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69 Giugno 2020
Speciale Contraccezione d'emergenza: sì, no, perché

III. Adolescenza e questioni emergenti rispetto alla contraccezione d’emergenza

III.1. Introduzione

L’adolescenza non è solo un periodo evolutivo mosso da profondi cambiamenti ormonali, fisici e neuropsicologici e dall’insorgere di nuove potenzialità cognitive, come il pensiero astratto, è anche un periodo in cui molto di ciò che la persona pensava di conoscere diventa ignoto.

L’adolescente ha ancora dentro di sé il bambino che è stato, ma l’immagine del corpo in cui il bambino aveva imparato a muoversi con piacere, divertimento, autonomia e spontaneità si allontana e va abbandonata mentre avanza il processo di sessualizzazione non solo del corpo ma anche delle relazioni: le certezze rispetto al proprio modo di rapportarsi con i coetanei, i genitori, gli adulti, il mondo e se stessi non sono più tali e vanno ritrovate. Nessuna riorganizzazione dell’immagine di sé e delle relazioni affettive può avvenire senza risolvere i vissuti depressivi che l’abbandono o la messa sullo sfondo delle posizioni e organizzazioni acquisite comportano.

Allo stesso tempo l’adolescente è sospinto oltre le relazioni familiari da quel sofisticato dispositivo evolutivo per cui il basso livello di dopamina1 in stato di quiete e la sua forte produzione durante un’azione nuova ed eccitante fanno sì che l’adolescente esca dalla famiglia alla ricerca di situazioni e relazioni eccitanti poiché nuove, intense o connotate da rischi: la perdita di ciò che è conosciuto e certo e la propensione verso l’ignoto e l’incerto costituiscono i due poli che delineano il dinamismo evolutivo dell’adolescenza.

È bene pertanto, per comprendere quel delicato e complesso periodo evolutivo che è l’adolescenza e valutare l’impatto che nuovi elementi possono avere su di essa, considerare attentamente prima di tutto che cosa l’adolescenza porta in sé rispetto al tramonto dell’infanzia e del suo assetto organizzativo e considerare i processi che sostengono il narcisismo di base, la ricerca della gratificazione e i nuovi investimenti affettivi.

Solo successivamente potremo provare a comprendere gli elementi essenziali che delineano il possibile impatto della pillola del giorno dopo o dei cinque giorni dopo sul comportamento sessuale a rischio, il ruolo di mediatore della figura adulta e le conseguenze immaginabili della sua assenza.

 III.2. Pensare l’adolescenza

III.2.1. Quale bambino prima dell’adolescente, quale adulto davanti a lui?

La psicologia evolutiva, grazie ad autori come Stern, ha permesso di individuare diversi schemi stabili di coscienza, diversi sensi del sé2, che si susseguono nel tempo. Nei primi ventiquattro mesi, il senso di essere soggetti agenti, quello di coesione fisica, il senso di continuità, affettività, di essere in grado di stabilire relazioni e il senso di essere in grado di comunicare significati sono sperimentati in modi sempre più complessi e la visione che il bambino sembra avere della realtà non è turbata, se il contesto educativo è sufficientemente adeguato nelle risposte che fornisce ai bisogni evolutivi. Successivamente, con l’acquisizione della simbolizzazione, nell’incontro tra il mondo interpersonale e il mondo interno del bambino, l’immaginario si popola di fantasie che innervano la visione della realtà. La realtà, animata dalle fantasie, diviene il luogo in cui i desideri e le paure prendono corpo e consistenza. Per questo, a partire da questo periodo, emergono fantasie simbiotiche e paranoidi.  Nel dialogo tra il mondo interno del bambino e il mondo delle risposte implicite ed esplicite, volontarie e involontarie dei caregivers, le fantasie vengono rinforzate, soddisfatte, ridefinite o ignorate. Nel delicato e imprevedibile incontro tra il comportamento e l’immaginario del bambino e il comportamento e l’immaginario delle figure di accudimento, si definiscono i diversi profili di attaccamento, autonomia, indipendenza e fiducia e il bambino interiorizza i genitori come organizzatori delle esperienze. L’ingresso nel mondo interiore delle rappresentazioni delle menti dei genitori permettono al bambino di aprire un dialogo interiore tra il sé e quello che la mamma e il papà potrebbero sentire, pensare, dire nei confronti delle diverse esperienze di sé, degli altri e del mondo.

Il mondo esterno alla famiglia è, durante l’infanzia, presente in seconda battuta ed è più o meno efficacemente filtrato dalle figure di attaccamento: sarà loro compito svolgere una funzione di selezione, modulazione e protezione nei confronti degli stimoli del mondo esterno e delle possibili irruzioni di elementi troppo “grandi” per la mente del bambino, poiché appartenenti al mondo e al linguaggio degli adulti3 o poiché troppo forti per essere pensati dal bambino. Quando il rapporto tra la pensabilità dell’evento e il peso emotivo dell’evento stesso è troppo sbilanciato in favore di questo, il bambino può essere esposto a esperienze traumatiche. Di fronte a questi vissuti impensabili non solo il bambino non ha prospettive per organizzare l’esperienza, ma il suo stesso funzionamento organizzativo può venire meno se il senso di continuità e coesione fisica vengono travolti dal peso dell’evento4.

Il ruolo che le figure parentali e significative devono assumere durante l’infanzia è oggi ancora sufficientemente condiviso, mentre nei confronti dell’adolescenza è continuamente ridefinito in base ai mutamenti sociali e culturali. Tuttavia, la psicologia che si occupa del periodo preadolescenziale e adolescenziale individua peculiari mutamenti dell’immagine del sé, compiti evolutivi, sfide, processi di integrazione e ruoli che l’adolescente deve cercare di interpretare e assumere. Il contesto degli adulti di riferimento è inevitabilmente chiamato a rispondere alle proiezioni che l’adolescente esercita sulle stesse figure familiari, adulte e amicali e a sostenere e accompagnare l’adolescente nel rimaneggiamento delle immagini genitoriali5, nei processi di riorganizzazione dell’immagine del sé e nell’integrazione dell’aggressività e delle pulsioni sessuali affinché queste non siano distruttive per sé o per gli altri, ma piuttosto equilibrate e finalizzate al benessere individuale, relazionale, sociale e comunitario.

Capiamo bene che l’adolescenza non può essere lasciata a sé stessa se la consideriamo come un periodo storico in cui si deve procedere dalla perdita di un assetto organizzato alla riconquista di una nuova integrazione, dall’emersione di disequilibri e tensioni emotive, affettive e pulsionali a nuovi equilibri, immagini del sé e ruoli, passando attraverso un campo di battaglia in cui vissuti intensi, a volte violenti, e intense proiezioni investono le figure significative e dunque il sistema di riferimento dell’identità. Specialmente nei periodi di frustrazione e sofferenza, quando la solitudine e il senso di abbandono o di tradimento emergono, tra momenti in cui l’adolescente si sente rispecchiato nei suoi desideri e aspirazioni e altri in cui si percepisce un repentino distacco o una inaspettata separazione, i legami possono essere turbati da capovolgimenti affettivi, i giudizi sulle figure di riferimento perdono ogni sfumatura, a volte sono polarizzati, a volte prende il sopravvento la polarizzazione dei giudizi e altre volte accade una vera e propria scissione in opposti della polarità affettiva che investe la figura di riferimento con cui l’adolescente entra in conflitto. In base a questi repentini cambi di direzione del valore e significato attribuito alla figura sentita come vicina, chi era buono diventa assolutamente cattivo, chi era sentito lontano diventa improvvisamente vicino e importante. E le immagini genitoriali possono essere investite da questi improvvisi giochi di capovolgimenti di prospettiva, inversione di luce e ombra.

Nel corso dell’adolescenza, un evento talora relativamente invisibile dall’esterno, imprevedibilmente, come nei sistemi complessi un battito d’ali di farfalla, può scatenare burrasche. La tempesta investe la rappresentazione del sé e degli altri, del corpo e degli affetti, e momenti di onnipotenza, ora di naufragio, ora di quiete, ora di scoperta di nuove rive o di ritrovamento di luoghi sicuri si susseguono mentre l’adolescente cerca, di volta in volta, soluzioni più mature che permettono l’integrazione degli opposti in nuove sintesi, una visione più complessa dei genitori e delle figure significative, l’acquisizione di un senso di realtà condiviso e la mentalizzazione6, ovvero la capacità di riconoscere i propri e altrui stati mentali, consci e inconsci. In questi percorsi, tra burrasche e nuovi porti l’adolescente può essere disposto a chiedere direttamente o indirettamente aiuto per essere ascoltato, sostenuto nei progetti o fermato come Ulisse col ciclope e le sirene.

 III.2.2. L’azione come matrice della ricerca del sé

Durante il periodo adolescenziale le figure dell’adulto di riferimento e del genitore non sono mai vissute in modo neutro. Dai dodici anni circa, sotto la spinta pulsionale e la riattivazione delle vicende edipiche7, il mondo interno e le immagini interiorizzate dei genitori e di sé stesso sono turbate. Nel corso dell’infanzia raggiungono un certo livello di stabilità e sono la matrice del benessere psicologico, grazie all’integrazione dei modelli di accudimento, all’acquisizione dell’autonomia, che è possibile là dove il bambino sente sempre di avere una base sicura a cui tornare, e all’interiorizzazione dei limiti che il mondo degli adulti di riferimento propone.

Con l’adolescenza invece l’intensità e la novità delle cariche in gioco, la perdita delle figure di riferimento e la ricerca di nuove figure, nuovi investimenti affettivi, nuove gratificazioni e azioni eccitanti spingono l’adolescente al di fuori del contesto familiare. Avviene pertanto un viraggio dal mondo interno, familiare e conosciuto, a quello esterno a cui sono affidate le speranze di sostegno, rifornimento narcisistico e riconoscimento dell’ideale di sé. In virtù di questa tensione verso la novità, il mondo esterno diventa il palcoscenico delle nuove sperimentazioni di sé attraverso atteggiamenti, disposizioni a entrare in contatto con persone attraenti, desideri mimetici8 e azioni che fanno sentire stimolati, vivi ed eccitati. Ogni tensione e azione è finalizzata a far sentire l’adolescente come contenuto in involucri sensoriali9 e ogni involucro sensoriale, generato dall’azione, permette all’adolescente di sostenere il suo senso di coesione, continuità, affettività, relazionalità e comunicabilità. L’adolescente può così provare a rimaneggiare, reinterpretare e riconquistare quei primitivi sensi del sé10 che l’adolescenza rende instabili. Tuttavia, immergendosi in azioni che funzionano da involucri sensoriali, la ricerca della gratificazione nell’azione particolare prevale sulla comprensione globale della situazione, la sperimentazione attiva di sé stessi sulla capacità di anticipare gli esiti delle azioni, ovvero l’azione può prevalere sul pensiero fino a sostituirsi ad esso.

La psicologia evolutiva ci insegna che nei bambini le operazioni mentali emergono da processi biologici, senso-motori e azioni interiorizzate, così, anche l’adolescente, che in certo senso deve riprendersi da capo, si vive e si sperimenta nell’azione che precede il pensiero, come se l’azione fosse un abito da indossare. Il pensiero critico può sorgere solo in un secondo momento se l’adolescente è in grado di mettersi allo specchio o è in un contesto non giudicante capace di promuovere momenti riflessivi.

L’azione assume dunque una  posizione centrale all’interno del processo di ridefinizione e riorganizzazione del sé perché può anticipare nuove operazioni mentali, nuovi modi di essere e di essere con, o svolgere la funzione di contenitore sensoriale che garantisce i primari sensi del sé: coesione, continuità, affettività, relazionalità e comunicabilità. Tuttavia, nei momenti di profonda crisi, laddove questi sensi tendono a venir meno, possono verificarsi situazioni paradossali in cui l’adolescente tenta di riacquisire consistenza, coesione e continuità attraverso azioni non pensate e su cui, anche successivamente, è difficile riflettere da soli. Per ritrovare coesione e continuità l’adolescente in crisi può compiere azioni che mettono a rischio la stessa coesione e consistenza del sé. Per contenere il senso di solitudine e vuoto può coinvolgersi con persone, situazioni o contesti che favoriscono processi di disgregazione, scissione e isolamento piuttosto che integrazione delle diverse parti del sé: corpo, emozioni, affetti e pensiero. Emerge così una maggiore propensione verso passaggi all’atto, ovvero la messa in opera di azioni impulsive, pericolose e violente.

Inoltre, rispetto al pensiero critico, al mondo interno e allo sguardo introspettivo, diversamente dal bambino che può accedere con una certa facilità sia al mondo interno sia al mondo esterno, “l’occhio interiore” del dodicenne rimane chiuso o socchiuso fino a quando non sono possibili nuovi investimenti oggettuali esterni alla famiglia.

L’intensità delle cariche pulsionali in circolazione e l’assenza di oggetti di investimento stabili non permettono all’Io di guardare in sé, piuttosto la visione del mondo interno è inizialmente come sospesa, l’investimento sul mondo interno si ritrae e il mondo esterno è sovrainvestito e diventa il luogo in cui il mondo interno e le sue intense vicende sono spostate e messe in scena o proiettate senza consapevolezza. L’introspezione è inibita in favore della ricerca di oggetti da investire, ma sono oggetti concreti oppure parti di oggetto, oggetti parziali. Si pensi alle collezioni che a volte i dodicenni incominciano o attualmente il sovrainvestimento sui videogiochi o sui social che offrono frammenti di vissuti sempre nuovi ed eccitanti, piccoli mondi che assorbono interesse e attenzione in cambio di rifornimenti costanti di dopamina. Rispetto agli oggetti parziali si pensi invece agli elementi per cui una persona è giudicata attraente e desiderata: lo sguardo, il collo, gli addominali… per i più romantici.

L’articolazione tra la realtà interna e quella esterna diventa dunque importante in modo tale che più il mondo interno è abitato da conflitti e tensioni, «quanto maggiore è il peso del mondo interno, tanto più la realtà esterna è suscettibile di servire da contrappeso e di giocare un ruolo importante11». È come se il cartello “lavori in corso”, con cui si apre l’adolescenza, venisse posizionato all’interno e il pensiero riflessivo e critico sospesi in attesa che l’apparato psichico interiorizzi nuove modalità per accordare pressioni interne e realtà esterna, desideri e relazioni in funzione di visioni progettuali nuove e complesse.

In questa fase, il peso della realtà esterna, la sua coerenza, l’intelligibilità, l’intensità e la sua pensabilità sono fondamentali. È importante anche proporre o lasciar trovare all’adolescente opportunità di investimento affettivo: percorsi progettati per permettere un’esperienza di sé gratificante e autonoma, oppure oggetti desiderabili che possono offrire una buona e condivisibile forma al bisogno di trovare esperienze che sostengano la ricerca di novità e il narcisismo del giovane adolescente. In mezzo a tanti oggetti verso cui per moda, imitazione e mimetismo si accendono fortissimi desideri collettivi e interessi commerciali, sarebbe infatti importante lasciar trovare all’adolescente anche oggetti di investimento e situazioni verso cui possa avvertire un senso di scoperta personale.

 III.3. Crescere tra mediatori e media

 III.3.1. Tra il sentire e il fare: il ruolo del mediatore

Durante l’adolescenza, nel dinamismo e nella dialettica tra le componenti del mondo interno, ovvero l’emozione, il sentimento, il pensiero, e l’azione possono instaurarsi momenti o periodi in cui un solo elemento prevale sugli altri e in assenza di connessione con gli altri. Alcuni adolescenti sembrano non sentire il proprio corpo e l’ascetismo e la razionalizzazione dominano per allontanare ogni conflittualità interna: uno stato di introversione apparente, priva di reale introspezione. Altri sembrano come costretti a sostenere la propria esistenza con involucri sensoriali che combattono vissuti depressivi, senso di solitudine e vuoto. In altri ancora il prevalere dell’azione sul pensiero è tale per cui l’azione arriva a sostituire il pensiero e l’adolescente è in balia di agiti che lo espongono a rischi.

I compiti evolutivi consisteranno pertanto nel favorire la coerenza e l’unità di azione, affetto e pensiero, l’integrazione del corpo sessuato e dell’aggressività nel sé e nel mondo interpersonale e l’assunzione di responsabilità sociali; tuttavia lungo il percorso che conduce alla maturazione in seno alla vita adulta, il mondo dei genitori, quello degli adulti e degli amici ovvero il mondo esterno è parte integrante dello psichismo adolescenziale. Come se parte dell’apparato psichico individuale, in diversi modi, gradi e intensità, venisse trasferito nel mondo esterno in modo tale che elementi della realtà esterna divengono estensioni del mondo interno. Questa compenetrazione di mondi non è né positiva né negativa in sé, può favorire il percorso di unificazione e integrazione oppure ostacolarlo, a seconda dei processi e delle operazioni che gli oggetti, gli elementi dinamici e il funzionamento del mondo esterno “prestano” al funzionamento del mondo interno dell’adolescente.

Del mondo esterno fanno parte non solo le azioni compiute sugli oggetti e le risposte del contesto, ma anche lo stesso mondo interno delle figure significative e gli elementi di realtà propri di ogni cultura, come l’istituzione scolastica o sanitaria, nonché gli elementi tecnologici, rispetto alla loro capacità di indurre immagini, emozioni e vissuti, e il profilo di funzionamento specifico che articola il rapporto tra immagini, reazioni emotive e azioni. Come un avatar, l’adolescente può trovarsi a essere attraversato, animato e abitato dai dinamismi del mondo esterno, inconsapevolmente, per lo più. Possono però emergere vissuti di intrusione quando l’adolescente avverte la volontà del mondo esterno di “sbirciare” dentro di sé, nei propri desideri, sogni, paure; vissuti di persecuzione con figure a cui è attribuito potere di giudizio, come a volte capita con alcuni insegnanti, infermieri, medici o altre figure di aiuto; vissuti transitori di depersonalizzazione quando l’adolescente emerge da esperienze protratte di animazione virtuale. In tutti questi e altri casi il soggetto percepito come attivo appartiene alla realtà esterna e l’adolescente ne è attraversato in posizione passiva, non potendo che provare ansia, nausea, dispiacere, frustrazione, odio o rabbia e desiderio di presa di distanza, allontanamento o fuga.

Per questa compenetrazione di mondi, il lavoro sui confini e sui fattori di differenziazione è essenziale a tutti i livelli, tra sé e l’altro, tra dentro e fuori, tra le persone significative che vengono investite affettivamente e tra le rappresentazioni interne. L’attrazione verso l’oggetto sentito come vitale e il pericolo di perdersi nell’altro, il desiderio di soddisfare il bisogno di contatto e di assimilazione degli altri e la necessità di mantenere una differenziazione minimale dall’altro da sé costituiscono i poli di tensione  tra cui l’adolescente si muove e i termini per sostenere l’identità e mantenerla: il desiderio nutre il narcisismo e il senso di avere un valore ma espone sia al rischio di essere assimilato all’oggetto del desiderio, sia al senso di dipendenza dall’oggetto che incrementa la vulnerabilità.

Per queste ragioni, proprio perché parte integrante dello psichismo dell’adolescente e perché garante della possibilità di lavorare sui confini e sui fattori di distinzione e differenziazione, il mondo degli adulti deve avere caratteristiche di coerenza, forza e costanza e costituire così il terzo polo tra il mondo interno in cerca di soluzione e investimenti e la realtà esterna in cui gli oggetti si presentano.

Il terzo polo tra realtà interna e realtà esterna, ovvero il mondo degli adulti fatto di cultura, regole, significati, valori, limiti e ruoli deve svolgere una funzione di paraeccitazione ovvero dovrebbe filtrare e contenere il livello di intensità di quegli oggetti esterni troppo sollecitanti, ma anche permettere una graduale riappropriazione del senso di realtà laddove le proiezioni dell’adolescente la investono fortemente alterandone la lettura.

Per le stesse ragioni inoltre nel sistema familiare, educativo, sociale e culturale in cui l’adolescente è immerso, non esistono oggetti neutri o, meglio, tutto ciò che si presenta esternamente agli occhi dell’adolescente può costituire un pezzo del suo mondo interno e può essere vissuto come una risposta al proprio mondo interno. Ma questo elemento, a un tempo esterno e interno, si appalesa nel mondo dell’adolescente con un linguaggio, una carica emotiva e un significato simbolico che hanno bisogno di essere decodificati e compresi dal mondo degli adulti perché l’elemento possa essere offerto all’adolescente come organizzatore del mondo interno. Affinché il mondo degli adulti possa avere la funzione di ponte tra la realtà fatta di oggetti eccitanti e il mondo dell’adolescente e tra il suo mondo interno ed esterno, chi svolge una funzione educante o di cura dovrebbe decodificare di volta in volta la carica e l’impatto che il singolo elemento esterno può avere sul sistema interno, per contenere quegli elementi troppo “pesanti” per l’Io dell’adolescente e, dunque, potenzialmente destrutturanti, e lasciar trovare o proporre all’adolescente quegli altri elementi sufficientemente pensabili e vivibili affinché egli possa liberamente assumerli e interpretarli in ordine ai compiti evolutivi ovvero in ordine all’integrazione di aggressività e pulsionalità e alla coesistenza di principio di realtà e di piacere.

In questo delicato compito di mediazione è bene considerare dunque che così come in adolescenza non esistono presenze adulte neutre, non esistono neanche oggetti che si possono definire neutri perché così vissuti dagli adulti12. Un atto che può essere sentito come neutro dall’adulto che lo propone, come un silenzio o un’attesa, può essere vissuto come un’aggressione o un vuoto da un adolescente. Un oggetto che può essere gestito come uno strumento da un adulto può essere vissuto come un’estensione del corpo o dell’Io. Un oggetto dato da un adulto può essere vissuto come una risposta a una domanda mai formulata direttamente se l’oggetto è stato dato senza avvertirne la possibile portata psichica, simbolica o la pregnanza. Al di fuori del dialogo di ascolto non giudicante che permette di esplicitare il significato dell’oggetto e il rapporto con il bisogno, l’oggetto non perde il suo significato piuttosto la sua assenza di condivisione non permette allo stesso adolescente di essere pienamente consapevole delle emozioni, del vissuto e del significato che investono l’oggetto stesso.

È pertanto necessario provare a rappresentare l’incontro/scontro tra mondo degli adulti e mondo degli adolescenti come un incontro/scontro di linguaggi e di domande non sempre esplicitate e risposte non sempre consapevoli. Gli oggetti coinvolti in questo rapporto sono parti integranti del rapporto ed entrano in modo a volte profondo con il mondo interno dell’adolescente. In questo dialogo dare per scontato può avere conseguenze imprevedibili. La propensione adolescenziale verso l’esplorazione di nuove vie fornisce un apporto vitale in seno alla società, poiché dagli adolescenti e giovani adulti possono emergere nuove risposte e soluzioni per problemi nuovi o irrisolti, promuovendo dunque reali cambiamenti, ma solo se le tensioni emergenti dalla propensione verso il nuovo non sono fine a se stesse e in balia della sola scarica priva di investimento, ma alimento per un pensiero teleologico, progettuale e responsabile in dialogo con il contesto sociale e culturale dato. Tuttavia, nel dialogo tra adulti e adolescenti e tra gli adolescenti e i limiti della realtà, fattori nuovi, legati allo sviluppo tecnologico, chimico e medico, si materializzano apportando ulteriori tensioni e richiedendo, di volta in volta, nuovi sforzi di comprensione e interpretazione.

III.3.2. Adolescenza tra mediatori e media

L’intimo legame tra mondo esterno e mondo interno e la potenziale significatività di ogni oggetto proposto dagli adulti allargano il palcoscenico dell’incontro tra l’adolescente e il mondo esterno, istituzionale, sociale, culturale, familiare ora con linguaggi di dialogo, ora di assenza, ora di scontro, ora di assimilazione e condivisione della moda.

La compenetrazione tra il mondo esterno e il mondo interno dell’adolescente è così intensa, inoltre, che chi lavora a contatto con l’adolescenza registra una dinamica di rispecchiamento tra la società, i suoi cambiamenti, le sue difficoltà, empasse, paure e angosce e i rapidi cambiamenti in seno al mondo dell’adolescenza. Si può quasi affermare che la cultura, con le sue difficoltà, empasse e conflitti, ha negli adolescenti un luogo di espressione sintomatica o che l’adolescenza stessa sia sintomo della società là dove sia luogo di espressione di ciò che il mondo adulto non riesce a decodificare, comprendere, organizzare e mentalizzare. Come due realtà isomorfe, la forma che l’adolescenza assume nella storia è correlata con la forma della società sia nel bene sia nel male, sia nelle possibilità espressive, sia nelle forme di disagio, sia nei cambiamenti riconducibili allo sviluppo delle tecnologie, che investono la vita sociale e psicologica prima che la cultura riesca a metabolizzarle.

In una cultura in cui l’immaginario del corpo è strumentale e la sua percezione e vissuto sono a volte conflittuali, liquidi, frammentati o dissociati, molte delle nuove forme di patologia e sofferenza adolescenziale hanno per teatro il corpo, come l’anoressia, la bulimia e gli attacchi di panico, o il corpo per oggetto, come le nuove forme di devianza e di violenza, le diverse forme di autolesionismo e la sessualità precoce. Avviene pertanto un singolare incontro attorno al corpo tra l’adolescenza, che nel corpo deve trovare nuova integrazione, e il mondo degli adulti che con difficoltà deve fronteggiare i veloci cambiamenti e le crisi che le potenzialità offerte dallo sviluppo tecnologico e medico portano necessariamente con sé. Entrambe le emergenze, quella adolescenziale e quella degli adulti che, come gli adolescenti, si trovano a utilizzare i nuovi strumenti a volte senza un’adeguata coscienza, richiamano l’attenzione di chi si occupa dello sviluppo dell’uomo e dell’educazione attorno al corpo e a tutti quegli elementi che, agendo direttamente su di esso, possono incrementare le tensioni del cambiamento già in atto e segnare l’espressione pulsionale e aggressiva in modi non prevedibili e non conosciuti dalla cultura della generazione precedente.

Se il mondo degli adulti e della cultura si può porre positivamente come terzo polo, terza forza, mediatore e limite tra il mondo interno dell’adolescente e la realtà in cui questo si esprime, il mondo dei nuovi oggetti che mediano il rapporto tra il corpo e la realtà appartiene alla matrice che genera le virtualità che offrono la forma ai desideri. Questo mondo può porsi come terzo incomodo nel rapporto tra l’adolescente e l’adulto e tra entrambi e la realtà interna ed esterna.

Il medium, ovvero l’oggetto che media il rapporto tra il corpo e la realtà, non ha necessariamente e in modo previo né la funzione di limite che permette alle forze del corpo di esprimersi in modo congruo nella realtà, né la funzione di mediatore tra le tensioni interne e l’espressione, né un linguaggio adatto a tale scopo, né lo scopo preordinato di favorire l’integrazione di emozione, affetti, pensiero e azione. Il medium cambia il rapporto tra la persona e la realtà e tra le persone e non favorisce necessariamente l’organizzazione del mondo interno. Piuttosto potenzia alcune funzioni nel rapporto con la realtà oppure offre nuove possibilità, ma contemporaneamente pone nuove linee di forza e rapporti all’interno del sistema culturale e psichico e preme entrambi, sia adulti sia adolescenti, per essere assimilato. L’assimilazione del medium al sistema culturale e psicologico può apportare nuove potenzialità, ma spesso precede la comprensione della variazione apportata sul sistema e a volte gli unici effetti che vengono considerati preventivamente all’introduzione nella realtà commerciale e sociale sono quelli che ricadono sulla salute fisica. Riguardo alla salute psicologica tutto sembra lasciato all’attenzione degli studi epidemiologici, alla cura del tempo o alla fede in qualche forma di autoregolazione come nell’economia così nella psicologia sociale e individuale.

McLuhan13 negli anni Sessanta, a partire dai cambiamenti apportati dalla comunicazione di massa e dai nuovi mezzi di informazione, voltandosi al passato e osservando in che modo ogni innovazione tecnologica, come la stampa a caratteri mobili di Gutenberg e le rivoluzioni industriali, avessero cambiato profondamente i legami sociali e l’uomo, definì il medium come una realtà che diventa estensione stessa della persona poiché altera le relazioni sensoriali o le forme di percezione e cambia le proporzioni dei legami personali e sociali. In particolare, ogni nuovo medium si pone in modo immediato e ha un impatto traumatico sul precedente in virtù di una sua propria grammatica che stabilisce principi e linee di forza nuovi tra i legami personali e sociali, cambiandone le proporzioni. Il suo messaggio consiste proprio nel mutamento di proporzioni, di ritmo e di schemi che introduce nei rapporti, interviene direttamente sulla percezione della distanza e del contatto di qualcuno rispetto a qualcun altro e muta la forma delle relazioni poiché nel suo messaggio amplifica e accelera i processi già esistenti, frammenta o integra, accentra o decentra, restringe o allarga, velocizza o rallenta, modula vicinanza e contatto, pone rapporti sequenziali o simultanei. In virtù di queste operazioni ogni nuovo medium diviene pertanto una nostra estensione, un corpo simbiotico, una carica fissa, con un potere formativo che configura in modo nuovo la consapevolezza e l’esperienza di sé stessi in modo tale che tendiamo ad assomigliare al suo funzionamento.

In adolescenza un medium, come una nuova tecnologia meccanica o digitale o una nuova molecola o tecnica biomedica, mutando le condizioni di forza e la forma del legame tra le realtà interne ed esterne delle persone in gioco, può assumere una reale funzione di terzo, se permette l’espressione del sé in accordo con i bisogni di individuazione e integrazione delle forze pulsionali e aggressive rispetto al mondo sociale. Può svolgere la funzione di mediatore se sostiene, equilibra o accorda il difficile rapporto tra l’apparato psichico, le esigenze interne e le possibilità esterne. Può avere invece una valenza involutiva e di incremento di disorganizzazione delle diverse parti del sé o indebolimento dei confini se non è pensato a priori come strumento psicologico, pedagogico o educativo ed è lasciato cadere con indifferenza sul mondo adolescenziale.

Ogni medium ci interroga pertanto rispetto ai cambiamenti che questo apporta sul sistema psicologico e sociale in particolare per quanto riguarda la psicologia evolutiva e rientrano tra i medium anche i farmaci qualora questi apportino possibile sofferenza e variazione di proporzioni tra l’adolescente e il suo corpo e tra il mondo interpersonale e l’adolescente. Interpretare il farmaco come medium, ovvero non come elemento neutro e strumentale, ma come oggetto che può avere una ricaduta significativa dal punto di vista della relazione tra il mondo degli adulti e quello degli adolescenti e tra il corpo sessualizzato e la mente dell’adolescente stesso, è pertanto necessario sia in ottica di prevenzione rispetto allo sviluppo di disagio sia in ottica di accompagnamento terapeutico.

Possiamo dunque chiederci come un’adolescente potrebbe vivere il trattamento esclusivamente medico di una possibile gravidanza attraverso la pillola del giorno dopo o dei cinque giorni, possiamo chiederci come potrebbe essere avvertita la figura dell’adulto che si limita a somministrare il trattamento farmacologico senza sostenere il vissuto psicologico. La richiesta del farmaco in adolescenza è anche correlata a una condotta sessuale a rischio e dobbiamo chiederci quale possa essere il ruolo della figura educatrice e sanitaria nella prevenzione di rischi sanitari e ricadute psicologiche. Qualora la pillola possa essere acquisita senza alcuna ricetta medica per le persone maggiorenni è facilmente immaginabile che anche una minorenne possa ottenerla senza incontrare adulti diversi dall’amica maggiorenne che si presta a comprarla in farmacia. Possiamo quindi chiederci se esiste una relazione tra la probabilità che si verifichi nuovamente il ricorso all’accesso del farmaco e il ripetersi di nuove condotte sessuali non protette, qualora il farmaco venga offerto come rimedio non accompagnato da alcuna presa in carico sanitaria, percorso di ascolto e dunque in assenza di una figura adulta competente.

III.4. Contraccezione in emergenza

 III.4.1. Contraccezione in emergenza e adolescenza

Valutare l’assunzione da parte di un’adolescente di un farmaco che rientra nella categoria “contraccezione d’emergenza” è molto complicato, ancora più complicato se il farmaco rientra tra gli agenti abortivi e decisamente complesso se ammettiamo la possibilità che, nel caso in cui il farmaco sia disponibile senza ricetta medica, ragazze maggiorenni possano comprarlo per amiche minorenni, che lo assumono in solitudine. Come possono essere gestiti i possibili effetti collaterali del farmaco se il medico non sa che cosa è stato assunto? Di chi è la responsabilità rispetto a questi effetti?

A questa complessità si aggiunge anche il fatto che l’emergenza medica racchiude altre emergenze e rischi propriamente adolescenziali, che le valutazioni circa la biochimica del farmaco non considerano e che è nostra intenzione esplorare.

Se un’adolescente vuole assumere una pillola perché teme di andare incontro a una gravidanza, vuol dire che c’è stato un rapporto non protetto e l’atto sessuale può avere esposto la ragazza al rischio di contrarre malattie sessualmente trasmissibili per le quali, scongiurata la paura di essere in gravidanza, presumibilmente non verrà svolta alcuna indagine.  Ed è questo un rischio sanitario, che può, in caso di malattia grave, avere una ricaduta su tutto lo sviluppo psicosociale della ragazza. Tuttavia, la parola rischio, in adolescenza, non qualifica solo quell’insieme di fenomeni clinici che rientrano negli studi epidemiologici sanitari ma anche quell’insieme di comportamenti, detti comportamenti a rischio, difficilmente quantificabili e correlabili allo sviluppo della mente dell’adolescente. Tra i comportamenti a rischio rientrano le azioni che possono arrecare danno fisico o morte a se stessi o agli altri, la guida spericolata, l’uso di sostanze o l’instaurarsi di dipendenze, i disturbi della condotta alimentare e il comportamento sessuale non protetto, troppo precoce o al di fuori delle relazioni affettive paritarie.

Un atto sessuale non protetto può essere infatti correlato alla giovane età dell’adolescente e dunque alla percezione del rischio della mente adolescenziale, ma anche ad un incremento della dispercezione del rischio dovuto all’alterazione dello stato di coscienza conseguente all’assunzione di sostanze.

Un atto sessuale che non avviene tra persone della stessa età, ovvero tra persone che hanno diversa maturazione mentale, può avere una ricaduta traumatica sullo sviluppo psicosessuale dell’individuo ed è questo un dato che la clinica dei giovani adulti e degli adulti considera ormai consolidato e su cui la legislazione di ogni paese interviene anche se in modi differenti. In Italia, individuata nei quattordici anni l’età del consenso, si ritiene perseguibile l’atto qualora tra le parti vi si una differenza di età di tre anni e la persona maggiore in età è considerata abusante anche se la persona minore di quattordici anni ha espresso il suo consenso all’atto.

Là dove poi vi sia anche una coercizione mentale o fisica e dunque un’azione violenta, a parità di sviluppo mentale o con condizione di diversa maturazione mentale, il trauma psicologico è ancora più probabile ed è ancora più necessario che la ragazza possa accedere all’intervento psicoterapeutico, oltre che medico.

In questo dialogo doveroso e sempre da ridefinire tra la mente dell’adolescente che incorre o si imbatte in comportamenti a rischio e quella dell’adulto che è tenuto a prendersene cura, l’accesso potenzialmente immediato (non mediato) al farmaco pone uno iato tra la tendenza a non comunicare il vissuto da parte dell’adolescente per paura o vergogna rispetto ad un’azione rischiosa subita o desiderata e la necessità o il dovere degli adulti di conoscere e rispondere al bisogno di contenere, mentalizzare ed elaborare quanto vissuto anche per prevenire ulteriori comportamenti a rischio o traumi.

III.4.2. La percezione del rischio nella mente dell’adolescente

L’elenco delle diverse componenti che qualificano il comportamento sessuale a rischio allarga il campo d’indagine ai fattori mentali che rendono più probabile questo comportamento in adolescenza, all’eventuale sviluppo di un trauma psicologico e ai fattori relazionali che possono incrementare la resilienza, favorire lo sviluppo psicofisico e prevenire la sofferenza mentale. Risulta pertanto fondamentale provare a considerare sia il funzionamento della mente adolescenziale rispetto alla percezione del rischio, sia rappresentare la ricaduta di un trauma rispetto allo sviluppo psicosessuale dell’adolescente.

I fattori mentali che predispongono l’adolescenza ad agiti definibili come comportamenti a rischio, al punto tale che nessun altro periodo della vita di una persona è così esposto al rischio di morte o allo sviluppo di dipendenze, sono almeno quattro e tutti inerenti la ricerca della gratificazione.

Il primo fattore è l’aumento dell’impulsività, strettamente correlato a questo è il secondo, ovvero la maggiore predisposizione a sviluppare dipendenze; terzo fattore è l’immaturità del sistema di differimento dell’azione, che è correlato con la tolleranza della frustrazione, e quarto, ma non per ordine di importanza né di comparsa, è il pensiero iper-razionale14.

In termini neuropsicologici durante l’adolescenza avviene un incremento dei circuiti cerebrali che utilizzano la dopamina, neurotrasmettitore fondamentale per generare la tensione che motiva la ricerca della gratificazione. In particolare, il livello di base della dopamina è inferiore rispetto alle altre fasi di vita, mentre il rilascio in relazione alle esperienze compiute è maggiore. Le esperienze che possono suscitare euforia, vitalità ed eccitazione, sono pertanto sentite come molto attraenti mentre, quando queste non sono presenti né nell’azione né nell’immaginario, emerge la noia15.

L’impulso all’azione generato dalla dopamina prevale sulla possibilità, offerta dalla corteccia frontale e prefrontale in via di maturazione (lo sviluppo termina relativamente a 18 anni), di considerare altri corsi d’azione, azioni morali o comportamenti sociali empaticamente mediati. L’impulsività si manifesta pertanto come sbilanciamento nel rapporto tra l’azione e il pensiero in favore del primo.

La scarsa possibilità di rinviare la soddisfazione del bisogno, ovvero di inserire una pausa tra l’emersione del bisogno di gratificazione e la sua ricerca, favorisce lo sviluppo di dipendenze, poiché tutte le sostanze e i comportamenti che generano dipendenza rilasciano dopamina. Emerge pertanto la possibilità di instaurare un circolo vizioso, tra un comportamento che rilascia dopamina e la sua ricerca nel momento in cui il neurotrasmettitore diminuisce, malgrado sia conservato un giudizio corretto rispetto alla nocività del comportamento stesso16.

La limitazione nella funzione di rinvio della soddisfazione del bisogno e la limitata tolleranza alla frustrazione sono correlabili anche con l’immaturità della corteccia anteriore del cingolo (anche lo sviluppo di quest’area cerebrale termina relativamente a 18 anni) che è connessa sia alla corteccia prefrontale, sia ai nuclei più profondi che generano le emozioni. In particolare, la corteccia anteriore del cingolo, tenendo a freno l’amigdala e le reazioni negative, permette di «imbrigliare il disagio, ossia le emozioni negative che insorgono dall’impossibilità di trovare una gratificazione immediata»17. Moderando l’espressione del disagio e trattenendo la negatività legata alla rinuncia della gratificazione, la corteccia del cingolo favorisce la capacità di scendere a compromessi e offre alla corteccia prefrontale il “tempo” per valutare gli esiti dei possibili corsi d’azione, favorire il problem-solving, la risoluzione dei conflitti e dunque stabilire un dialogo più civile e maturo con l’interlocutore.

Ulteriore caratteristica della mente adolescenziale è il pensiero iper-razionale che, analizzando solo i singoli dati di fatto di una situazione, senza considerarla nel suo complesso, perde di vista il contesto generale. Come afferma Siegel

Con un pensiero letterale di questo tipo, da adolescenti diamo più importanza ai vantaggi calcolati di un comportamento che non ai suoi potenziali rischi. La ricerca scientifica ha evidenziato come durante l’adolescenza siamo pienamente consapevoli dei rischi, addirittura ci capiti di sovrastimare la possibilità di eventi negativi; il fatto è che diamo più peso agli eccitanti benefici potenziali delle nostre azioni18.

Diversamente dall’impulsività che è caratterizzata dall’assenza di riflessione o dalla dipendenza da un comportamento o sostanza che generano dopamina, il pensiero iper-razionale sopravaluta il risultato positivo, ne amplifica la portata mentre minimizza quella dell’esito negativo anche se ritenuto possibile: i «PRO pesano di gran lunga più dei contro e alla fine si decide che il rischio vale la candela19».

Secondo Goldberg «la capacità di esercitare un controllo volizionale sulle proprie azioni non è innata, ma emerge gradualmente nel corso dello sviluppo20» ed è in rapporto all’ordine ambientale. Il controllo volizionale implica la capacità di anticipare le conseguenze delle proprie azioni ed è necessario che nel corso del tempo, mentre le cortecce coinvolte maturano, si formi una vasta e articolata tassonomia dei comportamenti e delle azioni morali consentite.

Nel corso degli anni si passa anche dal pensiero iper-razionale al pensiero “globale” che permette di considerare il contesto nella sua complessità utilizzando «l’intuizione per perseguire valori positivi in cui crediamo, invece di concentrarci principalmente sulla ricerca di una gratificazione immediata indotta dalla dopamina21».

In termini psicodinamici la percezione del rischio è correlata alla comprensione del rischio e la comprensione del rischio all’esame di realtà, ovvero al riconoscimento degli elementi di rischio presenti nella realtà condivisa; tuttavia non basta riconoscere una bomba per percepirne il rischio: la sua percezione dipende anche dal senso di realtà ovvero dall’attribuzione di significati condivisibili rispetto al rapporto tra la propria posizione nel presente e l’elemento della realtà che viene investito emotivamente ed è vissuto come eccitante. Un adolescente che si fa un selfie sul cornicione di un palazzo di venti piani conserva l’esame di realtà perché sa di essere al ventesimo piano e che in caso di caduta, non disponendo né di ali né della capacità di levitazione (in tal caso l’esame di realtà non sarebbe conservato), l’altezza è sufficiente per ucciderlo; tuttavia il senso di realtà è profondamente alterato dallo stato di eccitazione per cui tra la sua posizione e la condizione di realtà si crea uno scollamento, uno spazio così ampio che il senso di vertigine incrementa l’eccitazione stessa offrendo un forte senso di vitalità e onnipotenza. È presente la coscienza che lo stato di eccitazione è dovuto al rischio stesso ma l’adolescente si sente potente in una situazione in cui il limite oggettivo, l’estrema precarietà della situazione e la possibilità di essere annichilito dalla stessa situazione ricercata non sono avvertiti, non nutrono il senso della realtà: l’eccitamento interiore prevale sul senso di realtà.

 III.4.3. Tra la contraccezione d’emergenza e la prevenzione

Riguardo alla fenomenologia dei comportamenti sessuali a rischio valgono le considerazioni fin qui esposte per cui risulta prevedibile che questi siano tanto più probabili quanto minore è l’età dell’adolescente, malgrado possa esserci una comprensione razionale del rischio. La clinica adolescenziale22 individua nell’innamoramento, nell’investimento affettivo e nella maturazione sentimentale della coppia i fattori che rendono meno probabili i comportamenti a rischio.

Laddove invece l’azione prevale sul pensiero e l’emozione sull’affetto, qualora il vissuto sia troppo doloroso per essere pensato, è possibile che lo sviluppo psicosessuale sia turbato da un trauma. Quando ciò accade la componente emotiva e affettiva dell’azione non accedono alla rappresentazione del pensiero cosciente. In questi casi l’azione non viene valutata rispetto alle sue conseguenze, non insegna nulla; piuttosto, se l’azione ha una qualche efficacia allontanando conflitti o difendendo la vita psichica dall’emersione di fantasmi interni che potrebbero invaderla o minacciarla, l’azione può assumere la forma della coazione a ripetere o quella della compulsione. Quando si insatura questa circolarità tra l’azione e l’evitamento dei vissuti, poiché azione, emozione e affetti risultano scissi, sussiste la possibilità che l’assunzione della pillola per la contraccezione d’emergenza possa essere ripetuta, poiché il comportamento a rischio viene reiterato nella sua scissione dal vissuto.

Secondo un’ipotesi di Siegel alla base della dissociazione del trauma vi sarebbe un blocco del passaggio dalla memoria implicita a quella esplicita. Le esperienze in quanto emozioni, percezioni e sensazioni corporee e risposte comportamentali, vengono registrate nel cervello inizialmente nella memoria implicita, che costituisce la base della capacità di ricordare. Questi elementi vengono poi riuniti in schemi e modelli per predisporre le diverse modalità di risposta e integrati nella regione limbica per costituire due forme di memoria esplicita: quella autobiografica e quella semantica che riguarda fatti e conoscenze sul mondo. La prima conserva il senso di sé nel momento passato, mentre la seconda permette di conservare eventi non vissuti direttamente. Con il trauma «i ricordi impliciti, allo stato puro, non integrati nella memoria esplicita, hanno una caratteristica importante: non sono contrassegnati come ricordi di eventi del passato23» per cui sensazioni, emozioni, immagini o impulsi ad agire «irrompono nella mente come se comparissero per la prima volta in quel momento24». Il paradosso è che la stessa azione che ha procurato il trauma può essere ripetuta in stato di confusione, frammentazione e dissociazione, poiché nessun significato storico si frappone tra l’emozione e l’azione.

Rispetto al significato che può avere per un’adolescente l’accesso immediato alla pillola per la contraccezione d’emergenza in assenza di figure professionali mediche o psicologiche, considerando il funzionamento della mente adolescenziale, possiamo ipotizzare che l’assunzione della pillola, proprio per le caratteristiche di disponibilità fisica e commerciale immediata e di immediata soluzione rispetto all’ansia della possibile gravidanza, entri in sintonia con l’impulsività e possa per questo rinforzarla: se la soluzione all’agito impulsivo è una soluzione immediata, nuovamente l’azione prevale sul pensiero. Ad un comportamento a rischio segue un ulteriore comportamento immediato, per cui non si può di certo affermare che l’assunzione della pillola per la contraccezione d’emergenza sia terapeutica rispetto al comportamento sessuale a rischio.

Spesso nell’adulto e quasi certamente nell’adolescente, quando la contingenza imposta da un fenomeno evoca uno stato di emergenza, l’azione diventa emotiva e al pensiero si sostituisce l’azione: un’azione che allontani il più possibile il fenomeno temuto e in questi casi la corteccia anteriore del cingolo è decisamente in difficoltà nel tenere a bada le reazioni mosse dall’amigdala. Spesso gli adulti provano ad anticipare tali fenomeni predisponendo protocolli di intervento in modo che, a fronte del fenomeno rischioso, l’azione sia scandita per ordinare l’evento verso una sua attenuazione o risoluzione, ma è un’azione scandita, dettata appunto, e non pensata da chi la vive nella sua soggettività. Se consideriamo la libera vendita della pillola per la contraccezione d’emergenza come un protocollo d’emergenza, la disponibilità immediata del farmaco è un’azione in cui il corpo è oggetto dell’intervento e non parte integrata del soggetto che vive l’esperienza. Trattandosi di adolescenti e di menti normalmente impulsive, predisporre un’azione immediata nei confronti di un comportamento a rischio può fare della risposta dell’adulto un atto che collude con l’agito dell’adolescente. Al comportamento a rischio dell’adolescente l’adulto risponde con il rischio della collusione e ogni confine e possibilità di chiarezza interna ed esterna viene meno. Inoltre, nell’azione collusiva, prevalendo il rispecchiamento e il rinforzo, è possibile che il profilo dell’azione dell’adulto, reattivo e immediato, venga assimilato dal pensiero dell’adolescente e la logica dell’azione immediata e impulsiva rinforzata.

Nel corso dei secoli il mondo degli adulti ha sempre predisposto riti di iniziazione che potessero, attraverso veri e propri psicodrammi, azioni significative e simboli, contenere le tensioni dell’adolescenza e rispondere alle sue esigenze evolutive: l’integrazione delle pulsioni sessuali e aggressive in seno alla società25.

Oggi mentre si registra un incremento delle malattie sessualmente trasmissibili e l’età del primo rapporto si abbassa a soglie un tempo non ipotizzate, il mondo degli adulti sembra ritrarsi dal dialogo con l’adolescente e il suo mondo, sembra abdicare la sua presenza, la sua funzione di Io ausiliario, di terzo e di mediatore in favore del medium farmacologico che è proposto con un profilo di immediatezza sia commerciale, sia fattuale, tali per cui l’adolescente è lasciato solo davanti al suo comportamento a rischio.

A volte il comportamento a rischio è un segnale che l’adolescente invia, con un linguaggio immediato e concreto, al mondo degli adulti; Jeammet ipotizza ad esempio che gli agiti e i comportamenti a rischio violenti o sessuali che hanno per teatro il corpo femminile possano essere dei veri e propri attacchi della figlia nei confronti della mamma, attraverso il proprio corpo. Tuttavia, se nessuno è disposto a cogliere il significato di questi comportamenti, la stessa azione ricade sull’adolescente in tutta la sua concretezza.

Immaginiamo che un adolescente lanci un libro al primo adulto che gli capita a tiro. Che cosa farà l’adulto? Proverà a schivare il libro e farà finta di niente? lo raccoglierà e lo rimetterà a posto? O lo leggerà per poi raccontargli quello che ha capito? A seconda della risposta il mondo esterno, nella sovrapposizione e compenetrazione delle diverse complessità, quella culturale, sociale, tecnologica, istituzionale e familiare, verrà percepito dall’adolescente a volte come un’estensione non consapevole del proprio mondo interno, a volte come elemento alieno, a volte come spazio vuoto che non corrisponde ai propri bisogni evolutivi, altre volte, se qualche adulto considera il comportamento come una domanda implicita che ha bisogno di un ascolto non giudicante per emergere e delle giuste domande per far ragionare, l’adolescente fa un’esperienza di integrazione tra emozioni, sentimenti, affetti, pensieri e azioni e acquisisce uno schema utile per il futuro.

Lo psichismo del mondo esterno, il suo funzionamento, la sua capacità di mentalizzare, sollecitare, indurre, rinforzare o evacuare le emozioni e le pulsioni, la sua capacità di comprendere o ignorare i vissuti dell’adolescente, interpretarli o misconoscerli, è parte dello psichismo dell’adolescente.

Per questa compenetrazione di mondi e realtà psicologiche il mondo sociale e istituzionale degli adulti può svolgere una funzione ora di Io ausiliario, predisponendo spazi e interventi funzionali all’ascolto e al sostegno della maturazione della mentalizzazione dei vissuti e dunque della possibilità di differire le azioni, ora di assenza. La stessa richiesta della pillola può essere vissuta ora come medium che cancella le conseguenze dell’atto sessuale e la pillola come azione di rimozione, ora come occasione di dialogo con un professionista che non si limita a rispondere alla contingenza, ma che ascolta e accoglie le paure per permettere un momento di incontro26 e la mentalizzazione dei vissuti.

Ci auguriamo pertanto che l’adolescente possa imbattersi in un rapporto d’aiuto e non in un’azione in pillola: una risposta muta a una domanda mai nata che alimenta il clima di silenzio e tabù attorno a vissuti non pensati. Ci auguriamo che gli adulti (genitori, insegnanti, psicologi, medici, farmacisti) non smettano di ricercare l’individuazione di uno spazio interpersonale di mediazione affinché l’agito sessuale dall’adolescente non si associ semplicemente all’agito dell’assunzione del medium-farmaco. La semplice assunzione del farmaco è infatti un fenomeno tutt’altro che semplice, poiché, per la funzione che svolge, si può porre come carica fissa all’interno del mondo psicologico dell’adolescente e con un peso specifico, una ricaduta psicologica che è difficilmente prevedibile.

Chi si occupa di adolescenti ed è solito rappresentarsi il loro mondo interno spesso si imbatte in bisogni senza desiderio, in desideri senza oggetto, in oggetti senza volto e in azioni senza volontà.  Ci auguriamo che nel rapporto d’aiuto, che è la risposta più matura alla naturalmente immatura tendenza adolescenziale all’evacuazione dei vissuti negativi, si cerchi di accordare la domanda esplicita di soluzione immediata con la domanda implicita e lavorare sul vissuto conscio e inconscio per accompagnare l’integrazione di emozioni, affetti e pulsioni e favorire azioni pensate, desiderate e volute.


Note

1 «⌈…⌉ neurotrasmettitore fondamentale per generare la tensione che motiva la ricerca della gratificazione». SIEGEL D.J., Brainstorm. The Power and Purpose of the Teenager Brain, Penguin Group, New York 2013; tr. it. La mente adolescente, Raffaello Cortina Editore, Milano 2014, 74

2 Secondo Daniel Stern il bambino sperimenta diversi sensi del sé in occasione di azioni o processi psicologici. Nel corso degli anni queste prospettive che organizzano l’esperienza si susseguono come gli strati di una cipolla in modo tale che l’ultimo ingloba quelli precedenti aggiungendo nuove esperienze soggettive organizzanti e riorganizzando l’esperienza del sé nella sua totalità. Cfr. STERN D.N., The Interpersonal World of the Infant, Basic Books, New York 1985; tr. it. Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, Torino 1987

3 Cfr. S. FERENCZI, Sprachverwirrung zwischen den Erwachesen und dem Kind,«International Zeitschrift fur Psychoanalyse», 19 (1933) 5-15, tr. it. Confusione delle lingue tra adulti e bambini, in CARLONI G., MOLINARI E., Fondamenti di psicoanalisi, v.3, Guaraldi, Rimini 1974. Cfr. BORGOGNO F., Psicoanalisi come percorso, Bollati Boringhieri, Torino 1999

4 Y. MOUCHENIK, T. BAUBE, MR MORO, Manuel des Psychotraumatismes, Editions La pensée sauvage, Paris 2012

5 Cfr. P. JEAMMET, Psychopatologie de l’adolescence, Masson, Paris 1980; tr. it. Psicopatologia dell’adolescenza, Edizioni Borla, Roma 1992

6 Cfr. JG ALLEN, P. FONAGY, AW BATEMAN, Mentalizing in Clinical Pratice, American Psychiatric Publishing, Washington 2008, tr. it. La mentalizzazione nella pratica clinica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010

7 «Durante l’adolescenza, la riattivazione del conflitto edipico si manifesta in un contesto differente rispetto all’infanzia, perché lo sviluppo pubertario rende possibile la realizzazione sessuale. L’immaturità del bambino non può più giocare il suo ruolo protettivo, che, in un certo senso, serviva da supporto oggettivo ai divieti e all’angoscia di castrazione, preservando il narcisismo del soggetto». C. CHABERT, «Modalità di funzionamento psichico degli adolescenti attraverso il Rorschach e il T.A.T.», in PELANDA E., I test proiettivi in adolescenza, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994, 19

8 Cfr. R. Girard, Mensonge Romantique et Vérité Romanesque, Edition Grasset, Parigi 1961, tr. it. Menzogna romantica e verità romanzesca, Bompiani, Milano 2002; Id., Deschoses cache depuis la fondationdu monde, Edition Grasset, Parigi 1978, tr. it. Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, Adelphi, Milano 1983

9 «[…] uno stato di eccitazione permanente, che sembra necessario per assicurare la coesione narcisistica, alla maniera dell’Io-pelle degli isterici che, secondo Anzieu, si costruiscono un involucro di eccitazione che garantisce il sentimento di continuità di esistere». Chabert C., «Tra dentro e fuori: la costrizione nel test di Rorschach», in Pelanda E., I test proiettivi in adolescenza, Raffaello Cortina Editore, Milano 1994, 37. Cfr. Anzieu D., Le Moi-peau, Bordas, Parigi 1985, tr. it. L’Io-pelle, Edizioni Borla, Roma 1994

10 Cfr.  DN STERN, Il mondo interpersonale, cit.

11  P.  JEAMMET, Psicopatologia dell’adolescenza, cit.,  9

12  «Le neuroimmagini che consentono di rappresentare l’andamento di processi cerebrali mostrano che, quando agli adolescenti viene mostrata la fotografia di un volto con un’espressione neutra, si attiva un’area importante della regione limbica, l’amigdala, che ha un ruolo fondamentale in emozioni come la rabbia e la paura, mentre negli adulti la stessa immagine stimola l’attivazione della più “razionale” corteccia prefrontale. La conseguenza è che da adolescenti possiamo sviluppare la convinzione che persino una reazione neutra da parte di un’altra persona sia pervasa da ostilità». DJ SIEGEL,  La mente adolescente, cit., 110-112

13 Cfr.  M. MCLUHAN,  Q. FIORE, The Medium is the Message, Jerome Agel, Toronto 1967; tr. it.  Il medium è il messaggio, Feltrinelli, Milano 2011

14 Cfr.  DJ SIEGEL, La mente adolescente, cit.

15 IBID., 74

16  DJ SIEGEL, La mente adolescente, cit., 76

17 GOLDBERG E., The Executive Brain. Frontal Lobes and the Civilized Mind, Elkhonon Goldberg, Oxford 2001, tr. it.  L’anima del cervello, Utet, Torino 2004, 166

18 DJ SIEGEL,  La mente adolescente, cit.,  76

19 IBID.,  77

20  E. GOLDEBERG, L’anima del cervello, cit. 164

21  DJ SIEGEL,  La mente adolescente, cit.,  77

22 Cfr. DJ SIEGEL,  op. cit.

23 IBID., 189

24 IBID., 189

25 Cfr. P.  JEAMMET,  Psicopatologia dell’adolescenza, cit.

26  «Nel momento di incontro […] il campo intersoggettivo si riorganizza implicitamente in direzione di una maggiore coesione e i membri della diade percepiscono “un’apertura” nella loro relazione, che consente loro di esplorare insieme nuove aree di conoscenza esplicita o implicita». Stern DN., The Present Moment in Psychotherapy and Everyday Life, W.W. Norton & Company, New York 2004, tr. it. Il momento presente in psicoterapia e nella vita quotidiana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2005, 182

 


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