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Da Aristotele ad Einstein: quando la scienza interroga l’uomo Rubrica Scienze e Filosofia a cura di Valter Danna

29 Gennaio 2018

Pubblichiamo gli articoli del professor Valter DANNA, docente di Filosofia Teoretica alla Facoltà Teologica di Torino, usciti sul settimanale diocesano «La Voce e il Tempo» che riguardano le implicazioni tra lo sviluppo del sapere scientifico sul mondo della natura e la visione dell’essere umano.

Da Aristotele ad Einstein: quando la scienza interroga l’uomo di Valter Danna, «La Voce e il Tempo», 21 gennaio 2018, pp. 12-13.

L’uomo occidentale, a partire dal mondo greco del VI secolo, si è lasciato guidare dal puro, distaccato e illimitato desiderio di conoscere e ha dato origine al sapere filosofico con cui da allora è alla ricerca di una comprensione sempre più piena del mondo e dell’uomo stesso. In questa serie di articoli cercheremo di evidenziare alcune implicazioni tra lo sviluppo del sapere scientifico sul mondo della natura e la visione dell’uomo. Naturalmente quando parliamo di «scienze» intendiamo cose molto diverse tra loro a seconda dell’epoca storica a cui ci riferiamo. Anche se il nostro focus saranno soprattutto le scienze moderne, tuttavia, la comprensione degli sviluppi scientifici degli ultimi quattro o cinque secoli risulterà più chiara se terremo presente la concezione antica e medioevale di scienza. In questo primo articolo ci soffermiamo solo su di essa.

La filosofia greca

Il sorgere della filosofia e dei saperi ad essa collegati è alla base della nozione classica di cultura greco-latina, intesa anzitutto come educazione dell’uomo (paideia, humanitas) nella sua forma perfetta, e poi come complesso di concezioni e regole definitive e normative. È una visione delle cose che sorge dalla concezione greca del sapere intesa come «scienza» (episteme), fondata sulla conoscenza vera delle caratteristiche universali e necessarie delle cose, cioè delle idee (Platone) o delle forme (Aristotele). Una definizione nota del sapere scientifico è: «conoscenza certa delle cose attraverso le loro cause», dove le cose sono definite dalle varie  categorie aristoteliche (sostanza e accidenti) e le cause sono di quattro tipi: materia, forma, agente e fine. Ogni cosa in natura è costituita da materia e forma, mentre l’agente fa sì che la forma si unisca alla materia per il raggiungimento della perfezione della cosa che  ne è il suo fine intrinseco. Da queste premesse metafisiche derivano un insieme di scienze connesse e gerarchizzate in base ai diversi generi e specie di cose.

Aristotele e dintorni

Nella sua «Metafisica» Aristotele ordina e suddivide le scienze in tre ambiti definiti da un loro specifico fine. Al livello più basso ci sono le scienze poietiche fondate sul fare/costruire (poiein) dei prodotti utili alla vita e alla convivenza, ad esempio l’agronomia, l’ingegneria, le varie tecniche e arti. In secondo luogo, ci sono le scienze pratiche che riguardano specificamente l’agire umano (prassein, da cui la parola prassi) in vista di realizzare il bene: l’etica, l’economia, la politica. Infine, al livello più alto, si pongono le scienze teoretiche (da theorein, vedere, contemplare) che riguardano il soddisfacimento del puro desiderio intellettuale  della conoscenza, l’eros della mente. Questi ultimi saperi, a loro volta, si suddividono su tre gradi sempre più astratti e universali.

Al primo grado si astrae dalla materia individuale delle singole cose o fenomeni per studiare la natura del cosmo (il mondo ordinato), la vita in tutte le sue forme fino ad arrivare all’uomo: questo sapere è stato chiamato filosofia della natura, lo studio e la comprensione del continuo divenire delle cose sia inanimate sia animate (vegetali, animali, uomini), cioè la ricerca della spiegazione dei diversi tipi di cambiamento: moto, accrescimento e diminuzione, cambiamenti qualitativi, generazione  corruzione.
Un secondo grado di astrazione è quello della matematica che, astraendo anche dal mutamento delle cose, le studia nel loro aspetto quantitativo secondo i numeri e le figure nello spazio tridimensionale: tutti abbiamo studiato la geometria di Euclide che descrive lo spazio attraverso tre dimensioni partendo da una serie di definizioni e postulati (tra cui quello delle rette parallele per cui da un punto esterno a una retta passa una e una sola retta ad essa parallela).
Infine, al terzo e più alto grado di astrazione troviamo la riflessione su ciò che accomuna tutte le cose e cioè la loro condizione di essenti (o enti). Questa è per Aristotele la filosofia prima, chiamata in seguito da un suo discepolo (Andronico da Rodi) metafisica, la forma più alta di pensiero perché studia l’essere di tutte le cose nelle loro cause ultime ed è a questo livello che Aristotele, domandandosi la causa dell’eterno divenire del mondo (alternanza del giorno e della notte, delle stagioni e dei cicli di vita), giunge ad affermare che esiste un motore Immobile (cioè sempre uguale a se stesso perché (perfettamente compiuto), Intelligenza che pensa se stessa, cioè il Dio che sta a fondamento metafisico del mondo naturale e che non ha nulla a che vedere con gli dei della tradizione religiosa greca.

Non esiste nessun Creatore

Ho esemplificato attraverso la filosofia aristotelica perché si tratta di un pensiero sistematico particolarmente chiaro e coerente, anche se non l’unico: dovremmo ricordare il ruolo critico dei Sofisti, il pensiero di Socrate e del suo discepolo Platone, la visione razionalistica degli stoici insieme alle loro prospettive etiche o a quelli degli epicurei e degli scettici fino a giungere alla metafisica neoplatonica. L’importante è però comprendere che questa «cultura classica» ha prodotto una ben definita concezione del mondo a partire dalla convinzione che essi non sono stati creati da nessuno, ma esistono da sempre secondo un processo ciclico in cui tutto si trasforma: nasce o si forma, permane per un certo tempo nell’essere e poi si corrompe o muore. Il concetto  di creazione fu del tutto estraneo al mondo greco. Sarà la religione e la teologia giudaico-cristiana a introdurlo nel quadro culturale del tempo con delle conseguenze di non poco conto.

La cultura classica parla dell’uomo in termini di natura o essenza che rimane invariabile, in quanto è un’astrazione teoretica che soggiace alle diverse caratteristiche particolari dei singoli. In questo schema culturale, che poi si cristallizza nel «classicismo», non si sente l’esigenza di cambiare forme, strutture e metodi, poiché ogni cambiamento avviene nel concreto che in questa mentalità è trascurato. tutto ciò rientra nell’ideale classico/classicistico di «cultura», che ha normato per molti secoli l’ideale pedagogico e filosofico di «uomo nell’Occidente».

La Terra e il Cielo

Circa il cosmo, i greci lo hanno pensato in due parti. Il mondo sub-lunare (la Terra) è la parte cosmica in cui tutto è soggetto al continuo cambiamento. Il Cielo è invece la parte incorruttibile ed eterna del cosmo, costituita dalla sola  «quintessenza» che è diversa dai quattro elementi di base (terra, acqua, aria e fuoco) di cui sono composte tutte le cose della Terra attraverso la combinazione delle coppie di proprietà contrarie (caldo/freddo, secco/umido, duro/molle). Il Cielo, composto dal Sole e dalle Stelle fisse incastonate in sfere rigide, si muove di moto circolare intorno alla Terra e proprio tale rotazione determina l’alternarsi del giorno e della notte e dei cicli stagionali, determinando così il tempo secondo ritmi ciclici. Anche la nozione completamente nuova di un «tempo lineare», che progredisce e non si ripete sempre uguale, giungerà dal mondo giudeo-cristiano con l’idea che il tempo ha un inizio con l’atto creativo di Dio e una fine determinata dal compimento di tutte le cose e degli uomini in Dio.

Anima e corpo

Sempre nel carnet della cultura classica, anche l’uomo risponde a una precisa definizione. Egli è un «animale ragionevole e politico», composto di anima (immortale per alcuni) e di corpo, dotato di capacità operative (capacità locomotive, sensitive, intelligenza, volontà ecc.) e bisognoso di acquisire abilità operative (habitus, virtù), libero e responsabile nelle sue decisioni, sottomesso a una legge naturale immutabile che, con il mutare del tempo, va integrata con leggi positive. Questa visione non tiene conto delle componenti storiche e individuali degli esseri umani, perché si concentra sugli elementi universali e necessari che caratterizzano l’essenza «uomo». Inoltre, anche l’uomo, come il resto della natura/cosmo, è sottoposto a una rigida legge di necessità (ananche) cui non ci si può sottrarre. Perciò gli stoici diranno che il saggio è colui che «sopporta e si astiene» da ogni passione legata al divenire e alla paura della morte, per riconoscere e accettare la legge universale della Ragione che regge il cosmo.

Aspettando San Tommaso

Durante il Medioevo il patrimonio della cultura classica verrà approfondito e integrato con la novità cristiana, non senza polemiche e rotture iniziali rispetto al mondo pagano. Mentre l’ideale greco era riservato a pochi (aristocratico), posto entro l’orizzonte mondano (naturalismo) e puramente conoscitivo (una contemplazione che disprezzava ogni attività utilitaria e manuale), nell’epoca, pur rimanendo aristocratica e contemplativa, trasforma l’ideale naturalistico in un ideale ultramondano (preparazione alla vita eterna) e a questo scopo la filosofia diviene uno strumento (ancilla) seppure nobile della regina dei saperi, la teologia. Pensiamo alla grande novità apportata dal Doctor Communis Tommaso d’Aquino, comunemente ritenuto il baluardo della «tradizione cristiana». In realtà san Tommaso, contro le consuetudini del tempo, introduce nel suo insegnamento la filosofia del pagano Aristotele, sfidando la tradizione agostiniano-platonica che allora imperava, e compie così una delle migliori sintesi armoniche (forse l’unica) tra il sapere che proviene dalla fede cristiana (teologia) e quello che deriva dalla cultura classica nella mediazione aristotelica rivista alla luce della fede. Il suo pensiero fu grandemente innovativo, furono i suoi discepoli a irrigidirlo in un sistema compiuto e statico.
La grandezza del pensiero tomasiano fu, invece, quella di aver utilizzato un metodo di ricerca fondato sull’importanza di formulare domande pertinenti e sulla continua rivedibilità dei risultati concettuali, a differenza della visione di Duns Scoto, che purtroppo prevalse, che dava più importanza ai concetti elaborati che al processo intellettuale conscio della comprensione che sta alla loro base.

Accanto a questa grande sintesi, che l’Aquinate imparò a costruire alla scuola del suo maestro Alberto Magno, non mancò un grande fermento di ricerca anche nel campo naturale che fu la base della futura scienza moderna.


 

Prosegue.  Valter Danna,  Le scienze della modernità: l’uomo come pura materia,  «La Voce e il Tempo, 28 gennaio 2018, p18.

 

(aggiornamento 7 febbraio 2018)
Valter DannaDocente di Filosofia Teoretica
Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale - sezione parallela di Torino