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Alcune criticità e proposte nell’ultimo Rapporto FAVO sulla condizione assistenziale del malato oncologico

20 Maggio 2019

Dà una lettura rappresentativa del costo dei tumori per la società e per le persone malate e le loro famiglie unitamente  all’impatto della malattia negli aspetti epidemiologico, socio-sanitario ed economico, l’XI Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici  promosso dall’Associazione FAVO – www.favo.it, che da quindici anni è impegnata come rete di associazioni di volontariato al servizio dei malati e dei loro familiari, e presentato in Senato  il 16 maggio scorso, in occasione della Giornata del malato oncologico.

Ogni anno, l’Osservatorio, di cui fanno parte la FAVO insieme ad  associazioni, istituzioni nel settore oncologico e il  Ministero della Salute, aggiorna la situazione della disparità di accesso dei malati ai trattamenti evidenziandone le criticità relative a diagnosi, trattamenti e assistenza apportando indagini di ricerca innovative.

Confrontando con i dati della ricerca del 2012 sui costi sociali ed economici della malattia oncologica  per i malati e le loro famiglie effettuata nel 2018 si conferma l’importanza del ruolo del caregiver che rimane per la maggior parte a carico di un parente o nell’ambito familiare,  si denota un cambiamento gravoso nei  lavoratori autonomi mentre le difficoltà permangono per le categorie contrattualmente più deboli − donne, lavoratori tra 55 anni e 64 anni − e peggiora il problema del  mantenimento del reddito.

Metodo di indagine attuale.  Comprende uno studio campionario di 1289 pazienti e 1205 caregiver tramite intervista nelle sale di attesa e negli ambulatori degli ospedali a pazienti da relativamente in buone condizioni di salute a fasi che non comportano importanti limitazioni di autonomia, con un’anzianità di malattia da 1 a 10 anni e la prima diagnosi avvenuta per l’86% dei casi tra il 2011 e il 2018.  È realizzata da Datamining in collaborazione con INT di Milano, Pascale di Napoli e 34 punti informativi di Aimac. La maggior parte degli intervistati sono affetti da tumore alla mammella (31%) rispetto ad altri tipi di tumore che risultano sottorappresentati come ad esempio quello al colon retto (10,4%). Un campione che se non può rappresentare un quadro dell’incidenza totale dei tumori  dà  comunque uno spaccato significativo della totalità dei malati oncologici in Italia, che secondo l’Aiom-Airtum  nel 2017 è stimato in 3. 304.648  di cui 691.436 in trattamento. Per i pazienti la fase terapeutica è iniziale per il 49% dei casi, il trattamento di recidiva per il 23%, della progressione per il 15,3% di metastasi a distanza per il 10,9% e terapia del dolore per l’1,7%. Sono in carico presso strutture di cura e riabilitazione, soprattutto  in day hospital oncologico(82%) e  poi in ambulatorio oncologico (40,9%) e in reparto ospedaliero oncologico (34,8%). Riguardo al genere hanno risposto il 64% delle donne e il 36% degli uomini,  all’istruzione  laureati 20,9%  −  contro una media nazionale del 17% −, diplomati 32,3% e diploma di scuola media inferiore 26,5% e alla condizione lavorativa, non professionale per il  60,6%  (pensionati, casalinghe e studenti), disoccupati 6,4% e dipendenti a tempo indeterminato 25,2%. Un reddito familiare dato dall’80% degli intervistati risulta  in media di 24mila euro e per  il 15,5% sotto i 10mila.

Dalla ricerca del 2018 sono emersi in ordine di rilevanza problemi di tipo psicologico, legati alle  pratiche di vita quotidiana e lavorativo, socio relazionale  ed economico mentre i tempi di attesa  presso strutture pubbliche variano tra i 6 giorni per esami ematochimici ai 37,9 gg per l’accesso alla riabilitazione.  È la famiglia ad affiancare l’assistenza pubblica: il ruolo del care giver è nella maggior parte dei casi  nell’ambito familiare (50,6%) mentre  un non parente per il 5,7% e risulta assente nell’11,8% dei casi. È prevalentemente una  figura femminile la cui età oscilla tra i 35 e i 65 anni. Svolge un’attività lavorativa, si dedica all’assistenza in media per 40 ore alla settimana  che possono arrivare fino a 70.  Si avvalgono della figura del badante o assistente retribuito solo nel 4,4% dei casi. Gli effetti sul mondo del lavoro pesano sulle donne rispetto agli uomini per le giornate lavorative perse, sui lavoratori tra i 55 e i 64 anni che nel 45,8% hanno perso da 6 mesi ad un anno,  sugli autonomi e  gravano sul reddito di chi chiede il part-time, riduzione di orario, è licenziato (5,5%). Sul piano dei costi economici  sostenuti da malati tra le spese al di fuori della copertura del servizio sanitario (out of pocket OOP) incidono prevalentemente, come si riscontra nella precedente indagine  anche se i dati del 2012 non sono direttamente confrontabili con quelli del 2016 per aree e tipo di pazienti differenti,  le spese non mediche, dei trasporti a cui si sommano le spese alberghiere e vitto per effettuare cure non disponibili nella propria area di residenza e  mediche, quella dovuta a visite ed accertamenti diagnostici. Più della metà si è visto costretto a modificare le proprie abitudini di spesa riducendo considerevolmente  viaggi, cultura, attività sportiva e benessere. Il 24,6% ha rinunciato o ridotto l’uso di ausili o cure per problemi economici. Si rinuncia a farmaci non coperti dal servizio sanitario, a spostamenti legati alle necessità di cura, trattamenti riabilitativi, a dispositivi e protesi fino a interventi chirurgici. Dal momento in cui i caregiver hanno iniziato ad occuparsi della persona malata il 26,9%  afferma di aver avuto una riduzione di reddito che arriva ad una media del 29% per riduzione di orario di lavoro, permessi non retribuiti. Il  bilancio familiare di spesa sostenuta dai malati  riferita  all’ultimo anno  veniva  stimato  nel 2012 per  4,8 miliardi mentre nel 2018 ammonta a 5,3 miliardi. Sui benefici  il 94,3% usufruisce dell’esenzione ticket e poi  indennità di accompagnamento,  assegno di invalidità assistenziale, pensione di inabilità assistenziale, aiuto di parenti e amici. Sulle coperture assicurative il 2,9% ha sottoscritto una polizza sulla vita dopo la diagnosi di tumore, di cui il 71,1% l’ha ottenuta, il 42,2% alle condizioni di una persona sana e il 28,9% è stata rifiutata. E anche la richiesta per  l’assistenza sanitaria integrativa e polizze sanitarie  dopo la diagnosi è stata meno del 4% e di questi il 14,9% è stato rifiutato.

Indagine 2012 e 2018_Undicesimo_Rapporto_FAVO_2019
Indagine comparativa Favo CENSIS 2012 e Favo AIMAC 2018 sul bilancio spese del malato oncologico da Undicesimo Rapporto sulla condizione assistita dei malati oncologici 2019 

 

Tra le criticità vengono messe in evidenza la spesa sostenuta dai malati e dalle famiglie che continua ad essere consistente dando come risposta la necessità di  una «corretta informazione ed attuazione delle esenzioni legate alla patologia oncologica, da un lato e per la considerazione della appropriatezza rispetto alle terapie di supporto a quella principale, dall’altro»;  la  tutela previdenziale  per i  lavoratori autonomi e liberi professionisti è , inferiore a  quella per i dipendenti: si proporrebbe  un intervento legislativo per migliorarla o un  aiuto economico in caso di grave malattia. Manca poi  una tutela per il lavoratore caregiver del  malato oncologico;  la presenza di una diffusa mobilità dei malati per dialisi e cura in aree territoriali o regioni  richiederebbe la diffusione della telemedicina; la  messa in discussione di parametri e regole di detrabilità fiscale dei costi associali alla malattia dovuta alla mole dei costi economici a carico dei malati e delle loro famiglie.

 

Appropriatezza.  È un punto chiave importante in una «sostenibilità dei sistemi economici ⌈…⌉ fondata sui risultati di salute dei pazienti» per ridurre “lo spreco di risorse” nel Sistema sanitario nazionale ma soprattutto  le «ricadute» sui pazienti dovute all’inappropriatezza per eccesso o talvolta anche per difetto.  Non  solo la salute della persona sana va tutelata ma anche quella malata  oncologica.  Pur avendo una percezione dei  rischi da radiazioni la maggior parte dei pazienti, e anche dei loro medici, secondo alcuni studi, non  è a  conoscenza delle quantità di dosi associate alla procedura diagnostica né dei rischi connessi.  I  medici di famiglia potrebbero svolgere un ruolo importante nella comunicazione sul rischio di radiazioni con il paziente coinvolgendolo.  Dall’altro ai medici che prescrivono e radiologi si richiama  la responsabilità nel processo di «”giustificazione”, in particolare in età pediatrica, quando l’elevato indice mitotico cellulare comporta maggiori rischi di danno secondario». Secondo la Società di Radiologia Italiana in Italia il 44%  delle prestazioni radiologiche ambulatoriali è potenzialmente inappropriato e se si considera l’uso di radiazioni ionizzanti, risulta evidente che nell’arco della vita la sommatoria può comportare un danno biologico alla salute.  Un esempio è l’uso improprio dei marcatori tumorali sierici largamente diffuso tra la popolazione sana anziché secondo le indicazioni di monitoraggio della terapia in atto e nel follow-up dei pazienti con diagnosi accertata e nei rari casi segnalati nelle linee guida. Oltre ad avere un impatto economico sul Ssn «prescritto a pazienti asintomatici possono conseguire, in presenza di un valore di test superiore alla norma, ulteriori accertamenti diagnostici e trattamenti medici o chirurgici inappropriati, la cui domanda è indotta da un’offerta a sua volta inappropriata».  Le Reti oncologiche possono essere rilevanti strumenti di prevenzione e di cura appropriata in coordinamento con le regioni e le associazioni di malati, nonché di una sanità di “valore” e non solo produttiva, incentrata sull’effettivo bisogno del paziente. Viene illustrato l’esempio del progetto pilota avviato dalla rete oncologica del Piemonte e Valle d’Aosta con il programma “Slow medicine: tumore io mi difendo ” e “Prevenil”, medicina di prevenzione.

Nel Rapporto vi è anche un’analisi del peso economico del carcinoma mammario  sia per il Ssn dell’assistenza ospedaliera  sia per il sistema previdenziale dal 2008 al 2016 distinguendo carcinoma primario o in situ  e secondario.  È emerso una spesa annua totale di circa 540 milioni di euro, di cui circa la metà (52%) data dai costi ospedalieri e più del 41% dai costi previdenziali legati a disabilità parziale al lavoro e il restante 7% totale. Ogni anno si sono registrati in media  75mila circa ricoveri, rispetto alla quale la spesa ospedaliera diminuisce nel tempo probabilmente dovuta al passaggio della gestione di tipo ambulatoriale. Sul fronte dei beneficiari Inps emerge una media annua di circa 29mila per prestazioni previdenziali di cui il 90% per AOI (assegni ordinari di invalidità) e la spesa annua in media è di 257 milioni, di cui l’85% per AOI e il 15% alle PI (Pensioni di inabilità),  una spesa che è cresciuta nel tempo. Il fatto poi che il tumore secondario abbia una maggiore rilevanza economica per entrambe le voci rispetto  a quello primario può implicare una prevenzione migliorando la diagnosi precoce dei pazienti che può comportare oltre che dei benefici anche una riduzione dei costi.

Un’altra voce a cui la Favo è legata sin dal suo costituirsi, dal 2003, per un pieno riconoscimento, è il diritto alla riabilitazione oncologica. Dinanzi ai nuovi casi di tumore ogni anno, stimati  circa 373mila secondo i dati AIRTUM 2018, e a fronte degli attuali 3milioni300 mila cittadini (pari al 6% della popolazione) che vivono dopo la diagnosi di  malattia, c’è bisogno per molti di  interventi riabilitativi specifici per aiutarli a stare meglio nonostante la malattia o l’esito di guarigione.  Si pone l’attenzione di ciò con la Carta dei Diritti Riabilitativi del Malato Oncologico da parte di società scientifiche e del volontariato oncologico perché il problema della riabilitazione venga rivisto con nuove proposte al Legislatore in un’ottica di miglioramento del percorso e della presa in carico, perché «la riabilitazione del paziente affetto da neoplasia rappresenta un elemento essenziale in tutte le fasi del suo percorso di cura che deve prevedere l’integrazione tra i trattamenti specificamente antineoplastici ed i trattamenti riabilitativi sin dalla diagnosi e, qualunque sia la prognosi, per tutte le fasi della malattia». Una presa in carico, all’interno di una Rete oncologica,  multidisciplinare, veloce, globale e personalizzata, tesa a raggiungere un’autonomia il più possibile, per un inserimento sociale.  Anche per quelli guariti per i quali si parla di “survivor car” multidisciplinare a lungo termine per diagnostica e trattare le «sequele croniche biopsicosociali dei trattamenti e della malattia, ivi compresi i problemi di fertilità». E per gli aspetti economici, l’esenzione dal ticket per gli interventi riabilitativi correlati alle disabilità secondarie alla patologia oncologica.

Redazione Bioetica News Torino