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News dal Mondo

«Gene editing: ascoltare tutti, con cautela»

10 Dicembre 2015

Appena rientrato dagli Stati Uniti dove (unico italiano) ha partecipato al vertice internazionale sull’«editing genetico» (ne riferiamo a parte in questa stessa pagina), Luigi Naldini, direttore dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia genica – Tiget di Milano, fa il punto sugli orientamenti emersi in un consesso dove le posizioni culturali di ricercatori di molti Paesi difficilmente possono portare a porre limiti stretti a ricerche applicate all’uomo, anche quando riguardano la manipolazione degli embrioni. «La discussione sull’editing genetico verrà approfondita in altri tre incontri (di cui uno in Europa, magari in Italia), alla fine del percorso si punta a redigere una serie di raccomandazioni da distribuire agli Stati e alle loro autorità regolatorie sulle
sperimentazioni scientifiche. A Washington è emerso un consenso sulla necessità di ascoltare i diversi punti di vista di tutte le componenti sociali e culturali, compreso quello di pazienti e disabili».

In che cosa consistono gli studi sull’editing genetico? «È una tecnica rivoluzionaria che permette di andare a riscrivere il Dna in punti precisi grazie a enzimi artificiali che si legano a una sequenza specifica e la tagliano.
A seconda del meccanismo di riparazione che segue si possono avere due tipi di
modifiche: l’interruzione della sequenza originale, che può produrre l’inattivazione del gene bersagliato, o la sua riparazione copiando una sequenza simile da noi introdotta nella stessa cellula, che può permettere di correggere una mutazione genetica (si parla di ricombinazione omologa). È una forma di terapia genica che si basa su quanto già descritto da Mario Capecchi (premio Nobel per la Medicina nel 2007), ma che ora è diventata molto più precisa e facile da usare. La tecnica (chiamata Crisper/Cas) taglia il Dna grazie a enzimi indirizzati nella giusta posizione tramite una guida di Rna.  Sulle cellule degli individui adulti (gene editing somatico) le sperimentazioni sono iniziate, mentre su quelle della linea germinale (gameti o embrioni) siamo a livello di discussione».

Quali sono i possibili benefici dell’editing genetico somatico? «Inattivando geni si possono ottenere resistenze ad agenti patogeni: per esempio la prima (e finora unica) sperimentazione clinica inattiva un gene nelle cellule immuni per ottenere la resistenza di un recettore al virus Hiv. Allo studio ci sono altre applicazioni per correggere mutazioni genetiche che sono alla base di immunodeficienze o della talassemia. A Washington è stato riferito (non è ancora pubblicato) l’esperimento della somministrazione a una bambina affetta da leucemia di linfociti contro il tumore, provenienti da una terza persona, ingegnerizzati in modo da non causare rigetto».

Quali sono invece gli studi e i problemi che solleva l’editing genetico sulle cellule germinali? «Si tratterebbe di correggere geni che causano malattie ma si trasmettono anche alla progenie. Queste applicazioni, oltre che tecnicamente ancora premature, sono controverse dal punto di vista etico e legale; in molti Paesi la ricerca sugli embrioni non è consentita, in altri è permessa. Inoltre, dal punto di vista scientifico non c’è un chiaro consenso su quali applicazioni sarebbe utile sviluppare rispetto ad altre strategie oggi disponibili».

A Washington si è tenuto in considerazione un principio di precauzione su questo tema? «Sì, ma c’è un consenso diverso che dipende dal retroterra culturale e religioso dei ricercatori: per i cinesi la vita comincia dalla nascita, prima non hanno remore a sperimentare. Altre culture o confessioni religiose hanno posizioni diverse. È emersa la volontà di valorizzare le posizioni culturali differenti, senza pretendere di imporre una visione unica. A Washington sono stati ascoltati sociologi, filosofi, bioeticisti, organismi di governance, associazioni di pazienti e disabili. Queste ultime due categoria sono preoccupate perché, se si cancella una malattia, si rischia di creare anche una pressione indebita a cancellare i malati, una condizione che diventa particolarmente dolorosa per chi comunque con tali condizioni deve vivere. Credo che uno dei motivi per cui la ricerca sull’editing genetico dovrebbe proseguire è che ci permetterebbe di evitare la selezione embrionale. È stato avviato un gruppo di studio per approfondire tutte queste tematiche. Mentre le applicazioni dell’editing genetico in campo somatico sono promettenti, possono aprire nuove prospettive di trattamento per alcune malattie e possono essere sviluppate in sicurezza seguendo gli esistenti percorsi normativi, gli interventi sulla linea germinale non sembrano a oggi offrire soluzioni a problemi urgenti».

E gli interventi per migliorare l’uomo? Sono fughe in avanti? «Ci muoviamo in una zona grigia: si possono correggere geni che sarebbero solo fattori di rischio di malattie? O addirittura che puntano a un “miglioramento” dell’essere umano? Fino a che punto vogliamo plasmare la progenie? Si aprono scenari inquietanti che sfiorano l’eugenetica. Sul fatto che queste ultime applicazioni siano fuori dall’orizzonte della scienza c’è stato un consenso quasi completo».

Enrico Negrotti
Fonte: «Avvenire»

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«Un freno a possibili eccessi». Ma non si parla di moratoria

Non un divieto, né una moratoria. Alla fine di tre giorni di confronto, decine di scienziati, ricercatori, studiosi di genetica e di etica hanno deciso di affrontare il futuro delle modificazioni genetiche umane «senza usare nessuna di quelle due parole», come ha spiegato David Baltimore, Nobel per la medicina  e docente di biologia all’Università Caltech. In realtà, lo stesso Baltimore a marzo aveva firmato un appello su Science chiedendo di fermare ogni tentativo di alterare il patrimonio genetico di embrioni e gameti. Nel documento si invocava un dibattito che portasse allo scoperto le conseguenze del manipolare l’eredità umana.

Ora, secondo il premio Nobel e la maggior parte dei suoi colleghi riunitisi la scorsa settimana, quella riflessione è stata avviata. Le parole che hanno scelto sono diventate dunque «cautela» e «monitoraggio». Il documento finale della conferenza, tenutasi presso la National Academy of Science di Washington e sponsorizzata anche dall’Accademia cinese delle Scienze e dalla Royal Society della Gran Bretagna, si limita a chiedere ai ricercatori in tutto il mondo di non impiantare in utero eventuali embrioni manipolati, in grado quindi di trasmettere geni “ritoccati” alle generazioni future, con conseguenze imprevedibili. Sì alla ricerca, dunque, ma no a creare in laboratorio bambini dal Dna corretto secondo le ambizioni degli scienziati o, un domani, dei loro genitori. «Sarebbe irresponsabile procedere con una gravidanza – si legge nel comunicato – finché non sono state risolte le problematiche di sicurezza e non se ne sono stati compresi i rischi, e finché non si è raggiunto un ampio consenso sociale sulla sua pertinenza».

Il gruppo ha ribadito anche che la discussione sulle implicazioni delle nuove tecniche di “taglia e incolla” di singoli geni deve continuare. Ha quindi invitato le tre accademie sostenitrici dell’evento a creare commissioni permanenti per «analizzare possibili applicazioni cliniche dell’editing genetico, aiutare le decisioni delle istituzioni nazionali, formulare linee guida e promuovere la coordinazione fra i Paesi». Questo per «scoraggiare attività inaccettabili mentre si fa progredire la salute e il benessere umano».

Il consesso ha infatti sottolineato il potenziale benefico della tecnologia che permette di modificare i geni all’interno di cellule viventi – Crispr-Cas9 – così semplice da essere accessibile a «biologi dilettanti». Un metodo che rende il sogno di liberare l’umanità da malattie come il Parkinson o l’Alzeihmer quasi a portata di mano ma che concretizza anche possibili applicazioni eugenetiche. «È un momento importante nella storia umana – ha spiegato Ralph Cicerone, presidente della National Academy of Sciences americana – abbiamo la responsabilità di fornire alla società le informazioni di cui ha bisogno per sviluppare norme per l’uso delle modificazioni genetiche umane».

Dalla conferenza è emersa anche la consapevolezza che una condanna esplicita degli esperimenti genetici su embrioni e gameti umani sarebbe impossibile da far rispettare, perché in centinaia di laboratori la ricerca continua a velocità elevata. Qi Zhou, biologo all’istituto Cas di Zoologia a Pechino, si è sorpreso, ad esempio, di apprendere che i Paesi occidentali hanno già utilizzato la nuova tecnologia su esseri umani adulti. Sperimentazioni cliniche per l’eliminazione del gene della leucemia, dell’Hiv e dell’emofilia sono infatti in programma o in corso negli Usa e nel Regno Unito.

Se il summit dunque non ha voluto mettere il piede sul freno della ricerca, ha cercato almeno di farla rallentare, stabilendo di procedere con i fari ben accesi nella nebbia etica delle nuove frontiere della genetica.

Elena Molinari
Fonte: «Avvenire»

 

 

 

Redazione Bioetica News TorinoRedazione Bioetica News Torino