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47 Aprile 2018
Speciale Bioetica e Postumano: Riflessioni

«Bioetica e Postumano» del prof. Giuseppe Zeppegno: un commento

In breve

Lo sforzo costante dell’uomo, nell’arco millenario della sua storia, è sempre stato rivolto a migliorare le condizioni della propria vita. Questo sforzo ha portato l’uomo a elaborare strumenti utili a risolvere i problemi che, nei diversi momenti della sua vita, derivavano dalle difficoltà e dagli ostacoli di un ambiente da dominare. Ma la disomogeneità intellettuale del genere umano ha sempre inciso, spesso in modi contrapposti, sui fini e sugli scopi verso i quali rivolgere l’utilizzo degli strumenti forniti dalla sua stessa capacità produttiva. Fenomeno che ha inciso, a sua volta, nel determinare un percorso storico caratterizzato da aspetti sociali, politici e culturali diversi. Don Zeppegno, per quanto in modo sintetico, traccia questo accidentato percorso umano cogliendone i ‘salti’ più significativi fino a evidenziare lo sviluppo della cultura emersa nei tempi attuali, che mira al superamento del tradizionale modello antropologico per ‘sfondarne’ le barriere, liberando così l’uomo stesso dai vincoli restrittivi in cui è "apparentemente" imprigionato da una natura invece superabile con il progresso della scienza e della tecnologia.

Ho accettato con molto piacere l’invito a partecipare alla presentazione del bellissimo libro di don Zeppegno Bioetica e Postumano e a esporre, in un quadro riassuntivo, la mia interpretazione del tema trattato. Tema cui l’autore accede attraverso un percorso storico-prospettico, come indicato nel sottotitolo, dettagliato e istruttivo sull’evoluzione psico-culturale della storia dell’uomo e del mondo a partire dall’antichità greca ai giorni nostri.
In quest’ampia traversata vengono messi in evidenza i passaggi antropologici evolutivi e, forse anche involutivi, e i fattori etiopatogenetici che li hanno stimolati, se non concretamente prodotti.

Passaggi antropologici, conseguenza della continua interrelazione tra sé e gli effetti della storia dell’uomo

Passaggi, che sono la conseguenza degli effetti della continua interrelazione tra la storia che l’uomo determina da sé, sotto la spinta di esigenze ancestrali come la necessità di sopravvivenza, la volontà di espansione, e i cambiamenti della sua antropologia. Cambiamenti che non riguardano l’impianto antropologico naturale, che riflette l’ontologica universale uguaglianza della natura umana, di per sé stabilmente definito, ma gli aspetti labili che attengono alla modificabilità psico-fisica dell’uomo, come conseguenza proprio della continua interrelazione tra sé e gli effetti della sua storia, come una vera e propria “azione e contro-reazione”.

Circolo della Stampa, Palazzo Ceriana-Mayneri, Torino, serata di presentazione del volume Bioetica e Postumano del prof. don Giuseppe Zeppegno, 5 marzo 2018 Torino © Bioetica News Torino
Integrazione tra cultura greca e Cristianesimo

Il libro prende le mosse dalla condizione civile e sociale dell’uomo dell’antica Grecia, caratterizzata dallo stretto rapporto di integrazione tra cultura greca e Cristianesimo; e di lì si dipana la sua trasformazione nei diversi aspetti culturali e socio-politici che caratterizzano i processi evolutivi delle diverse fasi successive fino a raggiungere i presupposti concettuali che rappresentano la base del pensiero postumanista.
Si parte dal momento storico fondamentale che consiste nell’assunzione del pensiero greco come presupposto per lo sviluppo della dottrina del Verbo-Dio. La cultura greca ebbe un ruolo essenziale nel favorire l’elaborazione del bagaglio dogmatico del Cristianesimo. Il concetto di un Dio trascendente è infatti già ben presente nella cultura greca, in particolare nel periodo della Scuola neoplatonica di Ammonio Sacca, che ebbe in Plotino, come ricorda don Zeppegno, il suo massimo esponente (11). Al pensiero greco, il Cristianesimo portò il contributo del proprio pensiero secondo il quale la piena conoscenza è determinata dalla rivelazione di Dio con il concetto di redenzione attraverso l’incarnazione del Figlio.

Un progressivo processo di secolarizzazione

Successivamente, la nascita e lo sviluppo di Stati diversi e, come racconta la storia, anche conflittuali, avviò un progressivo processo di secolarizzazione, la cui matrice era l’esigenza di trovare una forma di sincretismo per detendere la conflittualità fra gli Stati liberali, plasmatisi su valori religiosi diversi e discordi sia in Europa, per l’espansione territoriale di confessioni cristiane, sia, soprattutto, in America, per la penetrazione ampia e diffusa delle diverse tendenze civili e religiose di popoli conquistatori di provenienza europea.

In seguito, negli USA, la modernizzazione civile indotta dallo sviluppo del lavoro e della produzione industriale, affermarono il principio di rendere più partecipi i lavoratori ai dettami della produzione e alla disciplina dei movimenti operativi. E di qui nascono i modelli delle catene di montaggio. È  il periodo del “modernismo”, inteso come volontà di costruire sistemi, teorie, interpretazioni totalizzanti; come sistema che crede nella razionalità, nel valore positivo della scienza e dell’intervento tecnologico, nel senso progressivo dello sviluppo storico e del pensiero.

La postmodernità

La riduzione del lavoro, che caratterizza la metà degli anni ’70, ricorda don Zeppegno la comparsa nel mondo industriale e commerciale dei modelli giapponesi, il crollo del muro di Berlino, il dissolvimento dell’Unione Sovietica, sottolinea l’autore, contribuirono a cambiare il panorama sociale, economico e del mondo del lavoro con declino delle sicurezze sociali. Cambia il modo di vivere e il modo di pensare. Questo nuovo stato di cose che segue al periodo della “modernizzazione” precedente, viene definito “post-moderno”. La definizione, precisa l’autore, non ha un significato “post-cronologico”, ma indica piuttosto una fase “post-tematica e stilistica” che si oppone ai principi della modernità intesa come sistema che crede nella razionalità.
«L’uomo – cito dal testo (58) – con la modernità si era ritrovato soggetto autonomo, padrone del reale, artefice del progresso e del suo destino⌈…⌉ La postmodernità, con la sua tendenza nichilista, lo portò invece a valorizzare la dimensione estetica e un tollerante pluralismo».
In sostanza, sottolinea don Zeppegno, all’oggettività si contrappone ogni realtà, apparente e fittizia, individuata attraverso processi di percezione e di impressione.

E questa nuova cultura si riflette in tutte le forme della vita civile, sociale, politica e religiosa. Il limite di questa nuova cultura, secondo l’autore (63): «è l’individualismo esasperato», con ricadute anche in campo teologico che spinse alcuni teologi, come Eugen Drewermann a preferire l’affermazione del mito alla presentazione delle verità rivelate, per incontrare l’Assoluto, attraverso la propria esperienza esistenziale. Ogni esperienza ha carattere estetico individuale e personale, diverso dalla percezione di chiunque altro. Quindi, la fede, come dice l’autore, non è altro che “frutto di una percezione interpretante” (65). E, in questa pluralità di interpretazioni, nasce e si sviluppa il germe del “relativismo”: una regola vale l’altra, ogni esperienza ha diritto di accettazione.
Questa mentalità si riverbera sui comportamenti umani. Si sviluppa e sempre più dilaga una forma mentis che disprezza le competenze, i ruoli, i meriti: l’ «uno vale uno». Il sistema si sposta pericolosamente verso il basso: stiamo cioè assistendo alla crescita di una società sempre meno disponibile al rispetto dei ruoli, della gerarchia come sistema organizzativo delle procedure e delle responsabilità.

La reazione culturale postmodernista coinvolge tutti i valori della ragione umana, ivi inclusi i princìpi dell’etica, perché risulta impossibile avere riferimenti morali stabili e universalmente riconoscibili, in favore di una moralità personale, con tutte le influenze soggettive che ciascuno subisce, dal bene, ma anche dalle insidie del male (66).

“Macchinismo industriale”

La perdita di ogni valore di riferimento unitamente allo sviluppo del mondo industriale, secondo l’autore (91-92), produsse due effetti: «il progresso tecnoscientifico⌈…⌉  e l’esigenza di strappare intere masse di popolazioni dagli stili di vita abituali per concentrarle nelle città dove erano sempre più fiorenti le industrie bisognose di manodopera⌈…⌉ Questo processo ⌈…⌉rispose alla logica del “macchinismo industriale” che isolò l’uomo dal suo ambiente, dalle consuete relazioni familiari e sociali».

La “Società Tecnoscientifica”

Gli effetti socio-antropologici scaturiti dall’interazione tra questa nuova evoluzione postmodernista della storia con lo sviluppo del mondo industriale e di quello sempre più forte e incontrollato della tecnica hanno portato alla nascita della “Società Tecnoscientifica”.
L’uomo intravvede la possibilità di governare i suoi stessi ritmi biologici. L’efficienza psico-fisica rappresenta il nuovo valore della vita a cui tendere mirando a un rimodellamento della natura umana senza riguardo al “principio di responsabilità” (96) . Principio che, secondo Hans Jonas deve diventare un impegno per evitare di affidare le generazioni successive e il loro diritto di esistere, proprio in quanto figlie “volute” di quelle precedenti, a un «progresso – cito dal testo – sconsideratamente illimitato e incontrollabile che pone dilemmi scottanti a proposito della sperimentazione umana, delle tecniche riproduttive, dell’ingegneria genetica» e così via.

La prospettiva di un’Io ricostruito  verso una nuova antropologia

Comincia a intravvedersi all’orizzonte l’emergere di un’era caratterizzata dalla disintegrazione dell’Io, fondato sull’antropologia naturale, e sostituito dalla prospettiva di un’Io ricostruito (101) verso una nuova antropologia. Con queste premesse nasce la proiezione dell’essere umano verso uno stadio ulteriore dell’evoluzione darwiniana che viene definito postumanesimo. Concetto che apparteneva alla letteratura fantascientifica, ma che diventa più “programmatico” dopo il 1992, in seguito alla mostra proposta da Jeffrey Deitch, presso il museo di Arte Contemporanea di Losanna.

Il postumano

La disintegrazione dell’io costituisce la base concettuale del “postumano”. Essa inizia il suo percorso attraverso una totale revisione del significato anatomo-funzionale dell’organo regolatore dell’intero organismo umano: il cervello (102). Cito ancora dal testo: «Alcuni scienziati ⌈…⌉ rifiutano l’idea che possa esistere nell’uomo una sostanza incorporea capace di pensare e decidere e banalizzano ogni riflessione sulla coscienza, sul libero arbitrio e sulla moralità ⌈…⌉il comportamento è unicamente frutto di reazioni fisico-chimiche che avvengono costantemente nel cervello umano e che possono essere modificabili dall’esterno»(102-103).
Addirittura, secondo il pensiero del filosofo tedesco Plessner, uno dei fondatori dell’ ”Antropologia filosofica”, l’uomo, per diventare compiutamente se stesso, deve superare la sua natura e abbandonare l’antica distinzione corpo-anima in luogo di una “antropobiologia” che, utilizzando le scienze, possa trasformare l’uomo come progetto complessivo della natura.

Punto fermo dei post-umanisti – cito ancora dall’autore (105) – è «la percezione dell’uomo come essere non finito, capace di relazione e di razionalità, in continuo divenire, necessitante dell’apporto della tecnica». L’evoluzionismo darwiniano non solo viene accolto ma considerato come condizione basilare perché l’uomo diventi protagonista della sua co-evoluzione (idem).
Secondo Roberto Marchesini, ritenuto, come afferma don Zeppegno il maggior teorico italiano del postumanesimo evoluzionista, oggi l’uomo, grazie allo sviluppo culturale e scientifico di questi ultimi decenni, può perfino: «mettere le mani nel segreto del fenotipo e reimpostare la vita». L’uomo di oggi può così mirare a soddisfare nuovi bisogni e nuove virtualità per cui –secondo Marchesini – «non è più possibile costruire un’identità umana» (idem). Ecco dunque la realizzazione della profezia di Nietzsche del “superuomo” e della “morte di Dio”. Ne derivano alcune conseguenze: che il soggetto post-umano, dovendosi confrontare di continuo con una società in permanente evoluzione, non si può più basare su certezze stabili ma si deve sottomettere a un processo di continuo cambiamento, sempre aperto a quel nuovo che gli deriva dagli sviluppi della tecnica abbandonando i paradigmi della legge naturale (109).
Inoltre, la filosofa statunitense Donna Haraway arriva a sostenere che attraverso la ri-declinazione del corpo umano si arriva a ipotizzare la possibilità di negare la differenza maschile-femminile per favorire un’estetica post-umana ri-sessuata (111-112).
Il postumanesimo supera così il trans-umanesimo, cui il pensiero del filosofo svedese Nick Bostrom, esperto in intelligenza artificiale e fra i massimi teorici del transumanesimo, assegna il dovere morale di migliorare le capacità fisiche e cognitive della specie umana (113).

Aspetti etico-antropologici

Questa nuova filosofia del postumano, che vuole instaurare una nuova prassi antropologica nei confronti del significato dell’uomo nei suoi aspetti costitutivi, pone enormi dilemmi etici e antropologici.

“Bioliberali”, “bioconservatori” e “biorealisti”

Il confronto si pone fra coloro che il prof. Luca Lo Sapio definisce i “bioliberali” e i “bioconservatori”  (177). Secondo gli uni l’uomo è un cantiere aperto, trasformabile in modo indiscriminato. Al contrario i bioconservatori, considerano la corporeità umana qualcosa che non si può trasformare radicalmente o di cui disfarsi. A queste categorie l’autore aggiunge la categoria dei “biorealisti” (203) , cioè di coloro che, precisa l’autore, «sono consapevoli che la tecnica non è più solo strumento di cui servirsi, ma è ormai diventata una partner indivisibile dell’uomo. I “biorealisti” non escludono quindi l’enhancement, ma lo vogliono ricondurre al vero bene delle persone contemporanee e future nel rispetto pieno della natura umana» (204).
Quanto alla Chiesa Cattolica, essa non ha una posizione “anti tecnologica”, ma pone dei limiti alla tecnica laddove questa intenda «giungere a causare la negazione dell’umanità» come negazione del corpo e quindi della nostra naturale finitudine.

Il libro si conclude con alcune considerazioni di giudizio bioetico. Cito il pensiero del dottor Padre MP Faggioni (178) il quale sostiene che la tecnica deve rimanere un «semplice “mezzo-strumento” – perché – non è portatrice di un senso da decifrare, né ha in sé contenuti valoriali che possano esigere rispetto. I valori che guidano la techne, quando agisce sulla physis, non possono, quindi, essere ricavati dalla techne stessa, ma devono essere individuati attraverso un’ermeneutica della physis».

L’autore conclude (203-4-5), spiegando più in dettaglio, il significato del concetto di “biorealismo”, concetto giustificato dalla testimonianza storica secondo cui, cito:

…il connubio uomo-tecnica si è sviluppato dagli albori della civiltà ed è stato elemento indispensabile per il necessario progresso umano⌈…⌉ e non ha senso manifestare contrarietà nei confronti degli interventi curativi d’avanguardia e, in un futuro forse non troppo lontano, anche di quei trattamenti che potrebbero risolvere disfunzioni genetiche determinanti ⌈certe⌉ patologie⌈… ⌉ I biorealisti non possono condividere le affermazioni dei “bioliberali” ⌈…⌉ che argomentano il superamento della natura umana ⌈…⌉ nella convinzione che ogni forma dell’essere sia temporanea ⌈…⌉ e che ogni tentativo di delineare una stabilità ontologica dell’uomo sia un indebito artificio⌈…⌉ il corpo non è un semplice medium ⌈…⌉ di cui si può disporre a piacimento. ⌈Ma⌉ è ciò che qualifica la persona, il tramite che rende possibile il disvelamento dell’intimità dell’uomo e il suo collocarsi nello spazio e nel tempo. Per questo motivo deve essergli riconosciuto un particolare valore.

PRESENTAZIONE LIBRO BIOETICA E POSTUMANO DI ZEPPEGNO 5 marzo 2018

Presentazione del volume Bioetica e Postumano. Percorso storico-prospettico  di Giuseppe Zeppegno, Circolo della Stampa, Palazzo Ceriana-Mayneri, Torino, 5 marzo 2018 –  locandina

ZEPPEGNO G. Bioetica e Postumano If Press 2017 cop

 

ZEPPEGNO G.

Bioetica e postumano

Percorso storico-prospettico

Collana «Bioethica» 32
If Press, Roma 2017, pp. 224

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