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Robotica biologica apre a prospettive nuove: uno studio di J. Bongard e M. Levin delle Università di Vermont e Tufts

14 Gennaio 2020

organismo vivente robotico “xenobots” è stata realizzata dal team di ricerca scientifica statunitense condotto da Joshua Bongard del Dipartimento di Informatica dell’Università di Vermount assieme a Michael Levin del Dipartimento di Biologia di Tufts (Massachusetts) e di Biologically Inspired Engineering del Wyss Institute presso l’Harvard University. Si tratta di un artefatto innovativo, della misura di pochi millimetri, realizzato per la prima volta dal «riutilizzo di cellule viventi – grattate da embrioni di rana – e assemblate dando vita a forme del tutto nuove». Lo studio è stato pubblicato ieri sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America (PNAS) intitolato A scalable pipeline for designing reconfigurable organisms (Un’elaborazione adattabile per la progettazione di organismi riconfigurabili – trad. mia).  Gli Autori trasmettono «un metodo che progetta completamente macchinari biologici sin dall’inizio: i  computer progettano in modo automatico nuovi macchinari in  simulazione e poi i migliori progetti vengono costruiti combinando insieme differenti tessuti biologici».  Dalla computerizzazione al vivo. Questo metodo di bioingegneria potrebbe essere impiegato, in una prospettiva futura, nella biomedicina, nella medicina rigenerativa. “Biobots” (fatti da cellule del paziente) per rimuovere la placca dalle arterie, identificare il cancro,  trasportare in sicurezza farmaci all’interno del corpo umano.  La ricerca nell’applicazione di tale metodo andrebbe, secondo gli Autori,  sostenuta in quanto a differenza del materiale tecnologico,  la maggior parte del quale è sintetico, di acciaio o plastica che comunque degrada nel tempo e può produrre effetti dannosi alla salute, come tossicità, e un impatto ecologico nocivo come la dispersione della plastica nel mare, l’uomo e l’ambiente traerebbe beneficio dalla costruzione di tecnologie con  materiali biocompatibili e per lo più capaci anche di autoripararsi  in caso ad esempio di lacerazioni. [caption id="attachment_32957" align="alignleft" width="600"]F1 a scalable pipeline for designing reconfigurable organisms Fig. 1. Progettazione e produzione di organismi riconfigurabili. L’algoritmo viene riavviato 99 volte generando progetti evoluti in silico a destra e la realizzazione in vivo a sx  (ulteriori informazioni in  Fig. 1,  A Scalable pipeline for designing reconfigurable organisms, PNAS, 13 January 2020 J. Bongard, M. Levin et al.[/caption]   «Possiamo immaginare molte applicazioni utili di questi robot viventi rispetto alle altre macchine che non possono fare, come ricercare sostanze cattive o la contaminazione radioattiva, o raccogliere la microplastica negli oceani, viaggiare nelle arterie per eliminare le placche»,  afferma il biologo Michael Levin direttore del Center Regenerative and Development Biology  nell’ateneo di Tufts, in una nota dell’Università del Vermont in Team Builds the First Living Robots. «Non sono né un robot tradizionale né una specie animale conosciuta. Si tratta di un tipo nuovo di artefatto: un organismo vivente, programmabile», afferma l’esperto di  robotica e  informatica Joshua Bongard dell’Università del Vermont nel sopracitato articolo.  «Questi Xenobots sono del tutto biodegradabili, quando hanno terminato il loro lavoro dopo sette giorni sono solo cellule di pelle morta» aggiunge Bongard. Genomicamente sono delle rane. Il 100% è DNA delle rane ma non si tratta di rane, spiega il biologo Levin che assieme ai membri del  team che ha partecipato a tale studio ritiene che costruire tali xenobots rappresenti un piccolo passo verso una maggiore conoscenza  del «codice morfogenetico». Il nome dato Xenobots deriva dal tipo di rana utilizzata, una specie africana Xenopus laevis.  Le cellule staminali ottenute dagli embrioni di rana sono poi state separate in singole cellule e lasciate in incubazione. Successivamente con piccole pinze ed elettrodi le cellule sono state separate e unite sotto un microscopio in una forma più vicina a quello specificata  dal computer.  Le cellule hanno iniziato a lavorare insieme, le cellule della pelle e del muscolo del cuore secondo quanto prefissato dal computer. Antonio De Simone dell’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, in un’intervista a Adele Lapertosa dell’Ansa di oggi, 14 gennaio 2020,  spiega che «possiamo definirli robot viventi oppure organismi multicellulari artificiali, perché svolgono funzioni diverse da quelle naturali», ovvero «aggregati di cellule che interagiscono tra loro, comportandosi collettivamente in un modo complesso e diverso da quello che avrebbero naturalmente. Si tratta di comportamenti elementari come muoversi insieme in una direzione o in un cerchio» e che la novità sta nell’«algoritmo per generare il comportamento e l’evoluzione delle cellule».]]>

Redazione Bioetica News Torino