Fine vita. AMCI: No a eutanasia e suicidio assistito. Alcuni interrogativi sulla non punibilità disciplinare espressa dalla FNOMCEO negli “Indirizzi applicativi all’art. 17”
17 Febbraio 2020Alla luce di quanto pronunciato dalla sentenza della Corte Costituzionale sull’aiuto al suicidio assistito (sentenza 25 settembre 2019 n. 242) che non prevede la punibilità penale dell’articolo 580 in casi specifici e degli indirizzi applicativi all’art. 17 con cui si è dato aggiornamento al Codice di Deontologia Medica da parte della Fnomceo il 6 febbraio scorso, a seguito della suddetta sentenza, l‘Associazione dei Medici Cattolici (AMCI) ha voluto chiarire attraverso un comunicato della presidenza e approvato all’unanimità l’11 febbraio dal Consiglio, ancora una volta la propria posizione contraria in tema di eutanasia e suicidio assistito e porre uno spazio di riflessione su alcuni interrogativi da loro posti riguardo agli «Indirizzi applicativi all’articolo 17».
Riportiamo, in breve, innanzitutto cosa tratta la sentenza e l’aggiornamento del Codice deontologico. Con la sentenza n. 242/2019 del 25 settembre e depositata il 22 novembre riguardo al fine vita la Corte Costituzionale ha reso il suicidio assistito non più punibile come reato penale in determinate circostanze. Ha previsto la possibilità di richiederlo nei casi nei quali una persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale (ad esempio, idratazione e alimentazione artificiale) e affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze fisiche o psicologiche, ma che resta pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. A ciò si aggiunge il parere di verifica delle condizioni da parte di una struttura sanitaria pubblica.
Come conseguenza della sentenza il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Medici, dopo un lungo lavoro della Consulta deontologica medica, ha ritenuto di lasciare libertà di agire in legge e coscienza ai medici nei specifici casi. Nella riunione del 6 febbraio scorso i 106 presidenti degli Ordini territoriali che compongono il Consiglio nazionale della Federazione degli Ordini dei Medici (Fnomceo) hanno approvato all’unanimità il testo di «indirizzi applicativi all‘articolo 17 del Codice di Deontologia medica».
Sui doveri e competenze del medico l’articolo 17 riguarda gli «Atti finalizzati a provocare la morte»: Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte». Dovrà sempre attenersi ai suoi doveri di tutela della vita, della salute psico-fisica, del trattamento del dolore, del sollievo della sofferenza, nel rispetto della libertà e dignità della persona.
Viene aggiunto nel Codice deontologico, aggiornandolo, il seguente testo applicativo riferito solo ai casi previsti dalla sentenza della Corte Costituzionale, affinché non via sia contraddizione tra quanto stabilito dalla Corte e il codice deontologico sulla punibilità del medico. Gli indirizzi applicativi sono: «La libera scelta del medico di agevolare, sulla base del principio di autodeterminazione dell’individuo, il proposito di suicidio autonomamente e liberamente formatosi da parte di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, che sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (sentenza 242/19 della Corte Costituzionale e relative procedure), va sempre valutata caso per caso e comporta, qualora sussistano tutti gli elementi sopra indicati, la non punibilità del medico da un punto di vista disciplinare».
Il comunicato dell’AMCI presenta due punti.
Primo, sul tema di eutanasia e suicidio assistito afferma che «il Consiglio di Presidenza AMCI ritiene assolutamente incompatibile ogni intervento di assistenza medica al suicidio assistito con l’etica e la deontologia professionale del medico». Spiega che «la medicina è sempre senza eccezioni per la vita e a favore della vita, e questa vita deve essere sempre accompagnata, senza alcun disimpegno, senza alcun abbandono, con delicatezza, fermezza e impegno nel continuare a curare le fragilità, pur se terminali, adempiendo sempre con sollecitudine e proporzionalità a prendersi cura (care), soprattutto quando non si può guarire».
E così sul piano morale i medici cattolici «non possono accondiscendere in nessun caso a richieste eutanasiche da parte dei pazienti, ed i medici cattolici saranno sempre osservanti della propria coscienza. E questo, nell’interesse del sofferente, varrà sempre, sia ben chiaro, anche al di là delle nuove interpretazioni dell’art. 17 del codice di deontologia medica».
Secondo, riguardo al testo degli «indirizzi applicativi dell’art. 17» del Codice Deontologico approvato di recente dal Consiglio della Fnomceo, a Roma il 6 febbraio scorso, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 242/2019, l’Amci precisa che se da un lato «prende atto della decisione della FNOMCeO della NON modifica dell’art. 17 del codice deontologico e ritiene questo, di per sé, un fatto sostanzialmente positivo!» dall’altro « Ma non condivide la successiva elaborazione dottrinale dell’indirizzo applicativo deciso, restando sempre nel rispetto di chi pensa diversamente».
Il Consiglio di Presidenza Nazionale dei medici cattolici ha voluto ripresentare alcuni interrogativi:
1. Il primo attiene alla scelta dei tempi: quale urgenza c’era di provvedere con tanta celerità? La sentenza della Consulta, che di fatto aggiunge un nuovo comma all’art. 580 del codice penale, è per questo equiparabile a un intervento del Legislatore: non sarebbe stato opportuno cogliere le ricadute della nuova disposizione, pur se di creazione giurisprudenziale, sul codice deontologico prima di decidere gli “indirizzi applicativi”? L’interrogativo è tanto più concreto allorché la sentenza in questione esige il parere del Comitato etico territoriale: poiché la disciplina di quest’ultimo è ancora in via di definizione, ciò non avrebbe costituito una ragione in più per prendere tempo?
2. Sia la sentenza 242 che la legge 219/2017 (norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) parlano di “coscienza del singolo medico” e di “deontologia professionale”. Se il riferimento è con tutta evidenza all’attuale codice deontologico, incluso il suo art. 17, perché varare questi nuovi “indirizzi applicativi”? La Consulta non auspica nemmeno per incidens delle integrazioni.
3. A chi osserva che la stessa Corte inserisce ogni trattamento di fine vita all’interno del Servizio sanitario nazionale, parlando di “verifica in ambito medico” della richiesta di aiuto al suicidio, si può rispondere che ci si imbatte in una confusione che non spetta certamente al singolo medico, o al suo Ordine, risolvere, perché sta tutta nella sentenza 242 e nell’inserimento di essa nell’ordinamento. Si ricorda che l’art. 1 co. 2 della L. 833/78 definisce il “servizio sanitario nazionale” come “il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione”. A quale degli obiettivi propri del SSN – la promozione, il mantenimento, il recupero della salute – si ascrive l’aiuto che il medico è chiamato a dare al suicidio? La Consulta non lo spiega; prima del codice deontologico non si sarebbe forse dovuta rettificare la legge istitutiva del SSN? Ovviamente non è un auspicio: è un iter logico, che però non è stato seguito.
4. Gli “indirizzi applicativi” vanno nella direzione di sovrapporre anche letteralmente il codice deontologico al dictum della Consulta. I quesiti sono: non esiste una autonomia fra norme disciplinari e norme penali? che necessità vi è delle prime se il loro confine appare coincidere con quelle delle seconde? può essere una legge dello Stato o una sentenza della Consulta a stabilire che cos’è la professione medica, prescindendo dalle norme di tradizione plurimillenaria che l’Ordine ha maturato al proprio interno?
I componenti il Consiglio di Presidenza Nazionale dei medici cattolici, proprio riflettendo su questa decisione della FNOMCeO, desiderano lasciare spazio ad una serie di interrogativi:
1. il primo attiene alla scelta dei tempi: quale urgenza c’era di provvedere con tanta celerità? La sentenza della Consulta, che di fatto aggiunge un nuovo comma all’art. 580 del codice penale, è per questo equiparabile a un intervento del Legislatore: non sarebbe stato opportuno cogliere le ricadute della nuova disposizione, pur se di creazione giurisprudenziale, sul codice deontologico prima di decidere gli “indirizzi applicativi”? L’interrogativo è tanto più concreto allorché la sentenza in questione esige il parere del Comitato etico territoriale: poiché la disciplina di quest’ultimo è ancora in via di definizione, ciò non avrebbe costituito una ragione in più per prendere tempo?
2. Sia la sentenza 242 che la legge 219/2017 parlano di “coscienza del singolo medico” e di “deontologia professionale”. Se il riferimento è con tutta evidenza all’attuale codice deontologico, incluso il suo art. 17, perché varare questi nuovi “indirizzi applicativi”? La Consulta non auspica nemmeno per incidens delle integrazioni;
3. A chi osserva che la stessa Corte inserisce ogni trattamento di fine vita all’interno del Servizio sanitario nazionale, parlando di “verifica in ambito medico” della richiesta di aiuto al suicidio, si può rispondere che ci si imbatte in una confusione che non spetta certamente al singolo medico, o al suo Ordine, risolvere, perché sta tutta nella sentenza 242 e nell’inserimento di essa nell’ordinamento. Si ricorda che l’art. 1 co. 2 della L. 833/78 definisce il “servizio sanitario nazionale” come “il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione”. A quale degli obiettivi propri del SSN – la promozione, il mantenimento, il recupero della salute – si ascrive l’aiuto che il medico è chiamato a dare al suicidio? La Consulta non lo spiega; prima del codice deontologico non si sarebbe forse dovuta rettificare la legge istitutiva del SSN? Ovviamente non è un auspicio: è un iter logico, che però non è stato seguito;
4. Gli “indirizzi applicativi” vanno nella direzione di sovrapporre anche letteralmente il codice deontologico al dictum della Consulta. I quesiti sono: non esiste una autonomia fra norme disciplinari e norme penali? che necessità vi è delle prime se il loro confine appare coincidere con quelle delle seconde? può essere una legge dello Stato o una sentenza della Consulta a stabilire che cos’è la professione medica, prescindendo dalle norme di tradizione plurimillenaria che l’Ordine ha maturato al proprio interno?
Questi interrogativi forse resteranno senza risposta, ma il Consiglio di Presidenza AMCI ha voluto riproporli.
Roma, 11 Febbraio 2020
IL CONSIGLIO DI PRESIDENZA AMCI
ALL’UNANIMITA’
Prof. Filippo M. Boscia – Presidente Nazionale