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Il parere della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla liceità di isterectomia

10 Gennaio 2019

La Congregazione per la Dottrina della Fede, con l’approvazione di Papa Francesco, si è espressa recentemente con un parere morale su una specifica situazione di ricorso chirurgico di isterectomia, o asportazione, totale o parziale, dell’utero, riportando anche altri precedenti giudizi etici su casi particolari legati all’isterectomia espressi dalla Santa Sede in passato.

La nota di «Responsum” della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubbio sulla liceità dell’isterectomia in certi casi approvata il 10 dicembre 2018 e pubblicata il 3 gennaio 2019 (d’ora in poi “Responsum“) riporta la questione, sottoposta alla Santa Sede negli ultimi anni da alcuni casi, di liceità morale o meno riguardo all’intervento di isterectomia qualora «l’utero si ⌈trovi⌉ irreversibilmente in uno stato non più idoneo alla procreazione, e i medici esperti ⌈abbiano⌉ raggiunto la certezza che  un’eventuale gravidanza porterà ad un aborto spontaneo prima che il feto possa raggiungere lo stato di viabilità» e la risposta affermativa della Congregazione  «perché non si tratta di sterilizzazione».

La sterilizzazione, di per sé, quale metodo tra i contraccettivi di regolazione della fertilità, temporanea o permanente è considerata dalla dottrina della Chiesa sempre moralmente illecita perché la vita va accolta come dono di Dio. Papa Francesco nell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia (168) ci invita a custodirla con cura perché «Ogni bambino che si forma all’interno di sua madre è un progetto eterno di Dio Padre e del suo amore eterno: «Prima di formarti nel grembo materno, ti ho conosciuto, prima che tu uscissi alla luce, ti ho consacrato» (Ger 1,5). Ogni bambino sta da sempre nel cuore di Dio, e nel momento in cui viene concepito si compie il sogno eterno del Creatore. Pensiamo quanto vale l’embrione dall’istante in cui è concepito! Bisogna guardarlo con lo stesso sguardo d’amore del Padre, che vede oltre ogni apparenza».  Per la visione di un atto coniugale, unitivo e procreativo, dove  la sessualità è considerata relazione, reciproco donarsi totale all’altro, «espressione propria dell’amore coniugale» (Giovanni Paolo II nell‘Evangelium Vitae, 23).

Nel Responsum  viene spiegato che «l’oggetto proprio della sterilizzazione è l’impedimento della funzione degli organi riproduttivi e la malizia della sterilizzazione consiste nel rifiuto della prole: essa è un atto contro il bonum prolis».  La Congregazione nell’esprimere il giudizio etico su tale quesito (dubbio)  si avvale della conoscenza medico- scientifica la quale dà la certezza, in tale situazione,  che la procreazione non è possibile in quanto, anche se la gravidanza avvenisse «si interromperebbe spontaneamente prima che il  feto arrivi allo stato di viabilità».  Per la biologia non può nascere un feto vivo. Allora la Congregazione ne afferma la liceità morale dell’intervento: «la risposta data  è valida per il quesito così come esso in buona fede è stato posto».

E dunque la condotta morale del medico nell’asportazione dell’utero in tale situazione non è contraria alla coscienza cristiana cattolica,  in quanto il suo agire non è da ritenersi, per le ragioni suddette, come spiega la Congregazione della Fede nel Responsum,  anti-procreativo e l’intervento come sterilizzazione diretta,  tesa  ad impedire la possibilità di generare,  che è moralmente illecita come fine e mezzo.

La Congregazione per la Dottrina della Fede tiene inoltre a precisare nel Responsum  che la risposta a tale quesito è differente dai casi particolari relativi a interventi di isterectomia sottopostole in passato e ai quali fu data risposta negativa, pubblicata il 31 luglio 1993, in Risposte ai dubbi proposti circa L'”Isolamento uterino” ed altre questioni : «conservano moralmente lecita l’asportazione dell’utero (isterectomia) quando esso costituisce un grave pericolo per la vita o la salute della madre, e ritengono illecite, in quanto modalità di sterilizzazione diretta, l’asportazione dell’utero e la legature delle tube (isolamento uterino) con il proposito di rendere impossibile un’eventuale gravidanza che può comportare qualche rischio per la madre».

Nelle Risposte (1993) la Congregazione presenta, a firma dell’allora Cardinale Ratzinger, tre casi. Il primo è il caso di sterilizzazione correlato ad atto terapeutico da considerarsi lecito moralmente. La  condizione patologica dell’utero  durante un parto o un intervento cesareo viene danneggiato seriamente tale da richiederne medicamente l’asportazione per  salvare la vita e la salute della donna seppure sia possibile che abbia una sterilità permanente.
Sulla sterilizzazione la Nuova Carta degli Operatori Sanitari (2016) richiama alla liceità solo se connessa ad atto terapeutico, spiegando che è «legittima in base al principio di totalità, per il quale è lecito privare di un organo o della sua funzionalità una persona, quando esso è malato o e a causa di processi patologici non altrimenti curabili. Occorre altresì che ci sia un prevedibile e ragionevole beneficio per il paziente e che egli stesso o gli aventi diritto abbiano dato il consenso» (20).
Il secondo e il terzo caso riguardano dal punto di vista morale la illiceità in quanto l’effetto sia dell’intervento di isterectomia e di legatura delle tube, in tal caso  in sostituzione dell’isterectomia,  è quello unicamente di «rendere la facoltà generativa incapace di procreare».  Si fa riferimento al caso di quando un utero, ad esempio a seguito di precedenti interventi di taglio cesareo, si trova in uno stato seppur nell’immediatezza non rischioso per la vita o la salute della donna ma  si presume possa non portare a compimento una gravidanza futura senza pericolo, o anche eventualmente grave,  per la madre e  l’intervento di isterectomia ha scopo preventivo di evitare tale rischio.  E all’altro caso in cui nella medesima situazione  all’intervento di isterectomia si sostituisce  la legatura delle tube sempre con lo stesso fine di prevenzione  ma con una procedura meno gravosa per la donna e con la possibilità che in alcuni casi la sterilità procurata può essere reversibile.  Entrambe le procedure non hanno però carattere terapeutico, in quanto  non vi è condizione patologica dell’utero per la donna e «sono realizzati per rendere sterili i futuri atti sessuali fertili, liberamente compiuti».  Rientrano entrambi nella sterilizzazione diretta nei casi in cui  «nonostante ogni soggettiva buona intenzione di coloro i cui interventi sono ispirati alla cura o alla prevenzione di una malattia fisica o mentale, prevista o temuta come risultato di una gravidanza, siffatta sterilizzazione rimane assolutamente proibita secondo la dottrina della Chiesa», citando dal documento Quaecumque sterilizatio del 1976.

Nella nota finale del Responsum la Congregazione per la Dottrina della Fede accenna anche al ricorso di  opzioni alla pratica di sterilizzazione con il metodo naturale nei periodi infecondi o l’astinenza totale e che «spetta agli sposi, in dialogo con i medici e con la loro guida spirituale, scegliere la via da seguire, applicando al loro caso e alle loro circostanze i normali criteri di gradualità dell’intervento medico».

Redazione Bioetica News Torino