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Di “affidamento preadottivo” e di adottabilità del “concepito” si parla nel recente ddl

28 Marzo 2019

Una donna può decidere, per diversi motivi, di dare alla luce un neonato, in massima riservatezza e in anonimato, presso una struttura ospedaliera. Non lasciata sola e non giudicata, sa che può fargli, con gesto pieno di amore, continuare quella  vita “preziosa”, che ha custodito in grembo, presso una famiglia attraverso l’adozione, lasciandolo in ospedale e aprendo la procedura di adottabilità tramite il Tribunale dei minori.

Per salvaguardare il valore della vita umana del nascituro e offrire al contempo una possibilità in più alla donna, nella prevenzione dell’aborto, è stata presentata un’iniziativa di legge che prevede alla donna di poter scegliere, in alternativa all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), prevista dalla legge 194/1978, di ottenere l’adottabilità del “concepito”.  Presentata alla Camera il 14  ottobre scorso e di recente assegnata,  il 15 marzo,  alle Commissioni di Giustizia e Affari sociali, porta la firma di Stefani della Lega e di altri 47 deputati.

Articolata in sette punti, il progetto «Disposizioni in materia di adozione del concepito», tema che  richiama l’iniziativa del 2017 proposta dai deputati Mario Sberna e Gian Luigi Gigli nella precedente legislatura e non più ripresa in Parlamento,  come  afferma Marco Griffini, presidente dell’Associazione Amici dei bambini (Aibi) – nella nota di Agensir del 26 marzo – allora curata, rispettivamente  dall’attuale presidente della Associazione famiglie numerose e dal già presidente del Movimento per la Vita: «…Sosterremo il cammino di questo nuovo disegno di legge di Stefani e faremo avere i nostri suggerimenti pe migliorare il testo, prevedendo anche l’intervento delle forze sociali (associazioni) che da anni offrono sostegno, accoglienza e informazione alle gestanti in situazioni di fragilità».

Prevenzione dell’aborto e  maggiore accesso all’adozione nazionale  sono i due obiettivi del nuovo progetto.  Infatti viene precisato  che  «le misure proposte non costituiscono forme di riduzione della possibilità di accedere alle disposizioni della legge n. 194 del 1978, ma rappresentano esclusivamente forme alternative all’IVG liberamente utilizzabili dalla donna; permettono un’efficace azione di prevenzione dell’aborto; garantiscono una più ampia possibilità di accesso all’adozione». È subito espresso negli artt. 1 e 2 che  sancisce la possibilità  secondo i casi  previsti dalla legge 194 del 1978 che norma la tutela della maternità e l’interruzione volontaria di gravidanza, per la donna, di poter procedere in alternativa all’adozione del concepito. Quindi  entro i 90 giorni quando «il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito» (rif. legge 194 e art. 1 progetto di legge (d’ora in poi ddl)  e dopo i 90 giorni  quando «quando siano accertate patologie a carico del feto, tra le quali rilevanti  anomalie o malformazioni, che determinino un grave pericolo per la salute psichico-fisica  della donna» (art. 1, c.2  ddl).

In virtù della tutela della maternità, come per la legge 194, l’art. 2 del ddl prevede che sia il consultorio, la struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia a informare la donna ed eventualmente il padre del concepito, se ella lo desidera,  su tale alternativa, tra «le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza» come cita già l’art. 5 della L.  194.  Tale  comunicazione deve avvenire per iscritto e deve essere  obbligatoria (art.2, ddl).  Nella premessa del ddl si cita il ruolo rilevante della collaborazione del volontariato con i consultori informando  «la donna sulle possibili alternative all’aborto (adozione in anonimato, aiuti economici, assistenza psicologica, ricerca di un lavoro».  Viene così ribadita l’importanza del ruolo del consultorio, oltre che della struttura socio sanitaria, come già è specificato nell’art. 5 della 194, che diventano, soprattutto quando la richiesta di IVG scaturisce da condizioni economiche o sociali o familiari che vengono ad incidere  sulla salute della gestante,  anche luoghi di informazione sia sull’IVG che sull’accompagnamento della donna in gravidanza,  di  «promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto». Infatti sarebbe poi possibile lì avviare la procedura di adottabilità del concepito presso il Tribunale per i minori.

È il Tribunale peri i minori del luogo in cui ha residenza la madre o del territorio in cui si è rivolta al consultorio o alla struttura socio-sanitaria  a garantire l’adozione con un decreto.  La donna può però valersi fino al momento della nascita e nei sette giorni successivi della possibilità di ripensarci  e ritirare il proprio consenso all’adozione anche qualora fosse  già stata individuata la coppia affidataria dal Tribunale.

Riguardo all’adozione, l’art. 6 precisa che le famiglie che desiderano adottare il concepito devono essere disposte ad accogliere anomalie o malformazioni. La loro domanda ha una validità di cinque anni ed è rinnovabile.  Il Tribunale ha tempo 120 giorni dalla domanda per fare le opportune verifiche prevista dalla legge sull’adozione dei minori, L. 184 del 1983,  individuare le coppie ritenute idonee a «ricevere in affidamento preadottivo il concepito entro 7 giorni dalla nascita», e  ordinare «l’affidamento preadottivo» ad una coppia  entro sette giorni dalla nascita.  La scelta dei coniugi tiene conto della loro residenza che non deve essere lontana, oltre i 500 km, dal luogo di nascita del concepito.
L’art. 7 facilita la modalità di adozione: dopo i due anni di affidamento, prorogabili eventualmente con altri due anni, e superato il controllo e sentiti i diversi pareri,  si può passare all’adozione «senza altra formalità di procedura».  Tuttavia occorre il parere dei figli degli affidatari, se vi siano.  È prevista la possibilità di adozione anche qualora uno dei coniugi morisse o si trovasse in condizioni di incapacità durante l’affidamento, su richiesta del coniuge vivente, altresì nel caso di separazione, nei confronti di uno solo coniuge, sempre che lo desideri.

Nell’evitare ogni forma di intendimento nel dar il via al consenso alla maternità surrogata, vietata in Italia,  viene chiarito nella premessa che «la scelta del tribunale per i minorenni preclude ogni possibile forma di “commercio” tra la madre naturale e la coppia».  E riguardo alle spese legate all’assistenza ospedaliera per il parto afferma che l’aumento  «è poi compensato dal risparmio legato alla corrispondente diminuzione di accesso alle strutture sanitarie per l’intervento abortivo».

(Aggiornamento 29 marzo 2019)
Redazione Bioetica News Torino