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Facebook ed Apple offrono come “bonus” alle dipendenti la possibilità di congelare e conservare i loro ovuli per rinviare una gravidanza

15 Ottobre 2014

Una possibilità offerta alle donne che lavorano, un elemento di libertà in più, o un messaggio sbagliato inviato alla società in cui viviamo? Facebook ed Apple hanno appena deciso di offrire come “bonus” alle dipendenti la possibilità di congelare e conservare i loro ovuli per rinviare una gravidanza che ora può essere di ostacolo alla loro carriera, e già infuriano le polemiche: è giusto sostenere una società nella quale sei costretto a lavorare talmente duro da non poterti permettere di far crescere i tuoi figli? E perché all’avanguardia di questo nuovo movimento ci sono proprio le aziende di una Silicon Valley ancora molto maschilista per cultura e composizione della forza-lavoro?

Reazioni accaldate che hanno colto di sorpresa soprattutto la Apple. Come le altre imprese dell’economia digitale, anche il gruppo fondato da Steve Jobs offre ai suoi dipendenti un ventaglio di benefit: ristorazione da gourmet al posto delle mense industriali, servizi di lavanderia, massaggi. Facebook è andata ancora più in là con una serie di aiuti mirati per chi mette su famiglia o vuole farlo: 4000 dollari cash alla nascita di ogni figlio e 15 mila dollari a disposizione di chi ha bisogno di cure contro la sterilità. Il passo successivo è stato quello di offrirsi, come azienda, di coprire anche le spese di congelamento e conservazione degli ovuli delle donne che decidono di rinviare la gravidanza: una pratica sempre più diffusa tra le lavoratrici.

Il “social network” fondato e guidato da Mark Zuckerberg, in realtà, si è già messo su questa strada da tempo: il congelamento è compreso in una nuova polizza sanitaria offerta ai dipendenti fin dal gennaio scorso. Ma la cosa è divenuta di pubblico dominio solo di recente, e la Apple ha deciso di seguire l’esempio di Facebook offrendosi di coprire le spese per il differimento della gravidanza: considerato che il congelamento degli ovuli costa circa 10 mila dollari (più mille l’anno per la conservazione) e che l’operazione va ripetuta due volte per avere buone possibilità di successo, il “benefit” offerto a queste aziende della Silicon Valley vale almeno 20 mila dollari, più di 15 mila euro.

Le aziende respingono al mittente critiche che giudicano ingenerose. In fondo offrono da anni un ventaglio di aiuti alle famiglie, compresi un contributo alle spese di gestione dei neonati e un sostegno economico nei casi di adozioni. Che c’è di male a finanziare una procedura sanitaria che sta diventando sempre più diffusa? In fondo si tratta di una misura in linea con “Facciamoci avanti”, il manuale per il riscatto delle donne pubblicato un paio d’anni fa dal direttore generale di Facebook, Sheryl Sandberg. Ci si lamenta perché nelle aziende digitali lavorano troppe poche donne (il 30 per cento della forza lavoro, a volte anche meno): non è questo un modo per attirare più lavoro femminile?

Ma, riflettendo sull’evoluzione della società, non possiamo fare a meno di interrogarci sulle conseguenze della diffusione di una pratica destinata a moltiplicare padri e madri cinquantenni e, magari, anche sessantenni. Le tecniche di congelamento esistono da diversi anni, ma fino a qualche tempo fa venivano usate soprattutto a fini clinici e per casi-limite: la donna ammalata di cancro che, prima di sottoporsi alla chemioterapia, congelava i suoi ovuli da fecondare in un secondo momento. Col perfezionamento delle tecniche di congelamento questa pratica è andata diffondendosi oltre la sfera clinica. È giusto che l’atteggiamento di un pugno di aziende dell’”hi tech” incida sul trasferimento dell’esperienza della maternità e della paternità dalla gioventù alla mezza età, se non addirittura alla senilità?

fonte: Corriere della Sera

approfondimenti: http://www.theguardian.com/technology/2014/oct/15/apple-facebook-offer-freeze-eggs-female-employees

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino