Dopo i medici, la solidarietà arriva anche dagli infermieri. Rispondono oltre 9000 sul bando di 500 ma continuano gli appelli per adeguata protezione operatori sanitari
30 Marzo 2020Al bando per la task force di 300 medici volontari per le strutture sanitarie più impegnate nell’emergenza Covid-19 avevano risposto con generosità, in appena 24 ore , in 7.900 e ora la solidarietà arriva dagli infermieri attraverso il numero di 9.448 che si offrono volontari per un bando di 500 da “arruolare” per un’unità tecnico-infermieristica, in appena 48 ore, da parte della Protezione Civile. Vi hanno risposto per la metà infermieri specializzati in Urgenza-Emergenza, Terapia intensiva e Rianimazione e il maggior numero di candidati proviene da Lazio, Lombardia e Campania, dai dati presentati dal capo della Protezione Civile Angelo Borrelli in conferenza stampa di ieri, domenica 29 marzo.
La presidente della Federazione nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (Fnopi) Barbara Mangiagalli sullo slancio generoso degli infermieri al bando dichiara: «I posti sono solo 500 e loro lo hanno sempre saputo, ma la voglia di esserci, di dare supporto a chi ha bisogno è più forte della consapevolezza che non tutti potranno essere li. Ora ci auguriamo anche che questi 500, così come tutti gli altri già in prima linea, possano avere le necessarie tutele (dispositivi di protezione individuale, tamponi etc.) per non dover mai cedere al virus e perché anche la loro salute sia tutelata» fnopi.it, 29 marzo 2020).
La risposta ai bandi è un messaggio di come la vocazione di salvare vite umane passi sopra il rischio della propria vita, di solidarietà verso colleghi/e impegnati nelle zone più colpite dall’emergenza del Covid, di dedizione al prendersi cura unendo alla competenza professionale compassione e conforto. Tuttavia nella lotta contro il virus Sars-Cov-2 si contagiano e perdono la vita gli stessi operatori sanitari. Alla drammaticità della perdita di 10.026 vittime totali da Covid-19 al 30 marzo, tra i 94.312 casi di contagio vi sono purtroppo 8.956 operatori sanitari.
Mentre vi sono stretti regolamenti negli spostamenti per chi è nelle case per non poter contenere la diffusione di un virus che ha una rapida capacità di trasmissione infettiva per chi opera a contatto con le persone sospette o affette da Covid- 2 continua ad esserci il problema della sicurezza dai dispositivi di protezione individuali di cui si lamenta ora la mancanza ora l’insufficienza ora la tardività nella distribuzione all’analisi dei tamponi agli stessi operatori all’interno di un quadro di grande emergenza sanitaria.
Al 28 marzo il numero degli infermieri contagiati è salito a quasi 4.000 su un totale, anch’esso che scuote le coscienze domandandosi se si poteva “evitarlo”, di 7.763 operatori sanitari che hanno contratto il Nuovo Coronavirus, così come la perdita di 23 infermieri tra cui 2 suicidi, afferma in una nota di ieri, Tonino Aceti, portavoce Fnopi. Solleva tanti quesiti che rivolge al Governo “per non essere dimenticati” dalle indennità assenti di rischio che «molti infermieri contagiati, costretti alla quarantena, che devono sostenere di tasca propria le spese di alloggio, peraltro difficile da trovare per la paura del contagio, presso il quale si devono necessariamente appoggiare ⌈…⌉ lo stesso per quei infermieri che responsabilmente per non rischiare di infettare i propri figli e tutti i loro cari, decidono di affittare un appartamento a loro spese».
All’aiuto psicologico agli operatori sanitari e alle famiglie dei deceduti alla presenza concreta dello Stato dinanzi a tali situazioni.
Alle considerazioni «di alcuni interlocutori che già provano a mettere le mani avanti sul possibile nesso di casualità tra l’esercizio professionale degli infermieri (come degli altri operatori della sanità) e il contagio da coronavirus sul luogo di lavoro alla carenza di personale infermieristico attuale di oltre 20mila rispetto alla normativa europea e sui turni e alla necessità di assunzione superata l’emergenza coronavirus. Alla rimodulazione contrattivistica lavorativa mostrando come i colleghi tedeschi guadagnino 41mila euro lordo annuo e dei Paesi Bassi 83 mila rispetto ai 33 mila in Italia.
Riporta infine il rapporto Ocse 2018, confermando l’andamento anche per il 2019, di un panorama in cui il numero degli infermieri in Italia è tra i più bassi dei 35 Paesi e che il rapporto ottimale sarebbe tra infermiere e assistito 1 a 6 mentre ogni qualvolta un assistito è preso in più da un infermiere aumenta del 23% l’indice di burnout, del 7% la mortalità dei pazienti, del 7% il rischio che l’infermiere non si renda conto delle complicanze a cui il paziente va incontro».
Impressiona i tanti lutti che hanno portato via i medici durante questa epidemia mentre assistevano le persone malate affette da Nuovo Coronavirus: ad oggi sono 63, i cui nomi sono ricordati uno ad uno, sul monumento in loro memoria, quotidianamente aggiornato del portale della federazione degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri (Fnomceo), che lascia in ognuno di chi legge dolore, commozione e anche rabbia. I contagiati dai dati dell’Istituto Superiore della Sanità sono saliti, ieri a 2629 anche se come viene fatto notare, «molto sono quelli che muoiono improvvisamente anche se la causa di morte non è riconducibile al virus perché il tampone non viene effettuato».
Una pluralità di voci raccolte dalla Federazione provenienti dai diversi ordini chiedono all’unisono sicurezza per gli operatori e per il contenimento del virus. La necessità di tamponi agli operatori sanitari oltre che ai sintomatici e ai loro contatti e di snellire la prassi burocratica per l’attivazione dei laboratori sul territorio viene dall’Ordine dei Medici di Bari, Nicola Calabrese, vice-segretario nazionale Fimmg e segretario Fimm Bari. Invita a una stretta collaborazione tra medici, Dipartimenti delle Asl e autorità locali chiedendo che «i medici devono poter segnalare tutti i casi con sintomatologia riconducibile al Covid 19, anche paucisintomatici. Alla segnalazione deve seguire un provvedimento di sanità pubblica che coinvolga i sindaci, quale autorità sanitaria locale, per imporre la quarantena ai casi sospetti e ai loro familiari anche in assenza del tampone».
Dall’Ordine di Parma Muzzetto chiede la necessità di adeguate protezioni per tutti che vi operano nell’emergenza epidemiologica sottolineando, nella lettera rivolta al Ministero della Salute, che «”le Regioni ci dicono che da un lato sono arrivati finalmente i DPI (dispositivi di sicurezza) e, dall’altro, si scopre che ci sono “problemi centrali” di distribuzione dei presidi”. E purtroppo anche quelli ordinati direttamente dalla Regione, sembra restino bloccati nei nodi di smistamento logistico a causa di lungaggini burocratiche o si perdono nei meandri reticolari strada facendo». I motivi possono essere diversi e veri o meno ma il fatto che i dpa scarseggiano o non si vedono arrivare in modo adeguato è la realtà delle cose che Muzzetto lamenta.
Dall’Ordine dei Medici di Torino il presidente Giustetto chiede al Ministero della Salute «di riallineare nuovamente la normativa alle disposizioni europee, rendendo obbligatorio l’uso delle mascherine FFP2 e FFP3 nell’assistenza ai pazienti Covid-19, per tutelare i medici e, di conseguenza, proteggere tutti i cittadini» e una normativa più stringente sulla protezione anti-contagio che «obblighi le Regioni e le aziende sanitarie ad usare DPI più efficaci. In particolare, occorre che sia reso obbligatorio l’utilizzo di mascherine FFP2 e FFP3 in caso di assistenza a pazienti Covid-19 e che i medici siano riforniti al più presto di questi dispositivi». Altrimenti il rischio infettivo è elevato – come lamenta – per la visita ai pazienti sconosciuti o ricoverati nelle aree Covid con le sole mascherine chirurgiche ma contemporaneamente concessa dalla legge.
Infatti la normativa europea (ECDC) è differente da quanto il Governo ha posto negli ultimi provvedimenti (dl 2 marzo art. 34; dl Cura Italia art. 16) e le indicazioni dell’ISS, pur aggiornate al 28 marzo «rimodula⌈no» al ribasso le disposizioni di protezione per l’assistenza ai pazienti Covid-19». E con l’arrivo delle 40mila mascherine FFP2 e FFP3 per il Piemonte, da parte del Ministero della Salute, una parte di quanto viene consegnato per gli Ordini dei Medici per distribuirle sul territorio e negli ospedali dove vi sono maggiori criticità, «non si vuole sostituire le forniture ordinarie dell’Unità di Crisi, ma collaborare a contenere le carenze e proteggere i medici».
Proteggere i medici e tutti gli operatori sanitari diventa una priorità per non essere veicolo di trasmissione di contagio per i pazienti fino al manifestarsi dei sintomi, quando si ammala.
Il presidente nazionale Fnomceo Filippo Anelli chiede di portare più avanti nel tempo la discussione sulle modalità di infezione degli operatori sanitari perché quel che di ora c’è davvero bisogno è la protezione dal rischio di contagio di chi cura, assiste durante questa epidemia da Covid. In una nota (www.fnomceo.it, 30 c.m.) rivolta direttamente al presidente della Repubblica Mattarella e al Ministro Speranza ringraziandoli per i loro discorsi di vicinanza e riconoscenza, Anelli mette ancora una volta quel che è urgente e non può più essere inderogabile: «Il primo è che a tutti gli operatori sanitari siano forniti dispositivi individuali di protezione commisurati al rischio di esposizione al Covid-19. Riteniamo che per tutti i medici le mascherine debbano essere almeno di livello FFP2 e assolutamente di livello FFP3 per i colleghi impegnati in prima linea nell’assistenza ai pazienti Covid-19».
Il secondo, «monitorare lo stato di salute di tutti i medici attraverso tamponi costanti per intercettare subito ed isolare i medici infettati e i loro contatti».
Infine la salvaguardia della salute degli operatori dal rischio di contagio va estesa sul territorio «per intercettare e isolare sin dall’inizio di pazienti positivi e i loro contatti stretti e meno stretti». Consiglia di «partire soprattutto nelle zone dove l’epidemia non si è ancora diffusa in maniera grave, precocemente con tamponi su sintomatici e contatti, isolare casi e se necessario comunità, secondo le metodiche consolidate dell’igiene pubblica».
I tamponi sono necessari perché aiutano al contenimento del contagio ma laddove non sia possibile Anelli suggerisce che «andrebbero comunque isolati i casi sospetti e i loro contatti sulla base del solo criterio clinico (presenza di almeno un sintomo).