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4 Dicembre 2012
Speciale L'etica del dono

Notizie dall’Italia e dal mondo

1. Il suicidio può diffondersi per contagio: studio del Lozier Institute (Washington)

7 novembre 2012

La dottoressa Jacqueline Harvey, del Lozier Institute di Washington e docente presso l’University of North Texas, ha analizzato la letteratura scientifica relativa al suicidio assistito negli ultimi 20 anni, laddove consentito dalla legge e, particolarmente, in Olanda e nord-ovest degli Stati Uniti: Oregon e Washington.

«Il suicidio può diffondersi per contagio, come una malattia infettiva», dice. «In realtà è stato dimostrato statisticamente che, dopo che il suicidio assistito è stato legalizzato in Oregon, il tasso di suicidio è aumentato, soprattutto per gli adolescenti. Lo stesso vale nello stato di Washington e, anche se i dati sono disponibili solo a partire dal 2009, hanno evidenziato che la legalizzazione crea quella che alcuni chiamano una “cultura della morte”». La Harvey ha anche rilevato che le persone votate a farsi assistere medicalmente nel suicidio sentivano generalmente che fosse loro “dovere” morire: erano motivati dal desiderio di non essere di peso agli altri e non da un senso di libertà o di dignità.

La studiosa ha anche fatto notare che in Oregon ci sono stati casi in cui il programma di assistenza sanitaria statale ha offerto di pagare per il suicidio assistito, ma non le cure palliative di controllo del dolore, spingendo di fatto le persone verso il suicidio. Inoltre molti suicidi potrebbero essere evitati in quanto attribuibili a uno stato di depressione, che è curabile.

Parallelamente, il 31 ottobre 2012, l’American Nurses Association (Ana), un’associazione che rappresenta tre milioni e centomila infermieri americani e partecipa alla definizione degli standard di pratiche di cura, ha pubblicato un documento di presa di posizione “forte” contro la partecipazione degli infermieri all’eutanasia attiva e al suicidio assistito. All’associazione degli infermieri si è unita quella dei medici nel dire che la «partecipazione clinica al suicidio assistito è incompatibile con l’integrità del ruolo professionale» e che il suicidio assistito e l’eutanasia «violano il contratto che i professionisti sanitari hanno con la società». Entrambe le organizzazioni hanno promesso di onorare la santità della vita e il loro dovere «primum non nocere».

(Fonte: http://www.lozierinstitute.org/)

 

2. Ordinanza del Tribunale di Cagliari: medici obbligati alla diagnosi pre-impianto

9 novembre 2012

Le strutture sanitarie pubbliche devono offrire la diagnosi genetica pre-impianto alle coppie che la richiedono oppure assicurarla in forma indiretta attraverso altre strutture sanitarie. Con questa decisione, contenuta nell’ordinanza del 9 novembre 2012 relativa alla causa 5.925, il Tribunale di Cagliari ha accolto il ricorso di una coppia (lei, 33enne, affetta da talassemia major, lui, 33enne, portatore sano della malattia) che si era vista negare l’esame che consente di sapere se l’embrione è affetto dalla stessa patologia dei genitori. «Non vi è dubbio – scrive il giudice nell’ordinanza – che la diagnosi genetica pre-impianto debba considerarsi pienamente ammissibile, al fine di assicurare la compatibilità della legge 40 del 2004 con i princìpi del nostro ordinamento giuridico».

«Dev’essere ribadito – si legge nell’ordinanza – come nell’impianto della legge la salute della donna prevalga sull’interesse all’integrità dell’embrione. Pertanto, l’ammissibilità del trasferimento in utero solo degli embrioni sani o portatori sani della patologia non è eventualmente funzionale a un ipotetico “diritto al figlio sano” ovvero a pratiche eugenetiche, le quali sono decisamente differenti rispetto alla fattispecie in esame, in cui sono, invece, rilevanti la sussistenza di un grave pericolo per la salute psico-fisica della donna, anche in relazione a importanti anomalie del concepito».

«La diagnosi preimpianto non è mai una cura, ma la deliberata eliminazione di un essere umano», ha ribattuto Lucio Romano, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, a margine della sentenza del Tribunale di Cagliari. «Comprendiamo la sofferenza di chi è consapevole di essere portatore di una malattia geneticamente trasmissibile», continua Romano, «ma la soluzione non può consistere nella eliminazione dei figli “non sani” rispetto a quelli “sani”, perché in tal modo si legittima il ricorso alla selezione eugenetica. Un figlio non può essere considerato un prodotto».

«Ogni embrione è un essere umano unico e irripetibile e ricordiamo che in due recenti sentenze si è ribadita la dignità dell’embrione dal concepimento», conclude Lucio Romano. «Il pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Unione Europe riconosce all’embrione la dignità di essere umano fin dalla fecondazione mentre la Corte Costituzionale, intervenuta con l’ordinanza n. 97/2010, non ha modificato l’art.13 della Legge 40, per cui permane in vigore il divieto di selezione degli embrioni».

(Fonti: http://www.ilsole24ore.com/ e www.scienzaevita.org )

 

3. Appello dei Ginecologi cattolici italiani al Presidente e al Premier contro la sentenza della Corte di Cassazione che favorisce l’aborto eugenetico

15 novembre 2012

L’assemblea dell’Aigoc, Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici, riunita ad Aversa il 15 novembre 2012, ha deciso all’unanimità di inviare un appello al Presidente della Repubblica, on. Giorgio Napolitano, nella sua qualità di primo garante della Costituzione italiana e presidente del Consiglio Superiore della Magistratura e al Governo italiano, in merito alla sentenza della III Sezione Civile della Corte di Cassazione n. 16.574 del 2 ottobre 2012, che – con un tortuoso giro di parole – di fatto sancisce che: «Se nasce un bambino “malato” deve essere risarcito anche lui per la “vita handicappata” che dovrà vivere a causa della sua nascita, che l’errore medico non ha evitato (o ha concorso a non evitare)».

Secondo l’Aigoc «l’assordante silenzio e l’accettazione passiva da parte del Presidente della Repubblica e del Governo fanno pensare che la nostra Carta Costituzionale non è più valida e che l’antinazismo – nonostante il recente ricordo fatto dal nostro Presidente Napolitano all’amico Francesco Rosi (“da 70 anni siamo fedeli a spirito antifascista”) – è ormai superato e l’eugenismo non è più un crimine contro l’umanità, ma un fatto umanitario e un dovere del medico, che se l’omette è condannato a pagare un risarcimento».

Sempre per l’Aigoc la conferma della deriva eugenetica promossa da alcuni giudici con sentenze manifesto è data dalla Sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo contro la Legge 40/2004, citata sia nella sentenza n. 16.574 della Corte di Cassazione a pag. 45 sia nella la recente sentenza del Tribunale di Cagliari.

I ginecologi cattolici spiegano che la citata sentenza della Corte di Cassazione oltre ad ammettere – nonostante le ripetute negazioni fatte dagli stessi giudici – il «diritto a non nascere malato o handicappato» e l’aborto eugenetico, farà aumentare notevolmente il ricorso alla medicina difensiva dei medici e incrementerà ancora di più gli aborti dopo il terzo mese, che nel 2010 sono stati 3.943, passando dallo 0,5% del 1981 al 3,6% del 2010.

(Fonte: www.zenit.org)

 

4. Congresso dei Medici cattolici: «Contrastare l’eutanasia mascherata in tutta l’Europa»

18 novembre 2012

Contrastare aborto ed eutanasia, presentati spesso in modo mascherato, e difendere la libertà di coscienza sono le sfide principali per i medici fedeli alla loro missione, specialmente in un Est europeo, un tempo oppresso dal totalitarismo comunista e ora tentato dalle derive laiciste. È la radiografia emersa al convegno «Bioetica ed Europa cristiana», organizzato a Roma dal 15 al 18 novembre dall’Associazione dei medici cattolici italiani (Amci) in collaborazione con l’analoga Federazione del Vecchio Continente.

Il divieto di eutanasia vige in Francia, Germania, Italia, Spagna e Svezia, ha rimarcato Yves-Marie Doublet, per un complesso di 470 milioni di abitanti, mentre circa 28 milioni vivono in Stati nei quali è legalizzata.

Il britannico Philip Howard ha lanciato l’allarme sul fatto che una ricerca svolta in Olanda ha mostrato che «la sedazione continua e profonda è stata usata progressivamente come alternativa all’eutanasia. Infatti l’uso di quest’ultima è diminuito dal 2,6% di tutti i decessi del 2001 all’1,7% nel 2005, mentre la sedazione continua e profonda è passata dal 5,6% al 7,1%». E Michael Irwin, ex presidente della società dell’eutanasia volontaria in Gran Bretagna, ha equiparato questo tipo di sedazione terminale, con la sospensione di alimentazione e idratazione, all’«eutanasia lenta» sostenendo che «i medici “compassionevoli”, senza dichiarare pubblicamente la vera intenzione delle loro azioni, spesso accelerano così il processo del morire».

«La somministrazione di idratazione e nutrizione non è una terapia, ma un dovere fondamentale della professione medica», ha ribadito Howard citando Giovanni Paolo II; anche quando esse sono fornite con mezzi artificiali sono «un mezzo naturale per difendere la vita».

Per quanto riguarda l’aborto si è constatato il tentativo di diffondere quello realizzato per via farmacologica, una tendenza che, ha rimarcato il presidente della federazione internazionale dei farmacisti cattolici Piero Uroda, esige che sia difesa la libertà di coscienza di questa categoria.

(Fonti: http://www.avvenire.it e www.zenit.org)

 

5. Homo “tablet”, l’involuzione: meno intelligente rispetto agli antenati

20 novembre 2012

Homo sapiens o Homo tablet: chi è il più intelligente? La risposta è: quello meno tecnologico dei due, quello che doveva risolvere i problemi senza Google, che comunicava senza Facebook e si informava senza Twitter. È la controversa tesi di un eminente genetista, il professor Gerald Crabtree, a capo del laboratorio genetico della Stanford University negli Stati Uniti.

Lo studioso sostiene che oggi la specie umana sia molto meno intelligente dei suoi antenati e sia protagonista di una lenta ma inesorabile involuzione, per cui diventeremo più stupidi ed emotivamente più fragili. La tesi di Crabtree, pubblicata sulla rivista scientifica «Trends in genetics», ha scosso il mondo accademico e molti colleghi del professore sono scettici. Eppure lui è convinto di avere le prove.

L’uomo avrebbe raggiunto il massimo delle sue capacità cognitive migliaia di anni fa, quando ancora combatteva contro gli elementi della natura per sopravvivere. Poi, con l’invenzione dell’agricoltura, meno di 10.000 anni fa, e il conseguente sviluppo delle città, il nostro cervello sarebbe diventato più apatico. Quando l’uomo non ha più avuto bisogno di combattere per sopravvivere la selezione naturale, che favorisce i più forti e intelligenti, si sarebbe “rilassata”.

È scientificamente provato che, mettendo a confronto il genoma di figli e genitori, si individuino tra le 25 e le 65 mutazioni del Dna per ogni generazione. Sulla base di questo numero il professore sostiene che nelle passate 120 generazioni (che coprono circa 3.000 anni), si siano sviluppate ben 5.000 mutazioni, che per forza di cose riguardano anche i geni legati alle capacità cognitive (sono tra i 2.000 e i 5.000).

Crabtree fa un esempio chiarificatore: «I nostri antenati cacciatori che non trovavano una soluzione per sfamarsi o vivere al riparo dalle intemperie, semplicemente morivano. Oggi al banchiere di Wall Street che commette lo stesso tipo di errore concettuale cosa succede? Probabilmente si porta a casa un bonus». Ecco cosa cambia: le conseguenze. Non dobbiamo sforzarci di essere dei super geni, perché il massimo che ci può capitare solitamente non ha alcun effetto sulla nostra vita quotidiana. Per questo i nostri cervelli si sono impigriti e si stanno impigrendo sempre di più, è la conclusione dello scienziato.

(Fonte: http://www.ilmessaggero.it)

 

6. Lotta al dolore: il Piemonte per primo rende operativa una rete regionale di terapia antalgica “certificata”

22 novembre 2012

Buone notizie per i 600.000 piemontesi affetti da dolore cronico (9 volte su 10 di origine non oncologica), ma anche per le altre Regioni italiane attualmente impegnate nell’istituzione delle rispettive reti di terapia antalgica, perché ora potranno avere un modello organizzativo-gestionale cui fare riferimento, nell’applicazione della Legge 38 a livello territoriale.

Ancora una volta la Regione Piemonte, che nell’ottobre 2010 aveva per prima recepito la Legge 38 pochi mesi dopo il suo varo, si conferma leader in Italia per la gestione della “malattia dolore”, approvando con la delibera, pubblicata il 22 novembre sul Bollettino Ufficiale Regionale e immediatamente operativa, il progetto di riorganizzazione delle strutture di terapia antalgica, articolato in ospedali di riferimento, ospedali cardine e medicina territoriale.

Il progetto, messo a punto dalla Commissione Regionale per la Terapia del Dolore, si propone tre obiettivi principali. Innanzitutto, il riordino dei servizi assistenziali, attraverso la razionalizzazione dell’attività e l’identificazione di 4 centri di eccellenza (Hub) – dove operano algologi esperti, in grado di praticare tecniche interventistiche maggiori – e di 22 ambulatori (Spoke). La distribuzione di Hub e Spoke sul territorio viene proporzionata al numero di abitanti, salvaguardando le aree territoriali disagiate.

Un’attenzione particolare sarà dedicata anche all’informazione per i cittadini sui percorsi da seguire, allo scopo di guidarli passo passo dal medico di famiglia (o pediatra di libera scelta) fino al centro specialistico, nei casi più complessi.

Cruciale, infine, il monitoraggio e la promozione del corretto uso di farmaci oppioidi, anche mediante percorsi formativi specifici per le figure professionali a vario titolo coinvolte nella presa in carico del paziente che soffre: dai medici di medicina generale agli ortopedici e fisiatri, dagli anestesisti rianimatori ai farmacisti ospedalieri e territoriali.

L’Aisd (Associazione Italiana  per lo Studio del Dolore) ha già attivato i suoi rappresentanti regionali per implementare il modello organizzativo-gestionale del Piemonte nelle altre Regioni d’Italia.

(Fonti: www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/ e www.aisd.it)

 

7. A Torino la prima sperimentazione clinica italiana su pazienti pediatrici con cellule staminali epatiche

22 novembre 2012

Il 22 novembre l’Istituto Superiore di Sanità ha approvato il protocollo di studio «Staminali epatiche» dell’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino. Dopo aver presentato i risultati delle sperimentazioni effettuate sui modelli animali nel contesto dell’iter di approvazione dello studio in fase I «Human Liver Stem Cells (HLSCs)», ora può partire il primo studio clinico italiano su pazienti pediatrici, previo il benestare del Comitato etico aziendale, grazie all’approvazione dell’ISS, che è dirimente in tema di sperimentazione sull’uomo di cellule staminali.

Lo studio, coordinato dal professor Marco Spada (pediatra specialista in malattie metaboliche dell’ospedale Regina Margherita) verrà effettuato su neonati affetti da malattia metabolica ereditaria e prevede l’utilizzo di cellule staminali derivate da fegato umano adulto. Le cellule sono isolate e caratterizzate dal gruppo di ricerca torinese diretto dal professor Giovanni Camussi, nefrologo presso la suddetta Azienda ospedaliera e presso il Centro di Biotecnologie molecolari dell’Università di Torino.

Lo studio clinico torinese propone un approccio innovativo di terapia cellulare per il trattamento di malattie genetiche – metaboliche ad alta complessità, mortalità e morbidità, con possibili ricadute non solo nell’ambito della terapia d’avanguardia delle malattie metaboliche pediatriche, ma anche nell’ambito delle emergenze epatiche mediche e chirurgiche.

(Fonte: Città della Scienza e della Salute di Torino)

 

8. L’adozione per la nascita: una possibilità di vita per gli embrioni crioconservati

24 novembre 2012

Al termine del X Congresso nazionale dell’Associazione Scienza & Vita, il 24 novembre, il presidente Lucio Romano ha dichiarato che «questi due giorni di lavori, in cui si è dibattuto il tema dell’adozione per la nascita degli embrioni crioconservati, rappresentano un significativo punto di partenza per una riflessione su una tematica che ci interroga tutti e a cui è impossibile sottrarsi».

«L’adozione per la nascita (Apn) è tema di particolare attualità e dall’indubitabile valenza etica, giuridica e legislativa, e vorremmo evitare che se ne parli in maniera conflittuale. Apriamo a una dialettica inclusiva e non esclusiva, nell’assoluto riconoscimento della dignità della vita umana già nella sua primissima fase di embrione», ha concluso Romano.

Secondo Ferrando Mantovani, ordinario emerito di Diritto penale all’Università di Firenze, «la crioconservazione è un’anomalia, una disumanità e una mostruosità. È un dato di realtà, però, che la crioconservazione viene praticata. Per cui, di fronte a ciò, l’alternativa è tra il lasciar morire per decorso del tempo l’embrione o, altrimenti, procedere all’adozione per la nascita perché possa vivere la propria vita, prima nell’accogliente grembo di una madre e poi come neonato e come uomo».

Andrea Nicolussi, ordinario di Diritto civile all’Università Cattolica di Milano, ha ricordato che «la legge 40 non vieta l’adozione di embrioni e anzi, direi, lo spirito della legge ne è a favore, perché una crioconservazione sine die non può corrispondere al principio della dignità umana. Inoltre l’adozione dell’embrione potrebbe essere vista come una buona alternativa alla fecondazione eterologa, giustamente vietata dalla legge perché costituisce una simulazione di filiazione naturale e introduce una genitorialità asimmetrica nella coppia».

Ciò premesso, hanno concluso gli esperti, «la ratio morale dello stesso congelamento e del successivo “scongelamento” di embrioni è la prospettiva che l’embrione generato in vitro ma non immediatamente trasferito in utero possa, nondimeno, in futuro, procedere nella sua esistenza: per cui l’unico destino conforme alla sua dignità è quello che rende possibile, attraverso la disponibilità all’”adozione” da parte di una donna, lo svolgersi della sua vita».

(Fonte: www.scienzaevita.org)

 

9. Procreazione assistita: Censis, nel 2010 nati 9.286 bambini; favorevole 69% degli italiani

27 novembre 2012

In Italia è aumentato del 62,8% in cinque anni il numero delle donne trattate per la procreazione medicalmente assistita (Pma), passando da 27.254 a 44.365 tra il 2005 e il 2010. Quasi triplicato il numero di bambini nati grazie a queste tecniche, passando da 3.385 a 9.286 (+174,3%). Il 69,1% degli italiani è favorevole alla Pma, il 17,2% ritiene invece che debba essere vietata, il 13,7% non ha un’opinione in proposito. È quanto emerge da un’indagine del Censis, condotta su un campione rappresentativo di 1.500 italiani maggiorenni, presentata il 27 novembre a Roma.

I centri coinvolti nel monitoraggio sono 174. Secondo la ricerca «sono aumentati i cicli di trattamento avviati (dai circa 33.000 del 2005 ai quasi 53.000 del 2010), i trasferimenti effettuati (da 25.402 a 40.468) e le gravidanze ottenute (da 6.243 a 10.988)».

«A fronte di un consenso così ampio sulla fecondazione omologa», si legge ancora nell’indagine, «quando si parla di fecondazione eterologa (cioè il caso in cui i gameti uniti artificialmente appartengano a un donatore) la quota dei favorevoli si riduce al 50,5% e il 30,2% non approva il ricorso a questa tecnica di fecondazione artificiale. Sulla diagnosi pre-impianto dell’embrione è d’accordo il 52,3%, mentre il 26,5% non è favorevole».

Tra le questioni di bioetica più discusse, prosegue la ricerca del Censis, c’è anche l’utilizzo delle cellule staminali embrionali per fini terapeutici. Il 78,2% degli italiani è favorevole, solo l’8,1% ritiene che questa tecnica debba essere vietata, il 13,7% non ha un’opinione in merito.

Rispetto all’interruzione della gravidanza mediante l’aborto o attraverso il ricorso alla pillola abortiva (la Ru486), continuano a essere più numerosi i consensi rispetto ai divieti. Il 60% degli italiani è infatti favorevole all’interruzione volontaria di gravidanza a fronte del 26% che si oppone. In merito alla pillola abortiva, è favorevole il 54,1% e il 29% non è d’accordo.

(Fonte: www.censis.it)

 

10. Sotto il colore della pelle siamo tutti uguali: studio internazionale sui modelli di crescita di feti e neonati

27 novembre 2012

Sotto il colore della pelle siamo tutti uguali. Non esistono differenze tra le popolazioni del mondo nella crescita dei feti e dei neonati a pari condizioni socioeconomiche e di salute ottimali. È questo il principale risultato, in anteprima, dello Studio mondiale INTERGROWTH 21st, prossimo alla pubblicazione.

Il progetto, coordinato dall’Università di Oxford e finanziato dalla Fondazione Bill e Melinda Gates, coinvolge otto Paesi (Italia, Cina, Oman, Stati Uniti, Brasile, India, UK, Kenya) ed è finalizzato a definire il modello di crescita dei feti e dei neonati in condizioni socioeconomiche e di salute ottimali. La Neonatologia universitaria di Torino, diretta dal professor Enrico Bertino, e il Dipartimento di Ostetricia e Neonatologia, diretto dalla professoressa Tullia Todros, dell’ospedale Sant’Anna della Città della Salute e della Scienza, sono stati coordinatori del progetto per l’Italia. L’attività si è svolta in collaborazione con la Neonatologia dell’ospedale Mauriziano, diretta dal dottor Mario Frigerio, e con i Consultori famigliari sul territorio, coordinati dalla dottoressa Maria Rosa Giolito.

Attualmente il progetto ha esaminato la crescita fetale in 4.200 gravidanze, delle quali quasi 500 a Torino. Sono inoltre stati misurati circa 51.000 neonati, dei quali 7.500 a Torino. I risultati al termine dello studio, primo al mondo nel suo genere, indicano che, in condizioni ottimali di salute e nutrizione, le differenze nella crescita precoce tra due esseri umani qualsiasi nella stessa popolazione (ad esempio in due aree diverse della città di Torino) sono le stesse che quelle osservate in soggetti appartenenti a popolazioni diverse (ad esempio in Italia e in Kenya). Si confermano quindi, anche per i feti e i neonati, le osservazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sulla crescita dei bambini dalla nascita a 5 anni: le differenze di crescita tra soggetti appartenenti a gruppi etnici diversi sono basate prevalentemente su differenze nelle condizioni di salute, socioeconomiche ed ambientali, più che su differenze geneticamente determinate.

Una crescita adeguata in tutta l’età pediatrica viene oggi riconosciuta come l’indicatore principale di salute, ma in modo particolare le anomalie di crescita in eccesso od in difetto durante il periodo fetale e neonatale sono risultate associate in adolescenza e in età adulta a disturbi dello sviluppo neuro – cognitivo e ad aumentato rischio di malattie metaboliche, quali diabete, ipertensione arteriosa, obesità. Per questi motivi i risultati del progetto forniranno anche un modello di riferimento su scala mondiale su cui basare gli interventi di salute a livello di singoli Centri e di popolazione.

Un altro dato interessante emerso dallo Studio riguarda la frequenza di parti pretermine. Attualmente questa è di circa il 10% con variazioni dal 12-13% negli Usa al 7% in Italia. In condizioni ottimali di salute, nutrizione, ambiente e stato socioeconomico la percentuale di parti pretermine è risultata costante, intorno al 3.8%, in tutte le popolazioni esaminate nell’ambito del progetto INTERGROWTH, indipendentemente dall’etnia e dalla collocazione geografica. La riduzione dei parti pretermine fino a questa “soglia” potrebbe quindi costituire un obiettivo che è possibile raggiungere in tutte le popolazioni con appropriati interventi sulle condizioni di salute, socioeconomiche e lo stile di vita in gravidanza. I dati del Progetto mostrano inoltre che la quasi totalità dei parti pretermine in queste condizioni si verificano tra la 34ª e la 36ª settimana, periodo in cui i rischi della prematurità per il neonato sono contenuti.

(Fonte: www.agenziasir.it)

 

11. Via libera definitivo della Camera al disegno di legge che eguaglia i diritti dei figli naturali a quelli dei legittimi

27 novembre 2012

Il 27 novembre la Camera ha dato il via libera definitivo al disegno di legge (Ddl) che eguaglia i diritti dei figli naturali a quelli dei legittimi, nati all’interno del matrimonio. Il disegno di legge è passato con 366 favorevoli, 31 contrari, 58 astenuti, senza modifiche. La riforma ha l’obiettivo di eliminare tutte le distinzioni di status tra figlio legittimo e figlio naturale.

Secondo Pasquale Andria, presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, «questa legge, misura in cui realizza un’equiparazione di trattamento giuridico tra figli nati nel matrimonio e fuori del matrimonio, è attesa da tempo e unanimemente auspicata, perché nel nostro ordinamento giuridico permanevano, pur dopo la riforma del Diritto di famiglia del 1975, delle intollerabili disparità di trattamento assolutamente ingiustificate, soprattutto con riguardo ai vincoli di parentela, che finora non si estendevano per i figli naturali anche ai parenti del genitore che aveva effettuato il riconoscimento».

Spiace, ammette l’esperto, «che lo stesso Ddl contenga disposizioni molto discutibili, soprattutto in merito all’estensione della possibilità di riconoscere, in modo indiscriminato, tutti i figli nati da rapporti incestuosi. Non è detto che questo sia un bene per il figlio, soprattutto quando è minore». Inoltre, in qualche modo, « la norma può significare una specie d’indiretta legittimazione di un comportamento assolutamente riprovevole e anche sanzionato penalmente dall’art. 564 del Codice penale nel caso in cui ne derivi pubblico scandalo».

Altro elemento negativo, secondo Andria, è il fatto che il Ddl « ha impropriamente operato un trasferimento di competenza in materia civile, parziale, ma di portata piuttosto rilevante, dal giudice minorile al giudice ordinario. Concretamente, in materia di figli di genitori non sposati, finora sono stati i Tribunali per i minorenni a decidere riguardo al loro affidamento quando l’unione di fatto cessa; d’ora in poi, invece, sarà il Tribunale ordinario». L’augurio è che «su queste disposizioni, come su quelle riguardanti l’incesto, il futuro legislatore voglia tornare per porvi rimedio».

(Fonte: www.agenziasir.it)

 

12. Legge 40: Governo italiano presenta ricorso contro sentenza Strasburgo

28 novembre 2012 

Mercoledì 28 novembre il governo italiano ha chiesto il riesame della sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo che boccia la Legge 40 sulla procreazione assistita. La sentenza, emanata lo scorso 28 agosto, prevedeva tre mesi di tempo per l’eventuale presentazione del ricorso. E la decisione di “opporsi” è stata comunicata da Palazzo Chigi proprio allo scadere dei termini previsti.

«La decisione italiana di presentare la domanda di rinvio alla Grande Chambre della Corte europea per i Diritti dell’uomo», si legge in una nota del governo italiano, «si fonda sulla necessità di salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale, e non riguarda il merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi».

Immediatamente si sono riaccese le polemiche, a destra come a sinistra. «La presentazione del ricorso alla Grand Chambre della Corte europea per i Diritti dell’uomo è un atto rigoroso e indispensabile», ha commentato Lucio Romano, presidente nazionale dell’Associazione Scienza & Vita. «La seconda sezione di Strasburgo, ponendo impropriamente in relazione la Legge 40/04 con la Legge 194/78, e ritenendole tra esse incoerenti, ha assegnato in maniera indiretta alla diagnosi genetica preimpianto un esplicito ruolo di selezione degli embrioni», rileva Romano.

«L’incongruenza, piuttosto, sta nel fatto che la diagnosi preimpianto non è una terapia finalizzata alla salute dell’embrione, ma alla sua selezione. Secondo i dati della letteratura scientifica, pubblicati recentemente da Scienza & Vita (www.scienzaevita.org/materiale/BIOFILES_n20.pdf), solo l’1,5% degli ovociti prelevati giunge al termine del percorso come gravidanza clinica ed esiste una percentuale non trascurabile di possibili errori diagnostici (2-5%). Invece di risolvere il problema, si procede scartando il meno adatto».

«Rinnoviamo la nostra vicinanza alle coppie che vivono questa sofferta e difficile condizione di maternità e paternità», ha concluso Lucio Romano, «ma ricordiamo che attraverso la diagnosi genetica preimpianto si sacrificano vite ritenute non degne di essere vissute».

(Fonti: www.doctornews.it e www.scienzaevita.it

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