Bioetica tra passato e futuro. Da Van Potter alla società 5.0, fresca di stampa, della nuova collana di «Studi Bioetici» diretta dal professore Giorgio Palestro, presidente del Centro Cattolico di Bioetica dell’Arcidiocesi di Torino, edita da Effatà, per l’autorevole esperienza in tale settore e levatura degli insigni Autori e Autrici che vi hanno partecipato alla stesura ma anche perché nell’analisi interdisciplinare delle sfide contemporanee alla luce di un confronto con il passato indagano con accuratezza la domanda del futuro della bioetica.
I suoi inizi risalgono agli anni Settanta del secolo scorso negli Stati Uniti con il biologo e oncologo Van Ressenaer Potter a cui si deve la diffusione del neologismo in un suo articolo — mentre l’attribuzione del conio sembrerebbe oggi non più sua − intitolato, «Bridge to the future» con cui espresse la preoccupazione di porre una coscienza critica − positiva o negativa − verso i progressi scientifici che si andavano sviluppando sempre più celermente dagli anni Cinquanta in una società in trasformazione.
Di “Un ponte verso il futuro”, di un discernimento etico e di giudizio, si avverte la stessa necessità oggi dinanzi al dischiudersi di orizzonti nuovi nel campo della scienza biomedica dalla genetica alla robotica alle neuroscienze, talvolta rassicuranti talvolta incerti e/ ambivalenti, dinanzi alle risposte da dare in un mondo globale, multiculturale e multireligioso in cui i principi di solidarietà, sussidiarietà, equità sociale, giustizia, pace e libertà siano rispettati, nel «bisogno di più ampi orizzonti, tenendo in particolare considerazione il processo di globalizzazione in atto e della rilevanza crescente dei fattori socio- economico-ambientali nell’ambito della salute e delle risposte medico-sanitarie», come scrive il professore Renzo Pegoraro medico e teologo morale, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita.
La visione di Van Potter, legata ad una dimensione più ampia nel considerare gli ambiti di riflessione delle problematiche umane del tempo, tesa alla salvaguardia della specie umana sul pianeta, che considerava l’ambiente, in una prospettiva che diremmo oggi ecologica, non prevalse inizialmente. Da principio si sviluppò negli Stati Uniti – Kennedy Institute – una bioetica con un’impronta più settoriale, concentrata nella pratica medico clinica. Ma «c’era in molta bioetica dei primordi, e tra coloro che si dedicarono ad essa, l’idea di cambiare il mondo», a differenza nel corso del tempo di «un eccessivo appiattimento della riflessione bioetica, accettando la quasi ineluttabilità di tale “progresso”», in cui «si è anche manifestata l’accettazione un po’ passiva delle soluzioni date dal Diritto a tante questioni bioetiche», osserva ancora Pegoraro.
Gli assunti di interdisciplinarietà e dialogo, recupero di orizzonti di senso, attenzione all’ecosistema che aveva indicati Potter si rivisitano qui nel percorso retrospettivo della bioetica in cui le diverse prospettive biomedica, antropologica, teologica, giuridica, filosofica, sociologica si confrontano con le sfide del presente non per contestualizzarli ma con l’intento di riflettere sulla ridefinizione di possibili approcci nuovi.
Incalzanti le parole dei curatori, i professori Enrico Larghero e Mariella Lombardi Ricci, rispettivamente l’uno medico, giornalista e teologo morale e responsabile del Master universitario in Bioetica presso la Facoltà Teologica di Torino e l’altra docente nel medesimo Master ed emerito di Bioetica presso la stessa Facoltà: «Cinque decenni sono pochi, ma mezzo secolo può già essere un tempo sufficiente per mettere in evidenza le potenzialità, le attese disattese, gli errori e soprattutto cogliere dall’esperienza quale possa essere la nuova mission».
Immersi in una “rivoluzione biomedica” il classico binomio di «scienza e coscienza» appare riduttivo oggi quale criterio del professionista sanitario, «occorre un ésprite de finesse che porti il medico ad agire secondo scienza, coscienza e sapienza. Questa rinnovata e ritrovata componente sapienziale deve costituire l’odierno complemento dell’antica attribuzione morale» sostiene il prof. Salvino Leone, professore di Teologia morale alla Facoltà Teologica di Sicilia.
Nell’incedere accelerato dell’impatto soprattutto della robotica e dell’intelligenza artificiale e biotecnologie si dovrebbe pensare ad una «moratoria globale» di riflessione per «recuperare una cultura del limite, a ridurre i molti (troppi) interessi privati nella ricerca scientifica e nella sua utilizzazione economica, a non lasciare senza sostegno la persona isolata, talvolta in balia della sua autonomia, certo innegabile, ma che non è l’unico fattore da mettere in conto in specie per l’influsso pesante che la cultura prevalente esercita sui singoli», commenta Vittorio Possenti, già professore di Filosofia politica al Ca’ Foscari di Venezia nella disamina delle questioni antropologiche entro le dinamiche odierne del biopotere e della biopolitica.
Richiama la nostra capacità di selezione perché la rete digitale, con la continua mole di dati che si aggiungono, possa essere «uno strumento formidabile di crescita della nostra libertà» attraverso l’educazione che «ci preserva dal rischio di non distinguerle più dalla verità», Sergio Belardinelli professore emerito di sociologia dei processi culturali dell’Università degli Studi di Bologna.
Sulla vocazione più autentica del biodiritto in una reciprocità asimmetrica nel rapporto di cura e nella relazione tra bioetica e biogiuridica analizza il bioeticista Francesco D’Agostino, docente emerito all’Università di Roma Tor Vergata: «Si potrebbe addirittura sostenere che oggi è in atto un evidente tentativo da parte del biodiritto di assorbire la bioetica: un tentativo che non sempre la bioetica sembra riuscire a percepire nella sua pericolosità.» Etica e diritto sono dunque discipline complementari ma spetta alla bioetica conferire alla biogiuridica il potere di trasformare le esigenze morali in chiara normativa giuridica.
I problemi più grandi per la bioetica moderna rimangono − come scrivono Garcia Gomez, dottorato di Ricerca in Giurisprudenza all’Università e Bovassi filosofa e licenziata in Bioetica presso il Pontificio Ateneo «Regina Apostolorum di Roma – progressismo e liberalismo. Dal momento che non è più possibile discernere con criteri oggettivi ciò che è bene e ciò che è male, si lascia pericolosamente aperta la frontiera del compromesso tra il giusto e l’illecito “occultando la portata universale di certi comportamenti e certe scelte”. Il baricentro di ogni forma di progresso è – e deve rimanere – la persona.
«Siamo invitati a coltivare una bioetica che sia vigilante, attenta alle nuove possibilità e alle tendenze che si vanno prospettando davanti a noi», afferma Gonzalo Miranda, professore di Bioetica al Regina Apostolorum di Roma, «una bioetica che sia anche propositiva, che promuova attivamente il riconoscimento e il rispetto dei valori inerenti al bene della vita e alla dignità della persona umana».
Alla necessità di un dialogo si sofferma Luca Lo Sapio, professore di Percezione ed etica delle biotecnologie industriali all’università Federico II di Napoli, che sottolinea: «È necessario un nuovo patto sociale ed ecologico che ponga al centro la cura della casa comune, e per fare ciò il dialogo è l’unica strada percorribile, un dialogo che, appunto, al di là delle possibili divergenze teoriche, vada alla ricerca di percorsi condivisi e di soluzioni pratiche ai problemi che affliggono la nostra specie».
Conclude Carlo Casalone, coordinatore scientifico alla Pontificia Accademia per la Vita, «una cultura dell’incontro può maturare unicamente considerando ugualmente importanti i contenuti di verità e le modalità di relazione, e adoperandosi per articolarli con coerenza. In questo compito le tradizioni religiose possono dare un contributo estremamente valido, anche per la loro diversità».
LARGHERO E. – MARIELLA LOMBARDI RICCI (eds)
Bioetica tra passato e futuro
Da Van Potter alla società 5.0
Collana «Studi bioetici»
Effatà,Cantalupa (To) 2020
€ 22,00]]>
© Bioetica News Torino, Gennaio 2020 - Riproduzione Vietata