Sostieni Bioetica News Torino con una donazione. Sostieni
41 Luglio Agosto 2017
Speciale Le lingue della malattia

La lingua della demenza di Alzeihmer. Analisi linguistica del parlato spontaneo

Convegno «Le Lingue della malattia»
4 maggio 2017 −  Residenza Richelmy, Torino

Intervista1 alla relatrice  Dott.ssa Alessia Macrì

Domanda: Si prevede che nel 2050 si arriverà ad avere 122 milioni di malati di Alzheimer, secondo il World Alzheimer Report 2014 da lei citato al convegno. Un’indagine sulla patologia di tipo multidisciplinare richiede anche un apporto della ricerca linguistica, come ha evidenziato nel suo studio sulla lingua dell’Alzheimer?
E perché non ha senso cercare una definizione della malattia attraverso il lessico ma definire attraverso un approccio di analisi linguistica una “grammatica della patologia”?

Alessia Macrì, linguista Gruppo "Remedia" Università degli Studi di Torino
Alessia Macrì, linguista Gruppo “Remedia” – Università degli Studi di Torino

Risposta: La demenza di Alzheimer è una sindrome neurodegenerativa che si manifesta anche attraverso il progressivo decadimento della competenza linguistico-comunicativa. L’aumento esponenziale della diffusione della malattia richiede una ricerca continua, sia in termini di indagine eziologica sia per ciò che concerne un possibile rallentamento del suo decorso: soprattutto per quanto riguarda tale secondo obiettivo, la linguistica può dare il suo contributo. Sovente, infatti, non è solo la decadenza della parola a compromettere le possibilità comunicative del paziente, ma anche il disagio, lo stress e la coscienza del fallimento del soggetto stesso e dei suoi caregivers. L’indagine linguistica si pone “alle spalle” dell’applicazione di strategie di comunicazione più efficaci: a partire, infatti, dalla conoscenza e dalla descrizione delle peculiarità del linguaggio alzheimeriano, non è impossibile costruire con i pazienti un tentativo di sopravvivenza della parola il più possibile duraturo.

Questo obiettivo necessita di un’analisi sistemica e non limitata al solo livello lessicale; esso, infatti, è già ampliamente studiato, ma soprattutto da un punto di vista neurolinguistico e in termini di prestazione: i test che lo indagano guardano a esso come a un deficit che conferma il decadimento, in ottica diagnostica più che descrittiva. L’obiettivo, invece, di studiare il linguaggio alzheimeriano per fornire una Grammatica della Patologia ha natura descrittiva e profonda, perché le sue peculiarità vanno oltre la difficoltà lessicale e sono inerenti anche la morfosintassi e la retorica, tanto della frase quanto del messaggio globale. I fenomeni identificabili a tali livelli di analisi non sono identificabili secondo le categorie della grammatica normotipica, pertanto richiedono la definizione di un nuovo e integrale sistema, in grado di evidenziare fenomeni linguistici tipici e non di superficie.

D: Quale è l’utilità della linguistica in un contesto medico clinico? Può riportare anche un esempio?

R: Come afferma Vigorelli illustrando l’Approccio Capacitante, la parola alzheimeriana è malata, ma resistente alla “morte”: è compito della linguistica fornire un quadro descrittivo e sistemicamente composto affinché la conversazione possa resistere il più a lungo possibile. Se la lingua del paziente Alzheimer è difficilmente modificabile, quella del suo interlocutore può e deve essere strategicamente costruita secondo gli accorgimenti migliori per favorire una risposta di successo. In estrema sintesi, il linguaggio dei pazienti con demenza è sempre più povero di termini astratti e inconsueti, sempre più incapace di orientarsi nello spazio e nel tempo, sempre più appiattito sulla coordinazione, sempre più sorretto dalla componente melodica e iterativa: se colui che conversa con soggetti la cui lingua è caratterizzata dai tratti suddetti, e ne è consapevole, saprà scegliere strategie attente a un lessico concreto e domestico, incentrate sull’hic et nunc della comunicazione, prive di subordinate e tangibilmente orientate alla ripetizione plurima e cantilenante dei temi narrativi; adatterà, cioè, la propria parola a quella del paziente, così da favorire la resistenza della lingua e, di conseguenza, il benessere e l’appagamento conversazionale.


Note

1 A cura di Gabriella Oldano, giornalista, redazione «Bioetica News Torino». Rivista del Centro Cattolico di Bioetica− Arcidiocesi di Torino

© Bioetica News Torino, Luglio 2017 - Riproduzione Vietata