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4 Dicembre 2012
Speciale L'etica del dono

L’etica del dono. “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” (Mt 10,8)

Donare, ricevere, ricambiare sono dimensioni della relazione interpersonale il cui legame è riconosciuto fin dalla mitologia classica, nonché ripreso attraverso l’intera tradizione cristiana che per suo tramite ha colto la relazione tra il Dio rivelato da Gesù e l’uomo che si dispone alla fede in Lui, pur con accentuazioni variabili nel corso del suo sviluppo […]
L’etica teologica può contribuire in modo significativo a pensare un’etica del dono. Anzitutto essa riconosce la dimensione promettente dell’esistenza offrendole la possibilità di un fondamento, nell’agire benevolo di IHWH nei confronti del suo popolo e nella rivelazione in Gesù della cura del Padre; la Rivelazione indica anche l’agire morale come luogo dell’accoglienza della promessa, in cui dimora chi agisce in modo a sua volta promettente. È facile riconoscere qui una profonda consonanza con la riflessione sociologica sul dono: c’è un dono originario che istituisce un legame (elezione, alleanza, promessa), il legame è positivo perché il Donatore offre lo strumento per accogliere liberamente il dono (agire buono), la cui sintesi consiste nell’amore per il prossimo (circolazione del dono verso il terzo).
L’etica teologica prospetta nella tensione tra amore e giustizia il luogo fecondo che genera l’agire buono, individuando nell’amore il suo fondamento incondizionato e nella giustizia la misura concreta della dedizione al prossimo; tale tensione interpreta in profondità la compresenza di obbligo e gratuità, condizionalità e incondizionalità incontrate nel dono. Il fondamento incondizionato dell’amore umano è l’amore di Dio che lo precede e lo suscita chiedendo di essere riconosciuto. Il primo atto di dono è già debitore di un dono che è ‘altro’, è gratitudine nei confronti di una pura gratuità, è costante asimmetria che si riproduce nei rapporti con il prossimo definito non sulla base di caratteri affini o equivalenti ma a partire dal cuore dl soggetto amante […].
Circa la natura del dono, la Rivelazione lo identifica nella vita piena come possibilità di relazione compiuta: dall’alito di IHWH allo Spirito di Cristo, l’esistenza umana si scopre feconda nella misura in cui accoglie in sé la vita donata da Dio.

SIMONINI P.P., Dono e debito tra scienze umane e teologia. Prospettiva etico-sociale. Seminario di ricerca “La Creazione come dono”, Roma, 15 giugno 2010


Per un cristiano, che si impegna nel mondo attraverso una professione con importanti risvolti di relazionalità e di responsabilità nei confronti del prossimo qual è quella del medico, risulta assai difficile evitare una seria riflessione sull’etica del dono.

Il dono di sé che ognuno di noi è chiamato ad offrire sicuramente non è confrontabile con il compenso che riceviamo per la nostra prestazione (peraltro neppure troppo certo nel periodo a venire) né è sostenuto da quella elevata considerazione sociale di cui un tempo godeva la classe medica (oggi del tutto abbandonata in favore di un più conveniente atteggiamento di “sospetto a priori”).

Se le ragioni del nostro operare a fianco degli ammalati in condizioni spesso disumanizzanti risiedessero nella mera ricerca di una soddisfazione di carattere economico o di un riconoscimento sociale potremmo ben dire di aver intrapreso la strada sbagliata nella nostra vita professionale.

Credo invece che debba spingerci a continuare ad operare accanto ai nostri pazienti la certezza di un Amore che ci ha amati per primo e come tale ci chiede di ri-amare il prossimo come noi siamo stati amati.
Tutti noi siamo stati rivestiti di un Amore che ci ha preceduto, e questa consapevolezza ci spinge ad un duplice atteggiamento di gratitudine verso la fonte inesauribile di questo amore e di giustizia nel condividere con i fratelli i benefici ricevuti, senza peraltro attenderci nulla in cambio in questa vita.


Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date. (Mt 10,8)

Questo precetto, insieme al grande Comandamento dell’Amore, ci impegna a “farci tutto a tutti” prendendo coscienza della nostra vocazione. La chiamata che ciascuno di noi ha ricevuto nella situazione contingente del proprio percorso di vita, anche attraverso le risorse fisiche, intellettuali e spirituali che abbiamo ricevuto e che ci hanno condotto ad esercitare questa professione, ci pone di fronte ad una grande responsabilità: accostarci alla sofferenza dei nostri fratelli portando loro la buona novella di Cristo piuttosto che il nostro personale conforto.

Al di fuori di questa prospettiva l’alternativa a disposizione è pretendere il “giusto” compenso per una prestazione magari altamente specializzata dal punto di vista scientifico ma fredda e distaccata dal punto di vista del contatto interumano. Laddove prevalga la pretesa di guarire sulla disponibilità a curare facendosi carico di tutto l’uomo e non solo dei suoi organi od apparati, tramonta l’etica della giustizia basata sull’amore e vince quella della giustizia basata sul contratto. Ma questa seconda, che trova il proprio fondamento nell’immanente e non nel trascendente, non può durare per sempre!

L’etica del giusto compenso non avrà mai la forza morale e spirituale dell’etica del dono.
Credo piuttosto che al termine del nostro impegno quotidiano, consapevoli di vivere ed operare grazie ad un Amore che ci anima e ci sostiene, pur nella fatica che caratterizza lo sforzo di amare oltre l’umano, potremo ripensare con serenità al percorso fatto nella certezza di aver risposto con tutte le nostre risorse alla vocazione che ci è stata affidata.

«Quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”». (Lc 17,10)

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