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Trapianti. Oltre la morte cerebrale. Le prospettive In Italia dopo l’espianto “a cuore fermo” in UK

04 Aprile 2015

Uno degli scogli più difficili da superare nella storia dei trapianti d’organo è stata la consapevolezza della morte cerebrale, condizione ormai condivisa da tutte le comunità scientifiche, come momento di fine vita per dar vita all’operazione di espianto degli organi. In questi casi il corpo sembra essere in vita, a cuore battente, ma è sostenuto da una respirazione indotta artificialmente, per mantenere sani gli organi da trapiantare. Ma oggi qualcosa può cambiare il corso della storia. In Inghilterra è stato eseguito un trapianto di cuore, prelevato da un corpo senza vita (a cuore fermo) e inserito nella cavità toracica di un cittadino che mostra orgoglioso, alle telecamere della BBC, la cicatrice sul petto, sotto la quale batte un cuore nuovo.

La notizia ha fatto il giro del mondo e le istituzioni pubbliche si stanno già domandando se la nuova modalità di intervento potrà incrementare il numero dei trapianti. In un incontro al Ministero della Salute i coordinatori regionali dei trapianti delle regioni italiane più impegnate in questo campo (Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia) hanno fatto il punto della situazione, impegnandosi a portare avanti questa strada. “Ci sono due condizioni che possono permettere questo tipo di intervento – ha spiegato il dottor Sergio Vesconi, coordinatore dei trapianti per la Lombardia -: i casi non controllati cioè i decessi per morte improvvisa con arresto cardiaco dentro e fuori dall’ospedale, che non riprendono a vivere, oppure i controllati, cioè le persone ricoverate in rianimazione per le quali viene stabilito di sospendere l’attività di supporto farmacologico non essendoci possibilità di ripresa cerebrale. Soltanto quelli del primo caso, in Italia, possono diventare donatori di organi”.

Il caso inglese, non è il primo al mondo. Un altro intervento è stato provato in Australia e recentemente all’ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con il Policlinico di Milano, è stato trapiantato un polmone da cuore fermo per un malato di fibrosi cistica. Ma l’attività di trapianto a cuore fermo in Italia ha al suo attivo quindici trapianti di rene che sono stati resi possibili dall’impegno del team di medici dell’ospedale San Matteo di Pavia, coordinati dal dottor Paolo Geraci.

Il trapianto da donatori a cuore fermo (cioè in morte cardiaca, anzichè in morte cerebrale come comunemente avviene in Italia) può diventare il prossimo orizzonte della trapiantologia – dice il professor Giacomo Colussi, direttore del reparto di nefrologia e dialisi dell’ospedale di Niguarda a Milano -. Già da tempo è iniziato un programma di trapianto di rene da cuore fermo all’estero e recentemente l’indicazione è stata allargata ad altri organi più delicati come cuore, fegato, polmone e pancreas. In Italia vi è al momento la sola esperienza italiana di Pavia, ma il programma è molto impegnativo, anche perché i vincoli legislativi sono più stringenti in Italia che all’estero. La tipologia più usata di donatori all’estero è quella dei donatori in arresto “controllato”: si tratta di donatori, come detto sopra, in ambito rianimatorio in cui si concorda con la famiglia la sospensione delle pratiche rianimatorie. In Italia, invece, si usano soltanto donatori in arresto “non controllato” cioè persone che hanno un arresto improvviso fuori o dentro un ospedale con manovre rianimatorie infruttuose. Anche i tempi di arresto necessari per poter certificare la morte e poter procedere alla preparazione del prelievo (che comporta solitamente una perfusione “in situ” degli organi) sono più favorevoli all’estero che in Italia, 10 minuti di elettrocardiogramma piatto contro i 20 minuti da noi. Il programma, comunque, comporta un enorme impegno: struttura del 118/AREU, Pronto soccorso, coordinatore del prelievo che acquisisca il consenso entro 150 minuti dall’arresto, immediata disponibilità della camera operatoria ed équipe chirurgica sempre disponibile.”

“Anche in questi casi di trapianto a cuore fermo – dice il dottor Giuseppe Piccolo, direttore del Nord Italia Transplant al Policlinico di Milano – è necessario ottenere il consenso dei familiari per procedere all’espianto degli organi. Questa procedura potrebbe essere in grado di favorire i consensi dei familiari all’espianto di organi”.

I risultati dei trapianti di rene secondo il programma di Pavia sono accettabili: la sopravvivenza di rene funzionante ad 1 anno circa è del 90% (contro il 96% per donatori in morte cerebrale). Per cuore, fegato e pancreas, ci sono esperienze limitate. Una eccezione felice è il polmone, in quanto può essere ossigenato ventilando il donatore anche senza circolo; inoltre dopo il prelievo, l’organo può essere perfuso con una macchina “a banco” e valutato prima per le sue qualità. Gli organi da prelevare in caso di arresto cardiaco, devono infatti essere tenuti in circolazione extracorporea per mantenere il più possibile la loro funzionalità. Non si sa ancora di quanto potrebbe aumentare l’attività di trapianto, ma i medici dell’ospedale di Papworth, nel Regno Unito, dove è avvenuto il trapianto di cuore, hanno spiegato che la tecnica potrebbe aumentare il numero di cuori del 25%. E di conseguenza potrebbe incrementare anche l’uso di altri organi.

Edoardo Stucchi

fonte: Quotidiano sanità

approfondimenti: http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?approfondimento_id=6089

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino