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32 Aprile Maggio 2016
Bioetica News Torino Aprile Maggio 2016

Etica, Narrazione e Bioetica di fine vita Corso Specialistico in Bioetica avanzata VII ed. a.a. 2015-2016 presso la Facoltà Teologica di Torino. Dossier

Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – sezione di Torino
Corso Specialistico di Bioetica Avanzata VII edizione a.a. 2015-2016
via XX Settembre 83 − Torino

«Bioetica tra passato, presente e futuro: una riflessione critica»
La Bioetica clinica e le criticità della medicina*

Seminario
Etica, Narrazione  e Bioetica di fine vita

Paolo M. Cattorini

Cattorini P.M _ foto
Paolo M. Cattorini, professore Ordinario di Medicina Legale – Clinica Bioetica, Università degli Studi dell’Insubria – Varese
1. Good bye Kant! Farewell to Kant!

Rispettare l’umanità come fine in sé! Se per sfuggire al dolore, un paziente si suicida, si serve della propria persona quale mezzo per evitare uno stato di vita insopportabile. Ma l’agente razionale non può adoperare la propria umanità (fonte della legalità morale, radice della razionalità e autonomia) come mezzo per ottimizzare un interesse empirico (togliere i sintomi). Lo statuto personale è incommensurabile rispetto ai vantaggi contingenti, che derivano dal prolungarsi o no dell’esistere. È il fatto stesso che una persona sia umana, che ne fonda la dignità e il valore intrinseci, anche se la sua vita non è più di beneficio materiale.

Tema casistico. La differenza tra dolore e sofferenza1.

Kant dunque condanna il suicidio, anche se in altri scritti sembra lasciare aperta la domanda. Eppure, proprio in nome di Kant, alcuni studiosi accettano la moralità del suicidio. Perché? Perché il suicidio potrebbe rappresentare l’unica possibilità proprio per non compromettere la dignità di persona. Il suicidio altruistico è un facile esempio. Ma secondo certi neokantiani, anche il suicidio non altruistico può essere ammesso, se esso costituisce appunto l’unico modo di proteggere ciò che, in quella vita, funge ancora da agente razionale e autonomo. Sintomi refrattari pervasivi tiranneggiano e torturano il soggetto “allagando” la sua persona di vissuti degradanti e intaccandone intimamente la capacità di esercitare la razionalità: le inclinazioni prendono il posto delle volizioni e l’evitamento dei dolori diventa l’obiettivo primario, che scalza ogni altro. Così, alcuni neokantiani hanno ribaltato, su questa base, la tradizionale condanna kantiana del suicidio.

Tema casistico. Il rapporto tra autonomia individuale e dipendenza dagli altri

Altri neokantiani l’hanno invece ribadita, in base alla prima formulazione dell’imperativo categorico. Secondo Kant l’etica comincia con un “tu devi”; c’è una legge morale che ha un valore assoluto e che comanda in forza della sua forma (l’universalità). Non si chiede dunque alla legge di comandare ciò che è bene (ciò che andrebbe preventivamente e sostantivamente dimostrato essere bene). Piuttosto vige l’assunto contrario: è bene ciò che la legge comanda, in base alla sua stessa forma di legge! La volontà ha in sé il proprio principio normativo e non ci è dato di fondarne le richieste su qualche conoscenza anteriore. La ragione determina la volontà da sola, nella purezza dell’intenzione. Quindi “devi perché devi!”. E nel suicidio? Una natura (scrive Kant), in cui vigesse la legge che lo stesso sentimento pro-vita distrugga la vita, è una natura in sé contraddittoria; quindi tale massima non può fungere da legge universale2!

Ma proprio all’interno della scuola kantiana è stato replicato che: il desiderio di vivere (appunto in quanto desiderio/inclinazione e non norma) non può né fondare una legge razionale universale né coincidervi; la tesi dell’«innaturalità» del suicidio può essere forse difesa in un’etica sostantiva (di contenuto), come quella tomistica, ma non in una filosofia trascendentale e formalistica; infine, la massima di uccidersi per non patire sintomi torturanti può essere universalizzata senza contraddizioni. Dove sarebbe la contraddizione3? Non si dovrebbe forse agire in modo da restare sempre liberi? Come si vede, siamo ben lontani da una solida univocità normativa. Il presunto test kantiano di universalizzabilità, che dovrebbe addirittura fungere da principio di non contraddizione pratica, non funziona!

Tema casistico. L’interruzione di un trattamento sproporzionato (sproporzionato per la persona, non per l’organo) non è eutanasia

La riabilitazione neokantiana del “rispetto”, quale modalità desiderante con cui si dovrebbe porre ogni azione (per non reificare l’umanità nostra o altrui), sembra debitrice di una visione sostanziale della “cura” per l’altro (la prossimità e l’amore eccedono il rispetto, ma ne realizzano l’essenza, come qualche personalista neokantiano sostiene), che non può venire dal legalismo di Kant.
Good bye, Kant!4


Note

1Definiamo “temi casistici” le esemplificazioni, sviluppate nell’esposizione orale. Per esse rimandiamo ai volumi citati nella bibliografia finale

2Nel ns. volume Un buon racconto, cit., e nella nostra recensione a Roberto MORDACCI, L’etica è per le persone, Cinisello Balsamo, San Paolo, Milano 2015, in La Civiltà Cattolica, 2015, v. IV, q. 3968, a. 166, 24 ottobre 2015, pp. 204-205, abbiamo analizzato criticamente il personalismo neokantiano che R. Mordacci definiva «etica del rispetto per le persone» nel suo volume Una introduzione alle teorie morali, Feltrinelli, Milano 2003

3In P.M. CATTORINI, «Bioetica di fine vita. In margine ad un recente saggio», Fenomenologia e società, n.1, 2002, pp. 110-117, abbiamo commentato alcune tesi di M. REICHLIN, L’etica e la buona morte, Comunità, Torino 2002

4Evidenti i richiami a M. FERRARIS, Goodbye, Kant!Cosa resta oggi della Critica della ragion pura, Bompiani, Milano 2005


2. Goob bye utilitarianism! Farewell to utilitarian theories!

L’altra grande tradizione morale evocata nelle dispute di fine vita è quella teleologica dell’utilitarismo. Ci sarebbero condizioni infernali, in cui i piaceri (più latamente: beni) goduti (generalmente +x, ++x, +++x…) sarebbero inferiori ai dolori patiti, cosicché interrompere tale esistenza è un atto benefico, in quanto interrompe un saldo negativo (facendolo passare da -x, –x, —x a 0, che è il bilancio nullo tipico della condizione di morte). Le obiezioni sono state molteplici.

1. La tesi che l’utilità (la massimizzazione dei beni per il maggior numero di persone) sia il bene autentico/fondamentale, è una tesi autoevidente? Oppure derivata? Negarla implica contraddizione? Non volere la massimizzazione dei beni implica essere irrazionali?

2. Qual è il bene da massimizzare? Il piacere? La salute? Il desiderio? La soddisfazione della preferenza?

Tema casistico. La sedazione palliativa terminale

3. Conseguenze controintuitive: la società composta da un sadico e da un masochista sarebbe la società perfetta e moralmente auspicabile? Il sacrificio di minoranze in nome del maggior bene per il maggior numero di persone è solo un tollerabile effetto collaterale?

4. È disponibile un criterio di misura, peso, bilanciamento adatto a “contare la rilevanza”
degli scenari alternativi e a “confrontarli” fra loro? Il decisore può essere un arcangelo situato in una no-where land e indifferente al ruolo dei soggetti coinvolti nel dilemma? Il decisore può avere desideri/preferenze propri o solo quelli moralmente giustificabili in quanto compatibili con il principio di utilità universale?

5. È proprio vero che ciò che moralmente conta di un’azione siano le sue conseguenze e non invece anche qualcos’altro, ad es. il suo significato, come nelle azioni “espressive”?

Tema casistico. Dire la verità, comunicare la verità
Good bye utilitarians!

3. Welcome to narrative theology!

3.1 La narrazione conta per la bioetica di fine vita perché si comprende il significato di un gesto solo all’interno della vicenda, che lo racconta; e solo se io l’ho compreso in questa integralità posso giudicarlo. «Dimmi la storia e ti dirò quello che penso».

Tema casistico. Un’apologia consapevole delle direttive/dichiarazioni/disposizioni anticipate del malato

Il bene in senso morale non può essere mai fatto coincidere con una precisa determinazione fattuale (bisognerebbe in realtà insinuare: “moralistica”) dell’opera. Questo è il difetto della teologia morale deontologica, o “neoclassica”, che ipotizza il coglimento adamantino, sicuro e aprioristico (cioè previo al dramma storico, alla vicenda delle relazioni concrete) di leggi, valori, beni umani fondamentali, in forza dei quali, deduttivamente, si capirebbe che cosa è intrinsecamente buono o cattivo. La più clamorosa contraddizione di questo impianto è che la riformulazione neoclassica del principio del doppio effetto implica la considerazione dell’intenzione dell’agente (cioè di un elemento squisitamente non “oggettivo”) come condizione essenziale della valutazione del gesto, di cui si potrebbe/dovrebbe affermare previamente che esso sia buono o moralmente indifferente.

Qualificare una cosa/azione come intrinsece malum oppure bonum significa asserire in realtà che una norma vale senza eccezioni, se intesa simbolicamente, quale documento di una disposizione incondizionata alla cura dell’altro. Proprio per questo motivo una deduzione sillogistica dal comandamento astrattamente astorico agli atti dilemmatici situazionali è improponibile.

Tema casistico. Non c’è un dovere cristiano di prolungare la vita a ogni costo, ma d’aver cura della persona sofferente prolungando tutta la vita cui è possibile dare maggior senso umano5

Specularmente simmetrico è il difetto delle teologie di stampo teleologico, le quali postulano l’accessibilità (alla conoscenza e alla volontà) di fini o valori moralmente degni, derubricando gli atti concreti quali mezzi (cioè produttori di fatti, neutri sul piano assiologico) per raggiungere quei fini. Invece noi cogliamo i “valori” attraverso la figura delle opere, attraverso la mediazione di atti, comandati o vietati, cioè attraverso l’appello che alcune norme elevano nei confronti della libertà dell’agente morale, il quale è chiamato a decidere di sé e non solo dei mezzi più vantaggiosi per produrre un certo fine.

3.2 La narrazione conta anche perché i concetti, i principi e le teorie etiche riposano su storie dell’origine, che offrono radice ed alimento agli strumenti intellettuali6 . «Rispetta l’umanità che è in te e nell’altro come persona, come fine e non solo come mezzo» è un comando vuoto, se strappato dalle narrazioni, che mostrano che cosa significhi “altro”, “persona”, “rispettare”, “umanità”, “fine”, “mezzo”. Questi vocaboli, direbbe Derrida, sono come monete, di cui non si vede più l’effigie perché essa è stata consunta dall’uso, monete (che valgono ormai come mero metallo) quindi inservibili – diremmo noi – quando ricompaiono i veri conti da pagare7. È impossibile accedere alla stessa comprensione dell’imperativo categorico (la presunzione deontologica) senza la mediazione offerta dalle figure concrete delle opere comandate o vietate.

Sul piano teologico, occorrerebbe fare almeno due approfondimenti. Il primo è che la presunzione di cogliere (con la ragione) una natura umana creaturale universale e immutabile (da cui derivare leggi inviolabili), a prescindere dalla rivelazione (che, attraverso la fede, indicherebbe ulteriori regole d’inviolabilità), è una presunzione che divarica arbitrariamente le coppie terminologiche creazione/rivelazione e fede/ragione. L’aspetto “peccaminoso” di questo stralcio è che esso rimuove il nesso liberazione/alleanza (il Sinai viene inteso e accolto solo a partire dall’Esodo; il senso della legge è compreso a partire dalla memoria fiduciosa e fedele dell’evento gradito e sorprendente con cui l’Alleato ha liberato il suo popolo dall’Egitto) e, peggio ancora, prescinde dalla relazione con Gesù Cristo nel leggere il dato creaturale, quando invece l’unico ordine scelto da Dio per l’uomo è quello che, sin dall’inizio, vede l’uomo predestinato in Gesù Cristo. Non esiste una legge cosiddetta naturale collocabile in uno spazio creativo esteriore e precedente a Cristo8.

Tema casistico. C’è – nel mondo – del male “genuino”, ossia solo male, non prodromico a un bene maggiore. Il male, la morte, la malattia, il dolore (superata la stagione culturale del dolorismo) vanno combattuti, poiché nessuna giustificazione razionale, nel senso di legittimazione benedicente, può essere offerta allo scandalo che essi rappresentano. Ma come guadagnare una resa non codarda e una resistenza non accanita? Attraverso e nonostante l’esperienza del male (non grazie ad esso) si può attingere una verità, un virtù imprevista9

La seconda osservazione è che la fede è figura costitutiva dell’agire morale10 . La fede si rapporta al pensiero non come un elemento ad esso omogeneo, un elemento cioè che si pone in concorrenza all’intelletto oppure lo prolunga, ma come l’esperienza pratica, su cui la ragione torna riflessivamente. Non solo Dio, ma ogni bene ultimo, ogni visione di vita buona, ogni cifra dell’incondizionato morale, è pensato nella fede, ossia è fatto oggetto di un’adesione, di un credito, senza possedere incontrovertibili prove teoretiche della sua verità e senza garanzia di poter prevedere, programmare o addirittura attingere il compimento di quanto viene sperato.

3.3 La nozione di proporzionalità nelle cure mostra la componente estetica nell’etica. Per decidere quale azione sia quella buona, occorre narrare la vicenda (Ricoeur diceva che il racconto è il primo laboratorio del giudizio morale11) e poi immaginare il buon finale, il finale vero (come fa un regista con il suo film ancora aperto), operando una critica d’arte, che incroci la trama biografica individuale con il mito narrativo, cui ci affidiamo come racconto convincente del ruolo dell’uomo nel mondo. In questo lavoro riflessivo l’interpretazione del desiderio degli agenti è ingrediente essenziale, poiché le passioni non accecano l’intelletto, ma danno a pensare e innescano, alimentano la giustificazione razionale delle valutazioni morali (l’etica). La neo-casistica portata a fondo rivela che il bene si nasconde nel bello (Platone riletto da Gadamer12) e che l’azione (il bel gesto) è come un testo (un buon racconto o un dipinto riuscito), che corona la nostra attesa di un’opera che sia felice per noi e degna di fronte a tutti. Un’opera che reclama la nostra obbedienza per essere formata (come sosteneva Pareyson13). Un’opera che merita di essere voluta perché è propriamente nostra, l’unica che noi, proprio noi e solo noi possiamo porre, avendo cura di ogni altro, verso il cui sguardo siamo debitori.


Note

5Nel volume La morte offesa, cit., e nell’Editoriale «La professione medica oggi. Dilemmi etici», Riv. Ital. Med. Leg., 2008, n. 6, 1205-1225, abbiamo respinto la tesi, centrale nel caso Englaro, secondo cui sia possibile stabilire l’obbligatoria proporzionalità della nutrizione/idratazione artificiale, prescindendo dal contesto narrativo della malattia e dell’assistenza, un contesto che comprende l’intenzione e i desideri degli attori coinvolti, i precedenti della storia, la valenza simbolica delle condizioni patologiche e dei gesti di cura.

6Siamo debitori a W.T. REICH, in AA.VV, Modelli di medicina, ESU,Milano 1993

7 J. DERRIDA, Margini della filosofia, Einaudi, Torino 1997, p. 284

8 I. BIFFI ha scritto lucidamente in proposito. Cfr. il suo contributo in G. RUSSO (ed.), Veritatis Splendor, Dehoniane, Roma 1994

9Nel nostro volume Il desiderio di salute, Camilliane, Torino 2013 e prima ancora nel nostro contributo a E. LARGHERO (ed.), Guarire, ivi, 2006, pp. 25-35, abbiamo esposto perplessità circa un persistente vizio neodoloristico in certe impostazioni teologiche. Ci siamo inoltre soffermati su alcuni problemi aperti dalla prospettiva teologico-fenomenologica di M. CHIODI, dal quale non ci sembrano venute repliche convincenti (cfr. i suoi articoli in Teologia, 2010, n.2 e 2012, n.2; e prima ancora le sue osservazioni nei nostri confronti apparse in L‘enigma della sofferenza e la testimonianza della cura, Glossa, Milano 2003)

10Abbiamo sviluppato in direzione estetico-narrativa la lezione teologico-morale svolta da G. ANGELINI, in L’evidenza e la fede, e Teologia Morale Fondamentale, Glossa, Milano 1988 e 1999, all’interno del nostro volume Estetica nell’Etica.La forma di un’esistenza degna, Milano, EDB, 2010

11P. RICOEUR, Sé come un altro, Jaca Book, Milano 1993

12 H.G. GADAMER, Verità e metodo, Bompiani, Milano 1983

13L. PAREYSON,Teoria dell’arte, Marzorati, Milano 1965


Bibliografia

Volumi di P.M. Cattorini

CATTORINI P.M., Bioetica. Metodo ed elementi di base per affrontare problemi clinici, , Elsevier, Milano, 4° ed. 2011

CATTORINI P.M., Bioetica e cinema. Racconti di malattia e dilemmi morali, FrancoAngeli, Milano,  2° ed., 2006

CATTORINI P.M., Cura,  Edizioni Messaggero Padova, Padova 2014.

CATTORINI P.M.,  Frasi di famiglia. Il linguaggio della vita domestica, Dehoniane, Bologna 2015

CATTORINI P.M., La morte offesa. Espropriazione del morire ed etica della resistenza al male, Dehoniane, Bologna 1996, rist. con Postfazione nel 2006

CATTORINI P.M.,  Un buon racconto. Etica, teologia, narrazione, Dehoniane, Bologna2007.

Articoli recenti in lingua inglese

CATTORINI P.M., «Aesthetics in Ethics: Narrative and Theoretical Dimensions of Moral Evaluation», Eubios Journal of Asian and International Bioethics, 19, March 2009, 47-53

CATTORINI  P.M.,«The Winter of Clinic? Advanced Ethical Dilemmas for an Advanced Medicine», Eubios Journal of Asian and International Bioethics, v. 20 (6), Nov. 2010, 183-190

CATTORINI P.M., «Shall I Become a Zombie? Storie of Illness, Ethical Dilemmas and Visions of Society», Medicina nei Secoli. Arte e Scienza. Giornale di Storia della Medicina – Journal of History of Medicine, 2009, v. 21, n.3, pp. 1017- 1036

CATTORINI P.M., «Movies on Bioethics. A Double Review and Some Steps Forward», The Journal of Aesthetic Education, (Univ. Illinois Press) v. 46, n.2, Summer 2012, pp. 111-121

CATTORINI P.M., «Clinical Ethics as Applied Aesthetics«, Journal of Aesthetic Education, (Univ. Illinois Press) v. 48, n.2, Summer 2014, pp. 16-35

CATTORINI P.M., «Narrative Medicine. An Ethical Reappraisal», Medicina e Morale, 2015, n.2, pp. 245-266

CATTORINI P.M., «A Narrative Shift for Clinical Bioethics. The Role of Cinema», in L. CAENAZZO – L. MARIANI – R. PEGORARO (edd.),  Medical Humanities Italian Perspectives, , CLEUP, Padova 2015, pp. 55-66

Filmografia citata nell’esposizione orale

Magnolia di ANDERSON P.T., uSA 1999

Amour di HANEKE M., Francia, Germania, Austria 2012

Il paziente inglese di MINGHELLA A., Usa 1996

Al di là della vita di SCORZESE M., Usa 1999


* «Bioetica tra passato, presente e futuro: una riflessione critica» è il tema della VII° edizione del Corso Specialistico in Bioetica avanzata a.a. 2015-2016 del Ciclo di Specializzazione in Teologia Morale con indirizzo Sociale della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, sezione parallela di Torino.  Alcuni abstract e sintesi di interventi dei docenti di tale Corso sono stati raccolti in un dossier e pubblicati nel numero di Gennaio – Febbraio – Marzo 2016 della nostra rivista Bioetica News Torino (https://www.bioeticanews.it/bioetica-tra-passato-presente-e-futuro-una-riflessione-critica-introduzione/) .
Questo numero di Aprile – Maggio 2016 contiene la sintesi del seminario dal titolo «Etica, Narrazione e Bioetica di fine vita» tenuto dal professore Paolo M. Cattorini, Ordinario  di Medicina legale – Bioetica clinica presso l’Università degli Studi dell’Insubria, School of Medicine,  di Varese, nell’ambito del modulo su «La Bioetica clinica e le criticità della Medicina».

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Programma del Corso Specialistico di Bioetica Avanzata VII edizione a.a. 2015-2016 – Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale – sezione parallela di Torino

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