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I sintomi persistenti al Covid-19: breve e lunga durata

15 Febbraio 2021

L’infezione dalla sindrome Sars-Cov-2 può lasciare strascichi per molti mesi secondo alcuni studi più recenti. I sintomi lamentati da alcune persone adulte contagiate nelle sue diverse forme da severa a lieve, successivamente al periodo di convalescenza, sono parecchi. Riguardano: stanchezza persistente, mal di testa, mancanza di respiro, anosmia, debolezza muscolare, febbre, disfunzione cognitiva (brain fog), tachicardia, disturbi intestinali e manifestazioni cutanee. Sintomi che definiscono un quadro ora chiamato sindrome Long Covid e pare che siano più le donne a soffrirne, spiegano Elena Ortona dell’Istituto Superiore di Sanità, Danilo Buonsenso del Policlinico Gemelli Irccs di Roma e Walter Malorni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

Citano alcuni studi scientifici. In uno clinico osservazionale preliminare britannico e in itinere di Dennis A., Malgorzata W., Kapur S. et al., descritto in Multi-organ impairment in low-risk individuals with long Covid (pubblicato il 16 ottobre 2020 in Med-Rixiv preprint), condotto da aprile a settembre 2020 i sintomi riportati con più frequenza sono stati l’affaticamento (98%), il dolore muscolare (88%), mancanza di respiro (87%) e mal di testa (83%). Tachicardia e sintomi gastrointestinali risultano più comuni. L’indagine clinica si è svolta su un campionario di 201 individui di età media sui 44 anni e composto per il 70% da donne, l’87% da etnia bianca, con patologie preesistenti quali obesità, ipertensione, diabete, cardiopatie etc. «Con l’avanzare della pandemia, c’è una preoccupazione crescente sulle strategie di isolamento prolungato per le persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità e un rischio più elevato in esiti di Covid-19 severo. Questi approcci hanno mostrato un basso rischio di infezione da Sars-CoV-2 negli individui più giovani […] ma senza conoscenza degli effetti polmonari ed extrapolmonari cronici (trad. redazione.)», affermano gli Autori. Si rivela la necessità di un monitoraggio e di un follow-up almeno nel periodo medio e lungo termine della funzione multiorgano e un’analisi ematologica è preferibilmente richiesta persino negli individui a basso rischio.

Ortona e gli altri autori affermano che tale sindrome assomiglia alle sindromi post-infettive di Chikumunya e di Ebola per la sequela a lungo termine. Un altro studio citato prospettico, osservazionale di coorte di Sudre CH, Murray B. et al. (dec. 2020, preprint, Attributes and predictors of Long Covid: analysis of Covid cases and their sympoton by the Covid Symptons Study App) ha analizzato dati da 4.182 casi di Covid-19 forniti tramite l’app Covid Symptom Study. Si sono osservate diverse durate dei sintomi: per 558 individui 28 o più giorni, per 189 8 o più settimane e infine per 95 fino a 12 settimane e oltre. «La proporzione della popolazione con sintomi da Covid-19 che hanno avuto esperienza di sintomi prolungati è considerevole, e relativamente stabile in tre paesi, Gran Bretagna, Usa e Svezia, con culture differenti […] Quelli che hanno sperimentato il long Covid-19 sono stati per lo più anziani di età, la maggior parte donne e richiedenti un ricovero ospedaliero, affermano gli Autori. Attenendosi all’analisi dei dati e invitando a non fare quindi generalizzazioni, gli Autori affermano che «con soli tre aspetti – numero di sintomi nella prima settimana, età e sesso siamo stati capaci di distinguere accuratamente individui con LC28 (+ di 28 giorni, Covid lungo) da quelli con breve durata ( – di 10 giorni, Covid breve) […]. Il metodo potrebbe aiutare a individuare gruppi di rischio e essere usato per fissare i primi interventi di trials e di servizi clinici e sostenere la riabilitazione nella cura primaria e specialistica, alleviare la ripresa in modo tempestivo».

Pare esservi una differenza di genere. Ortona et al. osservano che la sindrome di Long Covid parrebbe più presente nel genere femminile. Una spiegazione potrebbe trovarsi nella reazione autoimmune che avviene più frequente nelle donne. «Solo fino a circa 60 anni, quando il livello di rischio diventa simile [per l’uomo]. Oltre all’essere donne anche l’età avanzata e un indice di massa corporea più alto sembrano essere fattori di rischio per avere il Long COV (Sudre CH et al.)».

Nel recente studio italiano del Policlinico Universitario A. Gemelli Irccs di Roma, condotto da Buonsenso D., Munblit D. et.al. (Preliminary Evidence on Long Covid in children, preprint, 26 jan. 2021) ha rilevato nel suo campione di studio di coorte di 129 bambini con diagnosi confermata di Covid-19 sintomatologie frequenti che sono comparse dopo i 120 giorni dalla diagnosi iniziale. I sintomi più frequenti sono stati i dolori muscolari e/o articolari, cefalea, disturbi del sonno, dolore toracico o sensazione di costrizione toracica, palpitazioni e disturbi del sonno. «L’evidenza che il Covid-19 può avere un impatto a lungo termine sui bambini come pure su quelli asintomatici e paucisintomatici covid-19, mette in luce la necessità per i pediatri, gli esperti di salute mentale e i decisori politici di intraprendere misure per ridurre l’impatto della pandemia sulla salute dei bambini (tr. di r.)», affermano gli Autori.

Invece un effetto secondario che viene segnalato agli specialisti in odontoiatria e potrebbe essere associato all’infezione da Sars-CoV-2 è l’alitosi, oggetto di un recente studio condotto dall’Università di Brno nella Repubblica Ceca. Si tratta di «una condizione che spesso va di pari passo a una serie di patologie respiratorie, gastrointestinali e delle gengive», spiega Silvia Masiero esperta della Società Italiana di Parantologia e Implantologia sull’Ansa (Covid modifica anche la lingua e l’alito ne è lo specchio). Riporta l’esempio di uno studio in cui emergeva che «alterazioni della superficie della lingua possono essere causate da Sars‐CoV‐2 a causa dei recettori dell’enzima di conversione dell’angiotensina 2 (Ace2) che sono localizzati in abbondanza nella mucosa della bocca». Ricercatori del Center for Evidence-based Health Care le cause indicate vanno dall’uso di antibiotici all’impatto della malattia che può aver peggiorato i comportamenti di igiene orale.

L’igiene orale nei pazienti contagiati è importante, accurata sia per i pazienti autosufficienti e sia per coloro che non lo sono, specialmente se intubati. Ne parla la Società italiana di paradolontologia e Implantologia (Sidp) a seguito di uno studio recente del Qatar pubblicato nella rivista Journal Clinical Periodontology su pazienti affetti da Covid, dai dati rilevati dalla cartella clinica integrata medica e odontoiatrica. Il presidente di Sidp Luca Landi spiega che dallo studio emerge che «i pazienti con una parodontite [infiammazione gengivale severa] di stadio più avanzato avevano un rischio maggiore di complicanze rimarcando come la prevenzione e la cura precoce delle malattie gengivali proteggono dalle forme più gravi di Covid-19 e sono fondamentali per la salute generale».

redazione Bioetica News Torino