Contenzione “meccanica” nelle persone con problemi di salute mentale. Proposta di un accordo del Ministero della Salute alle Regioni
01 Luglio 2021«Un provvedimento che considero di grande valenza etica, oltre che di indirizzo, e che risponde alle numerose sollecitazioni e raccomandazioni di vari enti e istituzioni»: è il commento del Ministro della Salute Roberto Speranza sulla nuova bozza di documento e schema di accordo in materia di contenzione sanitaria nei confronti delle persone con problemi di salute mentale già discussa ed approvata dal Tavolo tecnico sulla salute mentale e che il Gabinetto del Ministero ha avviato di recente alla Conferenza permanente Stato – Regioni. Ne ha dato annuncio nel porgere i saluti ai partecipanti ai lavori della seconda Conferenza nazionale sulla salute mentale, promossa dallo stesso Ministero, che si è svolta in Roma dal 25 al 26 giugno, a distanza di vent’anni dalla prima, incentrata tra i vari temi sullo sviluppo assistenziale e di cura presso le comunità.
Un impegno a cui sono chiamati sia operatori sanitari del Dipartimento di Salute Mentale, di strutture residenziali, comunità terapeutiche pubbliche e private accreditate sia istituzioni per ridurre e sradicare nella cultura della cura mentale, nel triennio 2021-2023, la contenzione meccanica, ossia quella forma di coercizione, fisica che può avere una valenza anche psicologica, limitante la libertà di movimento, del tutto o in parte, di una persona distesa a letto o seduta tramite lacci, fasce, bretelle, spondine etc, per evitare che faccia gravemente del male a se stessa o agli altri, eccetto nei casi di necessità come extrema ratio citata dall’art. 54 del Codice penale. L’articolo prevede: «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo. La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l’ha costretta a commetterlo».
Il nuovo documento si intitola Superamento della contenzione meccanica nei luoghi di cura della salute mentale e la sua bozza contiene 7 Raccomandazioni, in continuità con quelle precedenti del 2010, con l’intento però di cogliere la sfida nel triennio 2021-2023 con l’ «avviare un percorso che, anziché limitarsi a riproporre affermazioni di principio, si confronti con i fattori che ad oggi hanno reso difficile il superamento della contenzione e si spinga concretamente verso l’adozione di pratiche rispettose della dignità delle persone con disturbo mentale e degli operatori dei servizi». Nella parte introduttiva descrive le fasi evolutive del dibattito e le motivazioni contro l’uso della contenzione.
Le Raccomandazioni riguardanti sia gli adulti che gli adolescenti danno inizio ad un processo di riconoscimento della contenzione quale non una pratica sanitaria, lesiva dei diritti umani fondamentali, con campagne informative e formative coinvolgendo ai tavoli nazionali anche le associazioni rappresentanti dei familiari e dei pazienti. E a quello di monitoraggio dei dati con interventi mirati a rimuovere tali pratiche. Una formazione specifica per gli operatori sulla legislazione specifica e aggiornamento professionale da un lato e dall’altra l’individuazione di strategie per andare incontro alle esigenze della persona in crisi fortemente sofferente come favorire la presenza di familiari o persone di riferimento, sono importanti così come l’apertura e l’accessibilità dei Centri di Salute Mentale e dei servizi territoriali di piccola scala NPIA che forniscano non solo servizi di attività ambulatoriale ma anche di assistenza domiciliare, continuità terapeutica, incisivi sulla malattia e sulla qualità di vita della persona, servizi che siano in luoghi con ambienti riqualificati con orari di visita flessibili. Infine un lavoro di rete con i servizi sociali e sanitari del territorio per poter dare risposte “coordinate e non ripetitive”.
Un processo di cambiamento iniziato tempo fa
Giunge in Italia dal Consiglio d’Europa nel 2008 il monito di affrontare la situazione presente negli istituti psichiatrici. Il Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei trattamenti inumani e degradanti (CTP) ne sottolineava l’eccesso del ricorso e dell’uso talvolta anche come punizione o mezzo pedagogico, attingendo ad un’indagine del 2005/2006 condotta in diversi Paesi europei tra cui vi partecipò anche l’Italia.
Già gli studi di ricerca dell’Istituto Mario Negri nel 2001 e dell’Istituto Superiore di Sanità nel 2005, che tra l’altro costituiscono ancora oggi la fonte attendibile nella letteratura scientifica, ne rivelavano il ricorso diffuso presso i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC) del Dipartimento di Salute Mentale: vi ricorrevano l’85% dei 320 servizi, solo 20 servizi non vi ricorrevano anche nella presa in carico di persone in crisi e altri in modo graduale andavano verso l’eliminazione.
Ne diede impulso anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, istituita nel 2006 che viene ratificata dall’Italia nel 2009 riguardo all’onere degli Stati nel garantire loro “i diritti a non essere sottoposte a torture, pene, trattamenti crudeli, inumani o degradanti” (art. 15) e a “non essere private della libertà illegalmente o arbitrariamente” (art. 14).
Le Regioni mossero i primi passi istituzionali nel 2010 che emanarono le prime Raccomandazioni in tema di contenzione fisica sotto la spinta di alcuni eventi tragici che coinvolsero persone “legate”. Miravano a prevenire con una serie di iniziative, dal monitoraggio alla trasparenza dei servizi, il radicamento del pregiudizio sulla violenza verso la cura psichiatrica e dello stigma verso i malati mentali a causa dell’uso della contenzione, descrivendola come «un atto anti-terapeutico», spiegando che «rende cioè più difficile la cura piuttosto che facilitarla». Tuttavia nel 2017 la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato ne sottolineò una concretizzazione parziale con differenze regionali.
Perché la contenzione “meccanica” non deve esserci?
Vi sono diverse limitazioni alla libertà personale nel movimento che avvengono nei luoghi di cura e che possono coesistere: fisica, quando l’operatore blocca con il proprio corpo la persona in modo temporaneo; ambientale, attraverso porte chiuse, cancelli etc; farmacologica, quando la persona viene sedata con alti dosaggi. Quella “meccanica” risulta da sentenze di Cassazione la più estrema privazione sul piano etico e giuridico e priva di finalità curativa sul piano sanitario.
Per il profilo etico il Comitato nazionale di Bioetica nel 2015 ne affermava «la violazione dei diritti fondamentali della persona», perché da un lato una «gestione non violenta e non coercitiva in SPDC elimina il clima di paura (per pazienti e per operatori) e riduce lo stigma, dall’altro ci sono ragioni terapeutiche in primis di evitare di compromettere la relazione terapeutica tramite il circolo vizioso che la contenzione fisica innesca: l’agitazione della persona legata si aggrava, richiedendo quindi più alte dosi di farmaci sedativi, col risultato di peggiorare lo stato di confusione del paziente, che a sua volta riduce la comunicazione fra la persona -legata e il personale».
Delinea tre direttrici che incidono più per il ricorso alla contenzione: il fatto culturale, l’organizzazione dei servizi, l’atteggiamento degli operatori più del profilo psicopatologico dei pazienti. Ne dichiara l’ammissibilità come extrema ratio, anche nel trattamento sanitario obbligatorio, nelle situazioni di necessità previste nell’art. 54 del c.p.
La Costituzione fissa i principi di inviolabilità della libertà personale, negli artt. 13 che ne ammette la restrizione per «atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti dalla legge» e 32 «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, (la quale) non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».
Il paziente può andare incontro, come descrive la letteratura scientifica, se la contenzione viene prolungata, ad abrasioni della cute, ischemie di arti e di organi, a tromboembolia polmonare, piaghe da decubito per immobilità, a “dolore mentale” come depressione, perdita di autostima, fino ad esiti infausti.
Dall’altra parte gli operatori ne fanno ricorso per necessità appellandosi all’art. 15 del Codice penale. Si trovano tra le varie giustificazioni la carenza di personale, respinta dal Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura e delle pene in quanto la contenzione applicandola in un modo corretto e adeguato richiede più e non meno personale, il senso di obbligo di “custodia” verso i curanti, la somministrazione dei farmaci rifiutati dal paziente o anche azioni per indurre ad un cambiamento nel comportamento.