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9 Maggio 2013
Supplemento In tempo di crisi... Sanità tra territorio e ospedali

In tempo di crisi… Sanità tra territorio ed ospedale

Dottore Aldo Mozzone

La crisi economica che investe il mondo occidentale in questi anni pesa in modo importante sui sistemi socio-sanitari e sui livelli di salute. In particolare si assiste a continui interventi da parte degli amministratori di riduzioni della spesa per fronteggiare la scarsità delle risorse. E soprattutto assistiamo ad un accentuarsi delle diseguaglianze nell’accesso alle prestazioni con la penalizzazione di chi è meno dotato economicamente e per questo motivo già patisce maggiormente la crisi.
Concentriamoci sul nostro Paese. Questa difficile e complessa situazione ci impone alcune domande, la risposta alle quali può contribuire a vedere luce in fondo al tunnel.

In Italia la tutela della salute ha effettivamente un costo esagerato?
– L’efficacia e l’efficienza del nostro servizio sanitario è vincolata esclusivamente ad un problema di risorse?
– È possibile intervenire per ottenere che le prestazioni erogate siano più appropriate, corrispondano cioè a reali bisogni di salute di chi ne usufruisce?
– Quale ruolo possono avere i servizi territoriali (Medicina Generale, Specialistica ambulatoriale, Servizi domiciliari e residenziali) in tempo di crisi?

Alla prima domanda si può rispondere citando dati aggiornati tratti da OECD Health Data 2012, June 2012 (si veda  «Health Expenditure per capita, public and private expenditure, OECD countries, 2010»1) secondo cui l’esborso pro-capite in Italia per spesa sanitaria è di 2964 US Dollari (somma di spesa pubblica + spesa privata. L’Italia si colloca al di sotto della media OCSE: ben lontana dagli Stati Uniti (8233 dollari), Germania (4338 dollari), Francia (3974). Insomma la nostra spesa sanitaria, a fronte di una qualità delle prestazioni erogate riconosciute complessivamente come buone in termini ad esempio di speranza di vita o di tasso di mortalità standardizzato, è inferiore a tutti i Paesi più industrializzati.2

Ritenere quindi che debba essere soggetta ad ulteriori contrazioni pare inopportuno. Il bene salute è comunemente e giustamente considerato meritevole di massima tutela. I risparmi sono quindi da ricercare in altri settori se non vogliamo che sia messa a rischio l’efficacia di un Servizio che, basandosi su due principi come l’Universalismo e la Solidarietà, garantisce a tutti i cittadini prestazioni sanitarie di buon livello. Il pericolo maggiore è infatti quello che, quando le risorse scarseggiano, chi amministra sia portato ad attuare una gestione economicistica, adottando ad esempio una politica di tagli lineari, penalizzando percentualmente ogni servizio di una certa percentuale, tenendo poco o niente conto delle priorità da salvaguardare. La sanità è rivolta a tutelare un bene prioritario, la salute, e ad essa non devono essere applicate le stesse regole che valgono, ad esempio per i settori in cui si producono beni di consumo e nei quali l’obiettivo principale è il volume di questa produzione.
Ma supponiamo che le nostre risorse spendibili in Sanità per motivi vari dovessero essere molto superiori, siamo sicuri che ciò si tradurrebbe in un incremento proporzionale dell’efficacia degli interventi sanitari? Probabilmente no, perché la crescita delle risorse investite nei servizi sanitari, sembra poter produrre grossi benefici solo laddove il livello di assistenza è basso. Nei paesi a sviluppo avanzato come il nostro e dove le risorse investite in sanità sono già piuttosto alte, un’ulteriore crescita di investimenti produrrebbe sì un aumento delle prestazioni erogate, ma non livelli di salute migliori.

DIRINDIN N., VINEIS P.,  Elementi di economia sanitaria, Bologna 1999, Il Mulino. Nel grafico viene rappresentato come, in sistemi avanzati, ulteriori incrementi anche marcati di investimenti (D-E) producono scarsi miglioramenti del livello di salute (F-E).

Il problema se mai è quello di garantire a tutti di poter usufruire di livelli di assistenza adeguati e quindi di privilegiare gli interventi rivolti a superare le diseguaglianze e ad impedire che i ceti più bisognosi debbano essere penalizzati dalla scarsità di risorse disponibili. Occorre insomma che nella gerarchia degli interventi siano privilegiati quelli rivolti a tutelare la collettività (cure primarie, igiene ambientale, attenzione per gli alimenti) rispetto ad esempio agli investimenti in tecnologie innovative delle quali possano usufruire in pochi e che producono benefici di salute poco rilevanti.
A questo proposito la Carta Europea di Etica Medica 2011, raccomanda attenzione verso cure sobrie, essenziali, appropriate. In particolare il terzo principio etico raccomanda che i medici debbano garantire ai cittadini le cure più essenziali ed appropriate, senza discriminazioni. Oggi esistono invece diseguaglianze ed il pericolo è che la crisi economica possa accentuarle.
Una risposta può e deve arrivare da un utilizzo delle risorse vincolato alla appropriatezza delle prestazioni erogate. In questo campo medici, comunità scientifiche, amministratori possono fare molto, in particolare con una attenta analisi della eventuale presenza di conflitti di interesse tra il bene primario, come la salvaguardia della salute della collettività, a cui tutti devono tendere, e gli interessi, anche legittimi ma personali, di chi investe e opera in sanità.
La sobrietà nei percorsi diagnostici e terapeutici impone una scelta ponderata, ad esempio, nelle richieste di esami tenendo conto che esami inutili, oltre a comportare spreco di risorse che potrebbero essere impiegate in modo più proficuo, possono innescare percorsi non corretti ed anche essere responsabili di iatrogenesi (in presenza di falsi positivi), di ingiustificate rassicurazioni (in caso di falsi negativi), di liste di attesa artificiosamente incrementate con ritardi conseguenti nell’effettuazione di esami, al contrario, veramente necessari.
In un recente editoriale di una delle più prestigiose riviste scientifiche internazionali, il «British Medical Journal», dal titolo Winding back the harms of too much medicine, viene ripreso un tema già trattato dalla rivista in passato, mettendo in guardia dall’eccessiva medicalizzazione presente nei paesi ricchi e più sviluppati (BMJ 2013, Feb 26; 346:f1271)3
Le richieste improprie  sono spesso uno dei maggiori ostacoli all’uguaglianza nell’utilizzo del servizio sanitario: le inefficienze del servizio vanno infatti a scapito soprattutto di chi ha meno risorse e che non può, ad esempio, aggirare le liste di attesa con il ricorso a prestazioni private.
Cosa si chiede in questo contesto alle cure primarie?
Ai medici di famiglia, in particolare arriva la richiesta

a) di dare risposta sul territorio ai bisogni di salute dei cittadini con una assistenza capillare e, quando necessario, domiciliare
b)  di cooperare per ridurre le diseguaglianze offrendo prestazioni direttamente accessibili a tutti
c)  di utilizzare in modo appropriato le risorse disponibili erogando prestazioni corrispondenti a reali bisogni di salute e collaborando a contenere la crescita della spesa.

Il carico di lavoro che svolge oggi la medicina di famiglia è imponente. Le visite che vengono effettuate negli studi distribuiti su tutto il territorio nazionale sono calcolabili in circa 360 milioni all’anno. A ciò si aggiungono i numerosi contatti telefonici quotidiani e tutta l’attività domiciliare. In particolare le cure del territorio devono gestire la marea montante di cronicità che comportano un impegno sempre più complesso che richiede modelli organizzativi e funzionali avanzati che coinvolgono tutta la medicina generale (medico di famiglia, di continuità assistenziale e 118 convenzionato), la pediatria di libera scelta e la specialistica ambulatoriale insieme a personale infermieristico e di studio in grado di dare supporto qualificato.
Quali sono le caratteristiche che qualificano questi modelli avanzati?
Sono il passaggio da una medicina di attesa ad una proattiva, la differenziazione degli interventi basata sulla stratificazione del rischio, l’adeguamento delle cure al contesto sociale in cui si sviluppano i problemi di salute del cittadino, la creazione di team multiprofessionali in grado di aumentare la capacità di risposta del singolo professionista sia in termini di copertura oraria, sia sul versante della complessità dei problemi.

Conclusioni 
La crisi che stiamo affrontando deve in qualche modo risparmiare la tutela di un bene unico e prezioso come la salute. Verso questo obiettivo devono essere rivolti gli sforzi di chi amministra, degli operatori e dei consumatori dei servizi sanitari.
Sono obiettivi prioritari:

-Il mantenimento di un adeguato finanziamento
-La lotta alle diseguaglianze
-La ricerca dell’appropriatezza
-Riconoscere e palesare la presenza di conflitti di interesse che sono capaci di minare un uso efficiente delle risorse.


Sitografia

1 Tabella «Health expenditure per capita, public and private expenditure, OECD countries, 2010» in OECD Health Data 2010 . How Does Italy Compare © OECD Health Data 2012, June 2012, http://www.oecd.org/italy/BriefingNoteITALY2012.pdf in www.oecd.org

2 MAPELLI V., Servizio sanitario: pregiudizio e orgoglio in «lavoce.info», 03.05.2012, www.lavoce.info,  http://www.lavoce.info/articoli/pagina1003051.html

3 «BRITISH MEDICAL JOURNAL» 2013, Feb 26; 346:f1271, “Yet with the modern technological expansion of healthcare in rich developed nations, sceptical voices have long warned of the flipside—too much medicine” in  http://www.bmj.com/content/346/bmj.f1271

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