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Il dominio della tecnica sull’essere umano Rubrica Scienze e Filosofia a cura di V. Danna

18 Marzo 2018

Pubblicato ne «La Voce e il Tempo», 11 febbraio 2018, p. 16: il prof. Valter DANNA, docente di Filosofia teoretica,  fa un’analisi sulla nascita delle tecnoscienze e sullo smarrimento dell’uomo.

Lo sviluppo moderno delle scienze, che abbiamo illustrato nei precedenti articoli, ha dato il suo rilevante contributo alla completa trasformazione della nozione di cultura classica. La scienza antica insiste sulla verità e certezza della conoscenza delle cose; si basa sulla logica e sulla deduzione; è ricerca delle cause e sapere necessario e universale; è un sapere che il singolo sapiente possiede e che ha un valore in sé e non è interessato alle applicazione pratiche.

I nuovi saperi scientifici sorti nell’epoca moderna sono solo probabili, sulla via della verità ma sempre rivedibili in base all’emergenza nuovi dati; si fondano su un preciso metodo operativo basato su ipotesi, deduzioni e verifiche empiriche; hanno come obiettivo la spiegazione completa di tutti i fenomeni che di fatto riscontriamo in natura; e non sono totalmente in possesso del singolo ma dell’intera comunità scientifica che li esprime attraverso procedure standard, riviste specializzate e convegni internazionali, e, in fine, tali saperi hanno originato infinite applicazioni pratiche grazie allo sviluppo vertiginoso di tecnologie sempre più sofisticate.
Questa trasformazione del sapere scientifico ha dato il colpo di grazia alla cultura classica con le sue pretese di normatività e universalità e «ciò che ha infuso vita e forma nella civiltà greca e romana, ciò che rinacque nel Rinascimento europeo, ciò che fornì la crisalide donde uscirono le lingue e le letterature moderne, la matematica e la scienza moderna, la filosofia e la storia moderna, si è mantenuto fino al secolo Ventesimo; ma oggi, quasi dappertutto, è morto e pressoché dimenticato» (B. LONERGAN).

Le tecnoscienze

È subentrata una nozione empirica e pluralista di cultura, nel senso che ci sono tante culture quanti sono gli insiemi distinti di significati e valori che ogni società esprime. Questi significati e valori oggi, nel mondo occidentale, sembrano assai condizionati dal mondo tecnologico.
Nel corso degli ultimi secoli, infatti, è cresciuto a dismisura lo sviluppo tecnologico connesso alle scienze moderne, che sono diventate sempre più dipendenti dalle tecnologie tanto da trasformarsi in «tecnoscienze». Nel complesso panorama delle tecnoscienze odierne va evidenziata anche la dimensione collettiva dell’opera tecnoscientifica. Il sapere scientifico richiede, infatti, continui confronti degli scienziati fra loro e con il corpus preesistente di conoscenze acquisite. Inoltre, l’impresa tecnoscientifica richiede strumenti e macchine sempre più sofisticate e costose che rientrano nello sesso programma del progresso della conoscenza scientifica e quindi sono legate al reperimento di mezzi finanziari non indifferenti, spesso provenienti da fonti private che condizionano l’orientamento degli stessi fini della ricerca e impongono un continuo accorciamento dei tempi che intercorrono tra una scoperta e le sue ricadute applicative.

Fin dai primi decenni del XX secolo, molti scrittori e filosofi denunciarono gli aspetti inquietanti di questo sviluppo che impone un dominio delle macchine sull’uomo: SPENGLER, CAMUS, JASPERS, ANDERS, HEIDEGGER. La tecnica, riducendo la natura a oggetto di manipolazione indiscriminata, è come un’enorme macchina al servizio di una volontà di potenza che ormai l’uomo non è più in grado di controllare. In tal modo è l’uomo che finisce con lo smarrire se stesso. La tecnica produce oggi effetti pervasivi sia sull’uomo sia sulla società e, secondo Umberto GALIMBERTI, ormai governa la vita umana e costituisce il vero soggetto della storia, sostituendosi all’uomo stesso che ne è dominato.
D’altra parte lo sviluppo tecnico appare irreversibile, poiché, secondo l’antropologo GEHELEN, fornisce all’uomo, «essere carente» di istinto per definizione, una serie di equipaggiamenti e strumenti indispensabili per la sua sopravvivenza e capaci di sostituire organi e capacità di cui manca, di potenziare organi e capacità che ha e di alleggerire le sue fatiche. Pensiamo ai vari mezzi di trasporto, alle svariate forme di energia utilizzate, alle tecniche telematiche e informatiche senza le quali il mondo si paralizzerebbe, ai progressi della medicina, della biologia, dell’ingegneria genetica  che si occupa della modificazione artificiale del patrimonio genetico degli esserei viventi, trasferendo parti di Dna da un organismo a un altro. Il ripudio del sapere tecnico-scientifico o la semplicistica demonizzazione o del mondo informatico e globale sarebbero il rifiuto dell’uomo. Ma nello stesso tempo, come già detto, la tecnica sembra sovrastare e dirigere ormai interamente la vita dell’uomo.

Questa dialettica tra riflessioni pessimistiche sulla tecnica e la sua necessità irreversibile per la carenza strutturale dell’essere umano, conduce ad una continua e instabile ridefinizione dell’uomo, oscillante tra una visione prometeica e una pericolosa perdita di identità. Per esempio, il cosiddetto trans-umanesimo è un vasto movimento culturale che si propone di utilizzare le moderne tecnoscienze per ottenere, a favore della specie umana, benefici fisici e fisiologici (miglioramento della salute e allungamento della vita) mentali (potenziamento delle capacità intellettive) e sociali (migliore controllo e organizzazione) fino alla formulazione di visioni che ci condurrebbero verso una condizione post-umana. La visione trans-umanista include una più intensa interazione con le macchine e un superamento degli attuali limiti delle capacità umane a favore di una condizione che nel prossimo futuro potrebbe presentare aspetti, talmente innovativi, da non essere solo più classificabili come umani. Per i transumanisti questa evoluzione è desiderabile, perché essi ritengono che, grazie alle scoperte e alle applicazioni di nuove scienze come la biorobotica, la bioinformatica, la nanotecnologia, la neurofarmacologia, l’uomo si traghetterà in una nuova era evoluzionistica post-darwianiana.

In questo contesto, riemerge oggi con insistenza la questione etica come un aspetto che riguarda anche i soggetti dell’impresa tecnoscientifica nella loro responsabilità di salvaguardare la dignità dell’essere umano ma anche l’autonomia della natura dall’indiscriminato saccheggio dell’uomo. Se, tuttavia, consideriamo la prospettiva più pessimistica, lo stereotipo per cui «la tecnica è in sé uno strumento neutro che l’uomo può usare bene o male» è già superato dal fatto che il mondo non sarebbe più governabile con categorie umanistiche, quali la razionalità, la responsabilità, i valori etc. Saremmo ormai sotto il totale dominio della tecnica, frutto del fatto storicamente verificatosi che l’enorme capacità di fare dell’uomo è ben più grande della sua capacità di prevedere gli effetti (perversi) di ciò che fa. Che la tecnica abbia veramente preso possesso della storia dell’uomo, sarebbe dimostrato dal fatto che oggi la politica dipende e guarda all’economia e questa si rivolge alle riserve e risorse tecnologiche. La tecnica sarebbe divenuta strumento di potere (tecnocrazia) in campo economico, politico e anche militare, lì è il luogo in cui tutto si decide : non ci sono altri scopi e valori per la tecnica, se non il suo stesso continuo potenziamento. I valori che la tecnica persegue per rafforzare se stessa sono l’efficienza e la produttività, mentre tutto ciò che è, invece, tipicamente umano (valori, sentimenti, desideri, progetti, amore, sogni, dolori etc.) è insignificante e inefficace ai fini del dominio tecnico sul mondo.

A questo punto che ne è dell’uomo? Siamo forse perdendo l’umano, la sua identità più profonda, la sua stessa libertà? La domanda, come è già emerso, si fa molto seria e ha attraversato tutto il Novecento. Ad essa cercheremo di offrire delle possibili risposte nel prossimo articolo.


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Valter DannaDocente di Filosofia Teoretica
Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale - sezione parallela di Torino