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Il rischio dell’uso dell’alcol per i giovani e raccomandazioni per il P.S. dalla Società Italiana Alcologia

01 Novembre 2018

Il fenomeno diffuso tra i giovani del binge drinking , ossia del bere  in  compagnia, solitamente una o due volte alla settimana quantità di alcol in modo smodato fino a “stordirsi”,  si rivela  rischioso per la salute dei giovani e giovanissimi. Infatti, come si evince dall’Istituto sanitario della Sanità, è sufficiente ingerire  più di cinque-sei drink pari a oltre 60 grammi di alcol in poco tempo per arrivare ad una condizione di intossicazione acuta alcolica (Iaa) che in alcuni casi può portare a sofferenze/insufficienza respiratoria fino a coma etilico e anche alla morte.  Proprio per la loro differenza nella inferiore capacità metabolica di assorbimento dell’etanolo, soprattutto a livello epatico,  rispetto all’individuo adulto  – dopo i ventuno anni di età – li pone in una condizione di svantaggio e, quindi, a rischio di arrivare più facilmente ad un coma etilico.

A fronte di una  presenza numerosa anche di molti adolescenti di età inferiore ai 14 anni che accedono al Pronto Soccorso per intossicazione alcolica, come dimostrano i dati recenti dell’Osservatorio nazionale Alcol e del Ministero della Salute, la Società Italiana di Alcologia ha proposto alcune linee guida di trattamento su base scientifica  sia per gli adulti che per i giovani da adottare in tutti i PS.

Nell’articolo Dalla Sia un “position paper” per la gestione di intossicazioni acute e crisi di astinenza,  pubblicato su Epicentro, il  31 ottobre 2018, Emanuele Scafato, direttore Osservatore nazionale alcol e Centro Oms  per la ricerca e la promozione della salute su alcol e problematiche alcolcorrelate e la Sia,  ne riporta alcune indicazioni.  Una riguarda la differenza tra i trattamenti dell’adulto e del giovane:  «mentre per il trattamento farmacologico dell’intossicazione alcolica di un soggetto adulto l’uso dell’anti-ossidante metadoxina, in somministrazione endovenosa, può indurre una rapida risoluzione della sintomatologia, per i soggetti giovani che giungono in Pronto Soccorso, per i quali tale molecola non ha ancora un uso basato su principi validati di buona pratica clinica, la prassi da adottare mira a un approccio di monitoraggio con eventuale correzione dell’ipoglicemia e dell’ipotermia oltre che all’idratazione».

Tratta poi il problema della sindrome da astinenza su cui è difficile intervenire sia perché «tra i medici e ancora scarsa la capacità di identificar⌈la…⌉e spesso misconosciuta o misinterpretata sia in ambito ospedaliero quanto  ambulatoriale».  il 50% delle persone affette da disordine da uso di alcol (Dua) con riferimento ad abitudine cronica del bere eccessivo protratta nel tempo secondo il Manuale diagnostico e statistico della Salute Mentale V, può andare incontro ad uno stato di sindrome da astinenza da alcol (Saa) quando riduce o sospende in modo repentino l’uso dell’alcol, di cui il 3-5% può mettere a rischio la propria vita, anche perdendola, sviluppando complicanze come convulsioni e delirium tremens (Dts). Pertanto la Società italiana di Alcologia ritiene che debba esserci una valutazione accorta del grado di astinenza distinguendo quella  da alcol (saa) di grado lieve e moderato e severo; per il primo grado nessun trattamento farmacologico a differenza del secondo necessario per evitare ad esempio  convulsioni o delirium. Solo nel terzo caso i pazienti devono  essere ospedalizzati.

Per il trattamento farmacologico Scafato riporta nel suo articolo, traendo dal documento della Sia che «Le benzodiazepine (BDZs) rappresentano il gold standard per il trattamento farmacologico della Saa e delle sue complicanze (Grado A1); farmaci come gli alfa-2-agonisti, neurolettici e beta-bloccanti vanno utilizzati esclusivamente in associazione alla BDZs quando queste ultime non sono in grado di risolvere la SAA».
E che «in caso di forme refrattarie di delirium il paziente va trasferito in un reparto di terapia intensiva dove un approccio farmacologico con anestetici, come il propofolo e il fenobarbitale, può essere adottato con sicurezza e, se necessario, procedere alla ventilazione assistita del paziente; in caso di forme convulsive refrattarie, l’uso di anti-convulsivanti va associato alle BDZs (Grado A1) in quanto l’utilizzo dei soli anti-convulsivanti non ha dimostrato sufficienti evidenze scientifiche nel trattamento della Saa (Grado C1). Infine, in alternativa alle BDZs e, solo per il trattamento della Saa di grado moderato, alcuni farmaci quali il sodio ossibato, la tiapride e il clometiazolo approvati da diversi anni in alcuni Paesi europei per questa indicazione (Grado A1) rappresentano un’ulteriore opportunità terapeutica a disposizione».

Redazione Bioetica News Torino