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Covid-19 e varianti. Domande e risposte su Prevenzione e vaccinazione dall’Istituto superiore di Sanità

17 Marzo 2021

Mentre la campagna vaccinale contro il Sars-CoV-2 e il Covid-19 prosegue, una volta vaccinati quali misure di prevenzione occorre avere nei confronti degli altri e in presenza di varianti, le tre monitorate inglese, sudafricana e brasiliana, e altre possibili nuove? Queste sono alcune domande a cui l’Istituto Superiore di Sanità – Prevenzione e controllo delle infezioni e il suo gruppo di lavoro, Ministero della Salute, Aifa e Inail, hanno risposto dando alcune indicazioni in un recente Rapporto, pubblicato il 15 marzo.

In tema di varianti – misure di prevenzione

Continuano a valere le stesse raccomandazioni preventive finora in uso – distanziamento fisico, igiene delle mani, uso mascherine – poiché le varianti Sars-CoV-2 non hanno cambiato la loro modalità di trasmissione dell’infezione. Quelle di cui finora c’è preoccupazione, per la loro rapida diffusione e la possibile capacità di eludere la risposta immunitaria data dalla vaccinazione, e sono monitorate sono quella inglese (VOC202012/01), sudafricana (501Y.12) e brasiliana (P1), i cui nomi derivano dai Paesi in cui sono state identificate.

Il Centro Europeo per la Prevenzione e Controllo delle malattie infettive (ECDC) afferma in un documento del 25 febbraio 2021 che «le prime evidenze scientifiche sembrano mostrare una maggiore carica virale nelle vie aeree superiori delle persone infettate da queste nuove varianti, tuttavia, non è ancora noto per quanto tempo il virus persista in forma capace di cicli vitali in questi soggetti» e caldeggia pertanto l’osservanza delle misure preventive prescritte finora.

Riguardo al DISTANZIAMENTO FISICO si fa osservare che un metro rimane la distanza minima da adottare ma sarebbe opportuno aumentare il distanziamento fisico fino a due metri laddove possibile e specialmente in tutte le situazioni in cui viene rimossa la protezione respiratoria ad esempio in occasione del consumo di bevande e cibo).

In campo diagnostico per la ricerca del virus e delle varianti virali vengono indicati i testi diagnostici molecolari in real time PCR capaci di rilevare più geni del virus e non solo quello Spike (S). Infatti se il test è solo sulla ricerca del gene spike si potrebbe avere un risultato negativo in caso di variante come quella inglese VOC202012/01 detta anche B.1.1.7.

In tema di vaccinazione

I vaccini finora approvati dall’agenzia regolatoria europea EMA e autorizzati da quella italiana Aifa in Italia sono tre per la prevenzione della malattia Covid-19 nei soggetti di età a partire dai 18 anni, eccetto il Comirnaty della BioNtech/Pfizer a partire dai 16 anni.

Il Cominarty protegge dalla malattia dopo una settimana dalla somministrazione della seconda dose di vaccino, da somministrare a distanza di 3 settimane (21 giorni) dalla prima dose vaccinale. Evidenze scientifiche (Lancet 2021, Amit S., Regev-Yochay G et al., Early rate reductions of Sars-CoV-2 infection and Covid -19 in BNT162b2 vaccine recipients) mostrano una «certa protezione anche dopo una decina di giorni dalla prima dose».

Il Moderna, somministrato in due dosi a distanza di 4 settimane (28 giorni) tra la prima e la seconda, protegge in modo ottimale dalla seconda settimana dopo la seconda dose.
Entrambi, secondo studi preliminari in vitro mostrano «una ridotta attività neutralizzante da parte del siero dei soggetti vaccinati nei confronti della variante sud-africana e della variante brasiliana»,

L’AstraZeneca, protegge dalla terza settimana dopo la prima dose somministrata e dura fino alla 12ma settimana, per 3 mesi, quando deve essere somministrata la seconda dose vaccinale. Dinanzi a un contesto epidemico sud-africano il vaccino AstraZeneca presenterebbe, secondo uno studio preprint, una bassa efficacia per prevenire una malattia lieve o moderata.

I vaccini sono efficaci nel prevenire dal Covid-19 nelle sue forme clinicamente manifeste ma non è ancora noto quanto protegga in caso di malattia asintomatica. È possibile che «i soggetti vaccinati possano ancora acquisire SARS-CoV-2, non presentare sintomi e trasmettere l’infezione ad altri soggetti. Ciononostante, è noto che la capacità di trasmissione da parte di soggetti asintomatici è inferiore rispetto a quella di soggetti con sintomi, in particolare se di tipo respiratorio».

Come si devono comportare i lavoratori/operatori sanitari vaccinati?

Al momento considerato che non si conosce la durata della protezione vaccinale, che la risposta immunitaria è individuale e se impediscono del tutto la trasmissione di Sars-CoV-2, ovvero l’infezione asintomatica, il rischio di contagio nelle persone vaccinate non può per ora essere escluso.
Quindi lavoratori e operatori sanitari vaccinati devono essere considerati sia potenzialmente in grado di infettarsi con Sars-CoV-2 sia di trasmettere il virus agli altri e pertanto continuare al rispetto delle misure preventive finora indicate per i soggetti non vaccinati anche al di fuori dell’orario di lavoro.

In particolare, distanziamento fisico (laddove possibile), indossare un’appropriata protezione respiratoria, igienizzarsi o lavarsi le mani secondo procedure consolidate. Ogni lavoratore e operatore dovrà seguire le indicazioni del datore di lavoro e i programmi di screening.

E poi al di fuori dell’orario di lavoro?


Si continua al rispetto delle misure di prevenzione prescritte – distanziamento fisico, uso di mascherine, igiene delle mani per i motivi già sopracitati.

E se una persona vaccinata, con una o due dosi, è identificata come “contatto stretto”?

Se una persona pur essendo vaccinata se è stata a “contatto stretto”, esponendosi ad un alto rischio di contagio, con un caso positivo Covid-19, confermato o probabile, deve seguire le stesse indicazioni fornite dalle autorità sanitarie.

Le situazioni di contatto stretto riguardano una persona che vive nella stessa casa di un caso Covid-19, una persona che ha avuto un contatto fisico diretto come la stretta di mano, a faccia a faccia, a distanza minore di 2 metri e per almeno 15 minuti, in un ambiente chiuso come sala riunioni o sala di attesa ospedaliera senza dpi e dispositivi medici come mascherine chirurgiche.

Si prevede: purché sia asintomatica il periodo di quarantena della durata di 14 giorni dall’ultima esposizione e al 14 giorno va effettuato un test molecolare. Nella quarantena si osservano le misure di distanziamento fisico, igiene delle mani, mascherina e qualora compaiano sintomi compatibili con il Covid-19 si isola e contatta immediatamente il medico curante.

Cosa sono i fallimenti vaccinali?

Si ha quando nell’individuo vaccinato non si sviluppa la risposta immunitaria protettiva da Covid-19 e dal virus Sars-CoV-2. La risposta immunitaria data dalla vaccinazione può variare e ciò dipende da diversi elementi come l’età o condizioni cliniche concomitanti come l’immunodeficienza, o comorbosità. Viene fatto presente che i vaccini sono autorizzati per la prevenzione della malattia sintomatica e non per l’infezione asintomatica; ciò spiega il risultato positivo al tampone molecolare dopo essere stati vaccinati. Poi non si conosce la durata protettiva.

Non è un fallimento vaccinale quando appena nei giorni immediatamente successivi alla vaccinazione ci si infetta, seppure con rischio ridotto, perché la protezione ottimale dei vaccini è legata alla seconda dose somministrata. Un’altra situazione è quando al momento della vaccinazione la persona potrebbe già essere infettata dal virus e trovarsi in fase di incubazione e manifestare la malattia dopo la vaccinazione.
Il Ministero della Salute raccomanda di sequenziare i campioni positivi vaccinati anti-Covid-19 per verificare la presenza di una nuova variante virale.

Con la vaccinazione si modificano i programmi di screening di infezione da Sars-CoV-2 nelle strutture di assistenza sanitaria e RSA?

Non vanno modificati ma occorre verificare che le caratteristiche del test diagnostico prescelto siano adeguate all’ottenimento dei risultati.


Nei soggetti vaccinati si effettua la rilevazione del titolo anticorpale verso la proteina Spike?

Si ritiene non indicato nelle pratiche di assistenza sanitaria la valutazione e il monitoraggio del titolo anticorpale anti-Covid-19 dopo la proteina Spike (S) perché è ancora ad oggi impossibile determinare con precisione la correlazione anticorpale all’esame sierologico e il livello di protezione. Vi sono studi epidemiologici multicentrici in fase di avvio a livello europeo che consentiranno prove scientifiche utili per la definizione del livello e della durata di protezione ottenuta a seguito della malattia e della vaccinazione.

Se sono un contatto stretto di Covid-19, quando posso vaccinarmi?

Se si è identificato come contatto stretto non devono recarsi presso i centri vaccinali per il rischio di infettare altre persone, la persona deve portare a fine la quarantena di 10-14 giorni prima di poter essere vaccinata.

Se ho avuto il Covid-19 sono tenuto a vaccinarmi? Sono soggetto ad avere reazioni avverse più frequenti o gravi?

Le persone con pregressa infezione da SarsCoV-2 confermata da test molecolare, con Covid-19 sintomatico o meno, dovrebbero vaccinarsi.

Può essere considerata la possibilità di somministrare un’unica dose di vaccino anti-COVID-19 nei soggetti con pregressa infezione da SARS-CoV-2 decorsa in maniera sintomatica o asintomatica, purché la vaccinazione avvenga ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa. Invece per le persone che hanno un’immunodeficienza, primitiva o secondaria a trattamenti farmacologici, anche se con pregressa infezione da SARS-CoV-2, vanno vaccinate quanto prima e con un ciclo vaccinale di due dosi.

Infine i pazienti COVID-19 trattati con anticorpi monoclonali o con plasma di pazienti convalescenti dovrebbero attendere 90 giorni prima di ricevere il vaccino COVID-19. E si raccomanda di non effettuare test sierologici per la ricerca di un’infezione pregressa per valutare la necessità di una vaccinazione.


redazione Bioetica News Torino