrale per i tratti comportamentali esitano in maggior competenza spaziale e di risoluzione di problemi matematici in maschi, mentre le femmine mostrano miglior competenza verbale, di articolazione del pensiero e della memoria verbale. Vi è inoltre differenza di scelta di gioco, più legati al movimento in maschi, e di aggressività, per differenza nei circuiti neuronali di neurotrasmettitori (NGUN TC. et al., 2011). Caratteristiche che differiscono in media tra maschi e femmine includono identità di genere, orientamento sessuale, giochi da bambini, compagni di gioco e attività preferenziali. Alcune di queste caratteristiche sono evidenti già in età infantile.

Si è osservato che nel gioco, vi è un ruolo diverso per sesso di un particolare neurotrasmettitore (vasopressina) nel comportamento sociale, sia durante lo sviluppo che da adulti. Differenti regolazioni di tipo epigenetico di neurotrasmettitori (dopamina, noradrenalina, ossitocina ecc…) nello sviluppo sociale di maschi e femmine possono sottostare alle ben documentate differenze di sesso nell’incidenza, progressione e severità di disturbi del comportamento (PAUL MJ., et al., 2014; SHEN EY., et al., 2014).

Effetti organizzativi cerebrali di ormoni

Il testosterone misurato in epoca perinatale, in presenza di un definito picco verso i tre mesi dalla nascita nei maschi prima del declino fino all’epoca peripuberale, mostra il ruolo preciso dello stesso nella differenziazione umana sessuale neuro-comportamentale. In un serio studio finlandese (veniva dosato il testosterone nelle urine una volta al mese dai 7 giorni di vita ai 6 mesi, la sommatoria totale veniva messa in relazione con l’attività di gioco a 14 mesi) giocare con trenini correla significativamente e positivamente con i livelli di testosterone nelle femmine e giocare con bambole correla significativamente e negativamente con i livelli di testosterone in maschi (LAMMINMÄKI A. et al., 2012).

Questo comportamento di gioco è più in accordo con un diverso assetto delle competenze visuo-spaziali del cervello maschile (WILLIAMS CL. e PLEIL KE., 2008) che con una socializzazione discriminante di genere, come taluni pensano, dato che i livelli di testosterone nello studio finlandese definivano il picco di testosterone a tre mesi dalla nascita nei maschi e dato che questo tipo di comportamento è ugualmente presente nelle scimmie (HASSET JM. e al., 2008).

Il diverso assetto visuo-spaziale del cervello è verosimilmente impostato dal rialzo del testosterone prenatale (TAPP et al., 2011), mentre il rialzo adeguato (né troppo basso né troppo alto) di testosterone postnatale contribuirebbe piuttosto alla preferenza maschile per una socializzazione di gruppo e a caratteristiche temperamentali associate con successivo sviluppo di aggressività (ALEXANDER GM., 2014). Difficile di fronte a queste evidenze scientifiche pensare sempre e solo alla determinante presenza di una socializzazione discriminante di genere condotta dall’esterno, che può senz’altro essere presente più tardi e indirizzata a confermare l’impostazione cerebrale sessuale in accordo con il sesso a livello genitale.

In effetti in bambine sottoposte in utero a elevati livelli di androgeni mostrano modificazioni nei processi correlati con la socializzazione auto-determinata del comportamento di genere femminile, compresa la scelta del gioco. Preferiscono infatti giochi più maschili e in questo peraltro hanno l’accondiscendenza dei genitori, dunque non sono generalmente costrette dall’influenza parentale che sembra piuttosto rinforzare la preferenza autodeterminata (WONG WI. et al. 2013). Gli androgeni prenatali non inducono dunque solo cambi permanenti del cervello in fase di sviluppo, ma cambiano in fase postnatale i processi coinvolti nella socializzazione di genere auto-determinata (HINES M. et al., 2016).

Durante la prima vita postnatale la plasticità neuronale rimane alta e il cervello evolve rapidamente nei primi 12 mesi di vita, dunque è possibile che la finestra temporale in cui il testosterone influenza la differenziazione sessuale umana neuro-comportamentale includa la prima fase postnatale (LAMMINMÄKI A. e al., 2012). In effetti i livelli di testosterone postnatali, esercitando ulteriore influenza organizzativa a livello cerebrale oltre a quella in epoca prenatale, mostrano l’associazione prevista con il successivo comportamento tipico del sesso in questione. Questo appare essere un effetto prodotto da una diversa genesi cellulare postnatale epigeneticamente impostata dal testosterone (MCCARTHY MM., 2011), effetti che potrebbero essere anche patologicamente alterati (ad esempio verso la manifestazione di autismo) in presenza di livelli troppo elevati di testosterone in fase postnatale o in presenza di interferenti endocrini dovuti all’inquinamento (ALEXANDER GM., 2014).
I cromosomi sessuali e gli ormoni prenatali incidono diversamente su diverse aree cerebrali, alcune aree sono sensibili agli steroidi sessuali (il lobo parieto-temporale della corteccia, il nucleo del letto della stria terminalis), mentre altre sono impostate dai cromosomi sessuali (la corteccia cerebellare, il corpo calloso e i bulbi olfattori). L’apprendimento spaziale e la memoria dipendono dagli ormoni sessuali e non appaiono influenzati dai cromosomi sessuali (CORRE C. et al., 2014).

Vi è forte evidenza che l’esposizione ad androgeni durante lo sviluppo prenatale e perinatale risulta in mascolinizzazione delle attività e degli interessi occupazionali. Tale evidenza scientifica è meno forte, ma pur sempre presente, per le abilità spaziali e l’orientamento sessuale, mentre gli androgeni prenatali e perinatali dimostrano un minor effetto sull’identità di genere.
Il rialzo di testosterone postnatale nei maschi condiziona la qualità della successiva erezione ed eiaculazione postpuberale (OTI T. et al., 2016). Gli ormoni sessuali in età puberale in seguito potrebbero influenzare l’identità di genere e forse alcune forme di psicopatologia (quali la dipendenza da droghe) legate al sesso (BERENBAUM SA. e BELTZ AM., 2011) attraverso la modulazione delle influenze già geneticamente determinate (CORLEY RP. et al., 2015). Certamente durante l’adolescenza l’esposizione a crescenti livelli di diversi ormoni sessuali determina maturazione della corteccia cerebrale non solo in senso funzionale, ma anche strutturale (RABINOWICZ T. e al., 2009).
Importante ma non abbastanza riconosciuto è che, mentre vi sono importanti differenze di struttura, non vi sono differenze di competenze cognitive nei due sessi (ESCORIAL S. e al., 2015).

Esperienze sociali

La diversa competenza e attività delle reti neuronali, anche corticali, nei due sessi è ampiamente dimostrata (RABINOWICZ T. et al., 2002; HAN S. et al., 2008; PANASEVICH EA. e TSITSEROSHIN MN., 2015) ed è impostata sia in fase prenatale che postnatale, anche per quanto riguarda il sistema di neuroni specchio coinvolti nella traduzione della percezione in azione, infatti pure la risposta empatica è differente nei due sessi (CHENG YW. et al., 2006; CHENG Y., 2008 e 2009; SCHULTE-RÜTHER M. et al., 2009; YANG CY. et al., 2009).
Quest’ultimo sistema peraltro, come noto, è ampiamente influenzato da esperienze cognitive e affettive (SINGER T. et al., 2004).

È noto che diversi contatti somato-sensoriali (leccare, scaldare) con la madre modificano il comportamento della prole in modo dipendente dal sesso, attraverso modificazioni neuronali epigenetiche, ma tali modificazioni sono sia potenzialmente modificabili che ereditabili (WEAVER IC. et al., 2004; KAPPELER L. e MEANEY MJ., 2010). Ad esempio, il distacco acuto e protratto dalla madre determina in topini maschi in fase adulta un comportamento più aggressivo. Ciò potrebbe essere mediato da effetti sull’asse ipotalamo-ipofisi-gonadico come anche da feromoni (sostanze volatili capaci di interagire con recettori neurosensorali, coinvolti in comportamenti di tipo sessuale): una volta subito un condizionamento epigenetico, date le minori cure materne (l’allattamento, le leccate, il riscaldamento), il testosterone inciderebbe in modo più evidente sulla manifestazione di un comportamento aggressivo adulto. In topi femmine un distacco prolungato dalla madre aumenta successivamente l’aggressività in fase di allattamento (BODENSTEINER KJ. et al., 2012). Invece un distacco meno violento (alcune ore al giorno) altera la secrezione di testosterone peripuberale e esita in minor comportamento sessuale di maschi adulti (TSUDA MC. et al. 2011; BODENSTEINER KJ. et al., 2014).

Vi sono, come noto, in natura manifestazioni di comportamenti di tipo sessuale di sesso opposto a quello anatomico. Quando si determinano, possono anche essere indotte da risposte differenziate a cure parentali diverse, come in caso di nidi affidati alle cure di uccelli di sesso diverso o dello stesso sesso (MACFARLANE GR. et al., 2010) o semplicemente essere un costoso, riproduttivamente parlando, effetto collaterale di una forte motivazione copulatoria (ADKINS-REGAN E., 2014).
In effetti la preferenza di partner (orientamento sessuale) è indipendente dal comportamento sessuale, dato che sono basati su organizzazione di diversi circuiti cerebrali (ADKINS-REGAN E., 2011).
Il contesto sociale riveste grande importanza dato che in alcune specie (uccelli) la scelta di formare coppie femmina-femmina dipende dal rapporto maschi:femmine a favore del sesso femminile, mentre in specie con monopolizzazione della riproduzione da parte dei maschi dominanti l’impossibilità di accoppiarsi con femmine predice una maggiore attività sessuale maschio-maschio. In senso stretto quindi queste non sono necessariamente precise preferenze di genere, ma piuttosto risposte opportunistiche alla mancanza di disponibilità dell’altra opzione, riproduttivamente e quindi evolutivamente preferita.
Peraltro uccelli allevati da coppie di soli maschi presentano minori livelli di mRNA per i recettori dei glucocorticoidi in diverse regioni cerebrali da adulti, rispondono quindi con minor efficienza a condizioni di stress. Questa osservazione evidenzia come una generazione influenza il fenotipo endocrino e il comportamento della generazione successiva attraverso vie diverse dalla trasmissione del DNA (BANERJEE SB. et al., 2012; ADKINS-REGAN E. et al., 2013). Inoltre in questa specie di uccelli molto studiata gli individui in una coppia femmina-femmina potrebbero essere di minor qualità dal punto di vista evolutivo: fanno del loro meglio in una situazione non ottimale per ottenere una fertilizzazione attraverso accoppiamenti al di fuori della coppia e condividono la cura della prole con l’altra partner, il che per la coppia stessa costituisce una opzione migliore che rimanere solo una coppia e non riprodursi per nulla. L’osservazione di tali comportamenti ha fatto pensare che vi sia un grado di plasticità nella selezione della coppia: qualunque sia il meccanismo neuroendocrino della preferenza di partner sessuale, questo è comunque abbastanza plastico o quanto meno non così determinativo in tali tipi di accoppiamenti, riproduttivamente e quindi evolutivamente sfavoriti (ADKINS-REGAN A., 2011).

In un esperimento di esperienza sociale sono stati rimossi i maschi dai nidi, quando i pulcini dei due sessi così allevati sono diventati adulti si sono accoppiati più probabilmente in coppie dello stesso sesso. Non si sa se questo dipende dall’assenza del padre, dall’assenza di maschi adulti come modelli o dal fatto di non vedere coppie maschio-femmina (ADKINS-REGAN E. e KRAKAUER A., 2000). Se invece dai nidi sono rimosse le madri, ma con la possibilità di vedere in altri nidi separati un gruppo di controllo, si verifica un effetto sesso-dipendente: le femmine da adulte si sono accoppiate con maschi, mentre i maschi quasi esclusivamente con maschi. Questi uccelli (Zebra finches) si impostano sessualmente sui tratti del genitore dell’altro sesso e così i maschi nell’esperimento potrebbero avere impostazione sessuale sui loro padri in assenza delle madri.
Una conclusione è che l’esperienza sociale e l’apprendimento sembrano operare di concerto con gli aspetti organizzativi degli ormoni sessuali per definire la preferenza di partner sessuale da adulti (negli uccelli non è ovviamente possibile parlare di orientamento sessuale, ma solo di preferenza). Infine le manipolazioni sperimentali dello sviluppo possono comportare dissociazione tra preferenza del partner sessuale e comportamenti sesso-dipendenti (come il canto) come tra preferenza del partner e accoppiamento, indicando, come già detto, che questi aspetti sono regolati da diversi centri cerebrali neuro-comportamentali (ADKINS-REGAN E., 2011).

Natura o cultura?

Gli scienziati che partono dall’osservazione delle basi biologiche non attribuiscono fondamentale rilevanza alla possibilità che l’esperienza sociale influenzi l’orientamento sessuale (ma il comportamento sessuale certamente sì). Ricerche su animali indicano, come detto, che sono presenti interazioni tra ormoni sessuali prenatali e cure materne dei piccoli o allevamento in gruppi misti o dello stesso sesso.
C’è chi pensa che non si può affermare che non esistano influenze sociali su orientamento sessuale, dato che non sono ancora state studiate adeguatamente nella specie umana (LE VAY S., 2011). Certamente vi possono essere differenze di comportamento e quindi di tendenza a incanalamento di genere verso il maschile o verso femminile da parte delle madri, differenze anche inconsce, ma non è noto in campo umano quanto queste possano derivare da interazioni bidirezionali figlio/a-madre-figlio/a (come nei topi) (che avrebbero basi biologiche) o solo unidirezionali madre/figlio/a (che avrebbero più probabilmente anche basi culturali). C’è chi attribuisce tale incanalamento comportamentale verso un genere (è stato studiato l’incanalamento verso il genere dei genitali esterni) alle modalità con cui la madre, o chi ne ha cura, differentemente tocca e manipola il/la neonato/a, con osservazioni derivate dopo i tre mesi di vita (FAUSTO-STERLING A. et al., 2015) e chi lo ritiene invece derivato dai picchi di testosterone prenatale e postnatale a tre mesi di vita nei maschi (LAMMINMÄKI A. et al., 2012). Quest’ultimo studio ha maggiore spessore di metodologia statistica e scientifica rispetto al primo, ma non lo esclude.

È da rilevare che sovente chi appunta l’attenzione sull’esperienza sociale in campo umano ritenendola superiore quanto a importanza nel determinare l’orientamento sessuale parte da esperienze personali e meno da osservazioni scientificamente valide, ma ai loro studi generalmente si dà vasta eco da parte dei mass-media, che poi possono stravolgere i concetti neanche afferrandoli appieno.

Attenendosi per ora a quanto attentamente studiato in animali e già citato, si è in presenza di impostazioni geneticamente e epigeneticamente predeterminate sul cervello che sottostanno a modulazioni, sovraimposte anche in base all’esperienza sociale, del comportamento sessuale (del comportamento, non è detto dell’orientamento sessuale). Modulazioni che peraltro possono essere reversibili al contrario di quelle predeterminate, il che sottolinea la plasticità di alcune funzioni del cervello a fronte di un substrato strutturale irreversibile.
Sono tutti d’accordo che nella specie umana in particolare il cervello è un organo sociale, che è modulato da interazioni sociali e ci permette di comunicare, formare relazioni stabili e influenzarci a vicenda. Se è l’evoluzione il principio organizzativo, il nostro cervello altamente sociale è stato plasmato dall’evoluzione naturale per consentire la sopravvivenza. La sopravvivenza si è basata sulla cooperazione di gruppi, gruppi che sono diventati sempre più vasti evolvendo ulteriormente le reti neuronali con l’introduzione del linguaggio, di abilità astratte e di maggior flessibilità.
Dunque ancora non sappiamo come esattamente le interazioni genetiche, epigenetiche, ormonali, la regolazione affettiva e di cura nelle relazioni parentali (con le eventuali conseguenti ripercussioni epigenetiche), i fattori cognitivi, le pressioni culturali contribuiscano alla formazione del soggetto e alla manifestazione della sua sessualità, anche se sappiamo che per la grande maggioranza degli individui in tutte le società il tutto è incanalato evolutivamente verso la manifestazione del sesso cromosomico, che generalmente coincide con quello genetico/ epigenetico per quanto riguarda tutte le sue manifestazioni. Non vi sono studi in campo umano che abbiano definito se e quanto una pressione neuronale selettiva, qualunque sia, verso la scelta del partner sessuale sia esclusivamente genetica/epigenetica, come sostengono alcuni (BAO AM. e SWAAB DF., 2011), o se e quanto sia anche acquisita, data la plasticità del cervello postnatale (KAUL C. et al., 2011; FAUSTO-STERLING A., 2012).
L’unica cosa assolutamente sicura è che si tratta di un certo tipo di pressione ben definito evolutivamente. Sono due modalità che peraltro non si escludono a vicenda, in quanto una risposta innata potrebbe essere modellata per quanto riguarda il comportamento sessuale secondo le esperienze e le interferenze (PONSETI J. et al., 2006). Certamente non siamo Drosophile, come tali non possiamo essere studiati, e quindi non sappiamo esattamente ancora quanto l’orientamento e quindi il comportamento sessuale umano sia definito geneticamente e epigeneticamente a livello prenatale e postnatale.

La sfida odierna per gli studi epigenetici in psicologia e psichiatria

Fino a quando non avremo una accurata quantificazione dei contributi relativi dei geni e delle sovraimpressioni epigenetiche ereditabili non avremo adeguata comprensione della divergenza fenotipica e dell’adattamento a ambienti mutevoli, un processo che, sempre dal punto di vista dell’evoluzione, richiede una modulazione che sia stabile dell’espressione dei geni. Determinare come le esperienze e gli stimoli ambientali, compresa la qualità e la quantità delle cure parentali e sociali, influenzi l’espressione dei geni e delle reti neuronali nell’impostare differenze individuali a lungo termine di comportamento, competenze cognitive, personalità e salute mentale costituisce una grande sfida per gli studi epigenetici in psicologia e psichiatria.
Possiamo effettuare esperimenti negli uccelli e nei topi e c’è anche chi non è d’accordo nell’usare animali per esperimenti e vivisezioni, ma oggi si propongono esperimenti sull’educazione in campo umano e in molti sono d’accordo, anche perché sovente non ne capiscono il substrato e la portata. Quindi non possiamo sapere se e quanto un’educazione sociale secondo la teoria del gender possa modellare le generazioni future, cosa auspicata dai proponenti la stessa, ma sicuramente per incidere dovrebbe essere forte e verosimilmente violenta abbastanza da sovrastare le manifestazioni impostate dal genotipo e dal fenotipo in tutto il corso dell’evoluzione, tenendo anche conto che quand’anche essa riuscisse a modulare il cervello omogeneizzando il comportamento sessuale in individui dei due sessi, non omogeneizzerebbe né i genitali né tutti gli organi del corpo, cervello compreso, anche loro sessualmente differenziati in fase prenatale. Con il risultato che, se solo si lascia fare senza imposizioni e/o violenze culturali, la natura riprende il suo corso secondo le insindacabili linee dell’evoluzione.

Gli inquinanti ambientali modificano a livello cerebrale il comportamento sessuale dimorfico nei bambini

A questo riguardo è bene ricordare che interferenti endocrini quali diossina, bifenili (più elevati negli anni ’90), dibenzofurani, ftalati, essendo inquinanti organici persistenti, si sono dimostrati capaci di esercitare danno riproduttivo in ratti attraverso modificazioni di tipo epigenetico (MANIKKAM M. et al., 2012) così come di determinare alterati livelli di estrogeni e testosterone nel sangue cordonale di neonati (CAO Y. et al., 2008) e modificazioni del dimorfismo sessuale comportamentale in bambini, agendo in modo antiandrogenico (diossine e bifenili) sulla normale struttura sessuale del cervello (VREUGDENHIL H. et al., 2002).
Studi più recenti con diverse concentrazioni di interferenti endocrini, misurati nel sangue in gravidanza e quindi nel latte materno, attestano nuovamente che questi influenzano il dimorfismo sessuale comportamentale in età scolare (comportamento nel gioco, scelta dei giocattoli), tanto che concentrazioni crescenti esitano in comportamenti più femminili nei maschi e minor femminilità nelle ragazze, ma anche maggior mascolinità nei maschi e minor mascolinità nelle femmine (WINNEKE G. et al., 2014). Questa contraddizione apparente può riflettere una struttura del dimorfismo sessuale comportamentale relativa a un fattore bi- o a multi-dimensionale piuttosto che a un fattore uni-dimensionale (un semplice continuum) maschio-femmina, ma fornisce lo stesso evidenza del fatto che gli inquinanti ambientali modificano a livello cerebrale il comportamento sessuale dimorfico nei bambini. Tutto ciò attira l’attenzione sulla necessità di altri studi e di attenzione politica e sociale che tenda alla limitazione dell’inquinamento ambientale, considerata l’importanza evolutiva, sempre che tutto sommato non ci sia oggi chi consideri ineluttabile e anche utile l’inquinamento ambientale e che vada anche bene se agisce quale interferente endocrino del comportamento sessuale, purché sia funzionale a scopi economici e socio-politici. In effetti al giorno d’oggi si dischiudono moltissime possibilità di manipolazione sociale per sovrapporsi piuttosto che per amplificare quello che sta scritto nel programma iniziale di sviluppo dell’individuo (DE VRIES GJ. e FORGER NG., 2015).

Un biologo evoluzionista, Dobzhanski, affermò nel 1973 che «nulla nella biologia ha un senso eccetto che alla luce dell’evoluzione». Ciò in questo contesto, ad esempio, significa che il sistema neuronale dei maschi si è evoluto per controllare il comportamento al meglio in un corpo maschile e analogamente nelle femmine (DE VRIES GJ. e SÖDERSTEN P., 2009), proprio come capita nelle Drosophile, cioè che fisiologicamente le differenze sessuali a livello cerebrale sottostanno alle differenze di comportamento e che le prime si sono sviluppate dietro stimolo di cromosomi sessuali e poi di ormoni gonadici prenatali e postnatali, che in cascata influenzano epigeneticamente (come documentato nei topi) o possono influenzare il comportamento di cura della madre e quindi l’ulteriore sviluppo del cervello e il successivo comportamento dell’individuo, come il gioco e le successive interazioni sociali e sessuali.

Tante culture ma una sola natura

In campo umano la cultura certamente modula le espressioni comportamentali e questa è la ricchezza della specie umana, poiché ci sono tante culture, ma una sola natura. Teniamo presente che non solo ci sono i cromosomi sessuali e gli ormoni sessuali, ma anche miliardi di vie e di modi in cui questi esercitano i loro effetti e non solo sul cervello, ma in tutto il corpo, in quanto ogni cellula, tessuto e organo è differenziato per sesso in qualche modo (DE VRIES GJ. e FORGER NG., 2015). Consideriamo però che la sfida per alcuni scienziati oggi è scoprire quali siano tutti i determinanti primari del sesso (non solo i cromosomi sessuali o l’SRY, ma i meccanismi epigenetici in cascata, che danno inizio alle successive modificazioni fenotipiche) per capire cosa fa differenti maschi e femmine ed eventualmente procedere a diminuire o annullare le differenze.
Non sarebbe solo una questione teorica, ma anche di significativo potenziale in medicina. Si sa che l’incidenza e la progressione di molte malattie differisce nei maschi e nelle femmine, cosicché un sesso è protetto da alcune malattie. In alcuni casi la protezione è maggiore di quella offerta da ogni trattamento esistente oggi. Una strategia per migliorare il trattamento delle malattie sarebbe lo sviluppare una migliore conoscenza della regolazione sesso-specifica della fisiologia e della propensione alle malattie, per scoprire potenti meccanismi protettivi che potrebbero costituire lo scopo di nuovi interventi terapeutici (ARNOLD A. e LUSIS AJ., 2012).
Detto così, sembra tutto buono. Ma il vero problema è: come si concilia dal punto di vista dell’evoluzione la tendenza umana attuale a pareggiare e omogeneizzare le differenze sessuali, nell’ipotesi di prevenire danni alla salute sia fisica che psichica, con l’impostazione di una sempre maggiore differenziazione posta in essere dall’evoluzione nel corso di milioni di anni, al fine di ottenere una migliore adeguatezza della specie umana proprio attraverso la riproduzione sessuata?
A questo tipo di riflessione non si dà risposta, almeno per ora, e si cercano piuttosto delle scorciatoie commercialmente appetibili, con la ragione (o pretesto?) della cura delle malattie, al posto di una prospettiva scientifica più aperta e più profonda, che indaghi i percorsi evolutivi.
Il vero problema resta che una scienza priva di rapide ricadute economiche quasi nessuno la finanzia.

Biologia e gender a confronto

Certamente l’uomo, come e più di altri animali, è libero e in grado di spendere la propria creatività sessuale in attività ludico-motorie non finalizzate alla riproduzione, ciò è anche insito nella organizzazione della riproduzione sessuata di animali superiori attraverso la ciclicità dell’estro o del ciclo mestruale della femmina. Peraltro è indubbio che l’esercizio della sessualità ha come fine la riproduzione né più né meno come la funzione respiratoria ha come fine l’ossigenazione, dal punto di vista dell’evoluzione: tutte le funzioni infatti tendono al mantenimento del sistema, cioè alla sopravvivenza come individuo e come specie.

Non c’è una seria riflessione sulle conseguenze biologiche di una dissociazione più o meno completa della funzione riproduttiva dal comportamento sessuale

La funzione riproduttiva dal punto di vista evolutivo è però assolutamente speciale, coinvolge una complessa interazione di tutti i sistemi fisiologici del corpo e della psiche non solo di uno ma di due individui, ed è fondamentale non solo per la salute dell’individuo, ma anche e soprattutto per la salute delle future generazioni.
Non si è ancora fatta una seria riflessione sulle conseguenze biologiche di una dissociazione più o meno completa della funzione riproduttiva dal comportamento sessuale, pure mutevole nel tempo, come proposto dai promotori della teoria del gender, intesa come assenza dell’interferenza sociale attuale sulla manifestazione del sesso, che dovrebbe essere libero di espandersi in ogni direzione e in ogni tempo nella sua componente ludica.
Infatti normalmente si appunta l’attenzione sul comportamento sessuale individuale, che viene auspicato libero da ogni condizionamento come se solo questo costituisse il valore da difendere, e molto meno, se non per nulla, sull’aspetto riproduttivo della società futura, come se tale funzione fosse assolutamente e sempre scindibile individualmente, socialmente ed evolutivamente poi non costituisse un valore.
Ogni cellula, ogni organo ha il suo sesso costitutivo fin dall’origine dell’embrione. Questo, come visto, plasma e informa ogni comportamento in cascata, certamente con diverse modalità e sfumature per ogni individuo e con possibilità plastiche di modulazione e rimodulazione anche dopo la nascita per i caratteri epigeneticamente modulabili.
Questo sesso ha un fine evolutivo, di questo non si può dubitare, esattamente lungo le vie in cui si è manifestato finora, costituendo la sostanza biologica ed antropologica della parità uomo-donna.

L’unico cambiamento possibile e ora da perseguire è il raggiungimento sociale di pari dignità alle donne, cosa che viene trascurata dall’ideologia del gender, apparentemente perché superato come problema, in realtà perché considerato etico il loro sfruttamento in cambio di soldi e di una piccola fetta di potere.

L’ideologia del gender non ha nulla a che vedere con l’omosessualità maschile e femminile o con la transessualità

Teniamo presente che l’ideologia del gender non ha nulla a che vedere con l’omosessualità maschile e femminile o con la transessualità, ha semplicemente sfruttato queste condizioni come trampolino di lancio per attribuirsi patente di moralità in quanto promotrice di tutela di diritti. Se veramente fosse promotrice di diritti per tutti, promuoverebbe anche i diritti delle donne e non il loro sfruttamento commerciale. È possibile invece che sia piuttosto una teoria del genere “panem e circenses” che sotto la teoria dei diritti (una volta il pane, ora junk-food o cibo spazzatura, alcoolici o droghe nei paesi dove c’è già il pane) fornisca la promessa del soddisfacimento immediato dei piaceri (emozioni forti, una volta i circenses ora sesso al solo fine del piacere) in modo di avere compiacenti sudditi-consumatori sfruttando la mancanza di mezzi culturali e scientifici e/o di semplice buon senso (anche questa competenza evolutiva). Sarebbe bene ricordare che l’omosessualità è stata ingiustamente discriminata e vessata in molti contesti sociali, ma non in tutti e non sempre, mentre le donne (la metà della popolazione) sono state da sempre e in ogni contesto e ancora oggi discriminate, vessate e sfruttate.

Inoltre la tutela dei diritti dovrebbe essere sacrosanta per tutti, e doppiamente per coloro che sono stati considerati dei diversi, ma per tutti i diversi, non per qualcuno sì e qualche altro evolutivamente svantaggiato no, ad esempio si può citare il diverso atteggiamento (questo sì proprio diverso a livello culturale e tanto più nelle società che più affermano di tutelare i diritti) rivolto alle persone con patologie congenite, ad esempio le persone Down. Di queste non vengono tutelati i diritti, semplicemente sono, con buona pace di molti e senza paladini se non i genitori che li amano nella loro diversità, commiserate e emarginate, quando non eliminate. Sembrerebbe inutile a questo punto ribadire qui il rispetto e la dignità di ogni essere umano, oltre che la difesa della sua libertà di espressione, quando questa però non confligga con la libertà di espressione, di vita e di salute altrui, ma forse è utile per non creare fraintendimenti.
A tutt’oggi infatti abbiamo già chiari esempi che, ove questa dissociazione completa tra attività sessuale e riproduzione ha luogo, il tutto esita sempre in mercificazione e sfruttamento, in particolare di sfruttamento del sesso più “debole”, che diventerebbe in futuro sempre più debole, competitivamente e fisicamente parlando, cioè quello delle donne, e in cascata la condizione dei bambini.
Si possono oggi citare gli esempi di attribuzione di genitorialità a genitori omosessuali, quando la gravidanza è ottenuta con tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita prelevando gli oociti, con rischio per la sua salute a breve e a lungo termine, compreso il rischio non banale di cancro alle ovaie (KESSOUS R. et al., 2016) a una donna detta “donatrice” scelta per caratteristiche fisiche considerate positive (bella, intelligente) e più o meno retribuita per il disturbo, senza mettere nel conto i rischi a lungo termine sia fisici che psicologici, e l’embrione successivamente impiantato in una seconda donna, scelta per la buona salute fisica (non serve sia bella e neanche intelligente), sempre più o meno retribuita per il suo disturbo, sempre senza mettere nel conto i rischi per la sua salute a breve e lungo termine e anche i rischi del bambino, sia fisici che psicologici. I rischi per i bambini in parte attengono a tali pratiche per il trapianto di tipo alloimmune che comportano (le cellule del feto sono completamente diverse dalle cellule della gestante) (ADAMS DH. et al., 2015), e in parte sottostanno a tutta la Procreazione Medicalmente Assistita, soprattutto per quanto riguarda le modificazioni epigenetiche embrionali con conseguente alterazione della salute delle generazioni future (KAMPUIS EI. et al., 2014).

Non vi è adeguato monitoraggio scientifico sotto il profilo della salute delle cosiddette donatrici (di oociti e di utero)

Pur essendo questi tipi di genitorialità sempre più presenti nel mondo, sempre sotto la foglia di fico dell’amore dato che non è considerato politicamente corretto parlare di sfruttamento, di interessi economici o di conflitto di interessi, non vi è adeguato monitoraggio scientifico sotto il profilo della salute delle cosiddette donatrici (di oociti e di utero). Se si espandesse ulteriormente il ricorso a tali pratiche (come capiterà), le donne più deprivate economicamente ne farebbero (come già capita ora) le spese, mentre la donazione per “solidarietà” quanto meno necessiterebbe della dimostrazione dell’assenza di rischi per le donne, assenza di rischio non attestata da nessuno (ALBERTA HB. et al., 2014; WOODRIFF M. et al., 2014).
Si potrebbe, come in un film di fantascienza, arrivare ad ipotizzare un futuro in cui le donne (verosimilmente le più belle, le altre sarebbero meno funzionali) serviranno solo da giovani come stabulario di oociti e uteri, saranno sempre di meno (perché selezionate prima della nascita, proprio come ora) perché utili solo quali riserva di oociti e uteri e gli embrioni, destinati a diventare bambini, saranno oggetti per esperimenti scientifici di mutazioni genetiche ed epigenetiche indotte, in attesa magari degli uteri artificiali. Speriamo di vederlo solo nei film, anche perché tutta la biologia e l’epigenetica attuale sta lì a dimostrare quanto sia incompatibile con l’evoluzione umana un tale progetto, perché limiterebbe drammaticamente la biodiversità, a meno di non volerci estinguere proprio come le tigri della Tasmania (MENZIES BR. et al., 2012).

La storia dell’umanità e delle civiltà finora ha proseguito con alti e bassi nel concedere rispetto alla dignità di ogni essere umano e nel promuovere il ruolo, spesso sacrificato, delle donne. Questo fino allo scorso secolo, quando pure in seguito alle istanze sociali e allo spirito di solidarietà di movimenti sociali e politici ai lavoratori è stato riconosciuto il rispetto dei loro diritti, alle donne è stato concesso il voto e considerata reato la prostituzione e ai bambini è stato garantito il diritto allo studio. Oggi ci siamo dimenticati che l’uomo è animale sociale e rompendo le reti sociali ci si occupa solo dell’individuo, molto più utile da sfruttare come consumatore. Definitivamente seppellita ogni istanza sociale, è curioso, ad esempio, che oggi venga ancora considerato come prostituzione e perseguito per legge il mettere a disposizione dietro pagamento la propria vagina e come “protettori” coloro che lucrano su tale commercio, mentre non è considerato reato il mettere a disposizione dietro pagamento i propri oociti e/o il proprio utero e per analogia “protettori” coloro che lucrano su tale commercio.

Se siamo capaci di guardare la biologia con gli occhi della scienza, ritroviamo che i sessi sono due e solo due perché il loro fine è l’evoluzione attraverso la riproduzione

Se la teoria del gender tende a smantellare ogni differenza, promuovere l’equivalenza di ogni espressione sessuale, esaltare l’indeterminato e il costantemente mutevole nella ricerca del piacere e della felicità (come se fosse possibile garantirla in tal modo), quale soluzione offre al problema della riproduzione non solo a livello individuale, ma a livello sociale? Non ne abbiamo sentito parlare in modo razionale, questo aspetto è curiosamente trascurato. Comunque la soluzione ipotizzabile si basa su tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita, il che non potrebbe fare a meno di reintegrare il dualismo maschio-femmina, ma con un procedimento più pesante, poco salutare, per niente ecologico ma socialmente approvato di sfruttamento delle donne, che sarebbero pagate per essere svuotate della loro psiche, così come si è evoluta. Se siamo capaci di guardare il nostro substrato biologico, il corpo, con rispetto per la natura possiamo creare meravigliose relazioni appaganti per tutti i sensi, rispettose dell’altro e competenti a dare la vita. Si ricompone così nell’unità la dualità volta al suo fine evolutivo ultimo. Se siamo capaci di guardare la biologia con gli occhi della scienza, ritroviamo che i sessi sono due e solo due perché il loro fine è l’evoluzione attraverso la riproduzione.
Se guardiamo alla biologia con gli occhi dell’ideologia, i sessi possono essere 5 o 50 o più, ma parcellizziamo con costruzioni mentali la semplicità della vita, senza nulla aggiungere alla felicità dell’umanità tutta.
Se guardiamo a tutta la storia dell’umanità, scopriamo che si può passare dal piacere come dal dolore di oggi alla gioia di domani, solo se realizziamo tutto noi stessi al di fuori di dinamiche di potere e di soldi.
Se costruiamo nuove antropologie, senza rispetto per la biologia e i suoi ancora infiniti misteri, se la preferenza sessuale di partner fosse impostata nella specie umana come negli esperimenti sociali in uccelli su descritti, se l’educazione dei bimbi passasse attraverso lo scambio dei generi con la ragione dell’accettazione del diverso, potremmo avere manipolazioni sociali del cervello con esito in ruoli di genere sessuale magari indefiniti e/o mutevoli con il dovere del piacere, ma non vi è chi potrebbe astenersi dal rilevare che tali manipolazioni sociali sarebbero più violente di taluni condizionamenti sociali attuali (negli esperimenti gli uccelli sono stati chiusi in gabbie e deprivati del proprio rapporto parentale), dato che dovrebbero sovrastare i condizionamenti instaurati dal genoma e dall’epigenoma, che sono assolutamente in linea con tutto il corso dell’evoluzione.
La diversità è semplicemente insita nella natura e per l’accettazione del diverso nella sua dignità non sono necessarie diversificazioni della norma sociale (la Carta del bambino, la Carta della donna, la Carta del portatore di handicap….), è sufficiente una sola norma: siamo tutti diversi in biologia, ognuno con le sue diverse competenze, e uguali in dignità umana.

Vogliamo arrivare alla fine del processo evolutivo e provare a sostituirlo con altri processi? Dovremmo aver capito dalla conoscenza lungamente perseguita che l’evoluzione ha una sola direzione con intorno molti vicoli ciechi e che dovremmo camminare in quella direzione senza perderci nei labirinti delle scorciatoie.
Questo dovrebbe essere il fine della scienza. Sarebbe bello che ciò fosse chiaro a tutti gli amanti della natura e della libertà, agli ecologisti, a quelli che combattono l’inquinamento, a quelli che vogliono tutelare l’ambiente, la terra e tutti i viventi, senza usare mai violenza ad alcuno.


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© Bioetica News Torino, Agosto 2016 - Riproduzione Vietata