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Aifa limita la prescrizione a carico Ssn della Vitamina D. Non avvisa i medici: disagio con le ricette cartacee

31 Ottobre 2019

L’Aifa ha introdotto nuovi criteri di prescrizione a carico del Sistema sanitario nazionale per i medicinali che riguardano la «prevenzione e trattamento della carenza di Vitamina D» utilizzati dai soggetti adulti a partire dai 18 anni. Le informazioni sono contenute nella nota 96 istituita dall’Agenzia del Farmaco Italiana e pubbliche sulla G.U. il 26 ottobre scorso e riguardano i farmaci colecalciferolo, colecalciferolo/sali di calcio e calcifediolo.

Si parte dal dosaggio di 25 0H vitamina D, pari a 20ng/ml, considerato dalla «letteratura scientifica limite  oltre il quale viene garantito un adeguato assorbimento intestinale di calcio e il controllo dei livelli di paratormone nella quasi totalità di popolazione; per tale motivo rappresenta il livello sotto il quale iniziare una supplementazione».  In ambito clinico si è concordi in generale che la vitamina D promuove la salute dell’osso e insieme al calcio – quando indicato – contribuisce a proteggere dalla demineralizzazione, soprattutto nelle persone anziane. Esistono invece delle discordanze sull’esecuzione del dosaggio, alla luce di diversi documenti, con una concordanza comune di fondo secondo la quale «la determinazione dei livelli di 25 (OH) D dovrebbe essere eseguita solo quando risulti indispensabile nella gestione clinica del paziente – diagnostica differenziale o scelta della terapia».

La Nota (v. documento pubblicato GU 26.10.2019) comprende un limitato gruppo di categorie di persone adulte la cui prescrivibilità per “la prevenzione e il trattamento della carenza di Vitamina D” è a carico del Ssn e fornisce in un documento allegato (flow chart) una guida con indicazioni su quando la prescrizione  è appropriata, e in tal caso i parametri di misurazione dei livelli di 25 (OH D) con la terapia,  la successiva verifica da effettuarsi nei tre mesi seguenti e altre fasi successive se non vi è riscontro dal quadro clinico.

Il documento riporta le condizioni secondo le quali la prescrizione è a carico del Ssn:
1. A prescindere  dalla determinazione della 25 (HO) D: persone istituzionalizzate, donne in gravidanza o in allattamento, persone affette da osteoporosi da qualsiasi causa o osteopatie accertate non candidate a terapia remineralizzante (come avveniva prima)
2. previa determinazione della 25 (0H) D (v. flow chart allegato alla Nota 96): persone con livelli sierici di 25 0H D < 20ng/ml e sintomi attribuibili a ipovitaminosi (astenia, mialgie, dolori diffusi o localizzati, frequenti cadute immotivate), persone con diagnosi di iperparatiroidismo secondario a ipovitaminosi D, persone affette da osteoporosi di qualsiasi causa o osteopatie accertate candidate a terapia remineralizzante per le quali la correzione dell’ipovitaminosi dovrebbe essere propedeutica all’inizio della terapia* (*Le terapie remineralizzanti dovrebbero essere iniziate dopo la correzione della ipovitaminosi D), una terapia di lunga durata con farmaci interferenti col metabolismo della vitamina D, malattie che possono causare malassorbimento nell’adulto.

Le  evidenze scientifiche giungono a conclusioni differenti sull’efficacia di apporto supplementare della vitamina D. La Nota descrive come  gli studi cosiddetti “storici siano favorevoli nel constatare  tale efficacia «nella prevenzione e nel trattamento di rachitismo ed osteomalacia» mentre quelli più recenti e meta-analisi che li includono, propendono per una modesta riduzione del rischio di frattura con dosi di vitamina D3 < 800 UI/die, soprattutto se in associazione ad un apporto di calcio <1, 2 g/die).  Studi diversi su ospiti in strutture protette dimostrano che la riduzione di rischio di frattura legata alla somministrazione di vitamina D risulta significativa rispetto a popolazioni non istituzionalizzate, che vivono in autonomia.  Si è osservato ancora, in altri studi, che  popolazioni con bassi livelli di vitamina D e che si trovano ad avere alcune patologie come cardiopatie, neoplasie, malattie degenerative, metaboliche respiratorie, hanno peggiorato le loro condizioni di salute richiedendo pertanto una valutazione dell’efficacia con opportuni studi sperimentali nelle patologie soprattutto extrascheletriche. E poi un uso con dosi relativamente elevate (2000 UI/die e 100.000 UI7mese) nelle popolazioni trattate non ha fatto emergere vantaggi in termini di eventi prevenuti rispetto ai trattamenti placebo.

Gli operatori sanitari segnaleranno le reazioni avverse ai referenti regionali del sistema nazionale  di farmacovigilanza all’indirizzo: https://www.aifa.gov.it/content/segnalazioni-reazioni-avverse.

Il documento ha suscitato alcune reazioni da parte dei medici per non essere stati informati. Il responsabile nazionale assistenza primaria del Sindacato Medici Italiani Gian Massimo Gioria spiega, in un articolo pubblicato su Doctor33.it  del 30 ottobre di Mauro Miserendino,  ciò «sta creando disagi perché  non è stato previsto l’aggiornamento dei software per il ricettario» con il rischio che «se l’adeguamento del software da parte del fornitore non arriva in tempo  chi di noi ha molti assistiti anziani rischia di sforare il tetto del 10% ammesso per le ricette cartacee».  Fa osservare  anche una mancanza di un elenco dei medicinali interessati nella Nota. Anche  Federfarma, in una nota di ieri su Quotidianosanità.it, chiede chiarezza se recepire il provvedimento anche come «riclassificatorio dei farmaci potenzialmente coinvolti dalla nuova Nota» e una «sanatoria per le ricette spedite prive di nota 96, dal 27 ottobre 2019 sino alla data in cui non perverranno chiarimenti richiesti all’Aifa».

Redazione Bioetica News Torino