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Il Sars-CoV-2 si trasmette per via aerea negli ambienti chiusi non solo attraverso le “droplets” Uno studio dell'Arpa Piemonte, dell'Università di Torino e di Brisbane

28 Gennaio 2022

La scoperta di uno studio italo-australiano, ai cui lavori di ricerca sul Sars-CoV-2 hanno partecipato l’Arpa Piemonte, l’Università di Torino e Cassino e Queensland University of Tecnology di Brisbane, ha portato una conoscenza nuova in letteratura scientifica sulla trasmissione di questo virus negli ambienti chiusi.

Hanno coordinato l’analisi sperimentale della ricerca i professori, l’ingegnere Giorgio Buonanno presso il Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale all’Università di Cassino e del Lazio Meridionale e la fisica Lidia Morawska della Scuola di Terra e Scienze atmosferiche all’Università di Tecnologia di Brisbane (QUT) in Australia presso cui dirige il laboratorio internazionale per la Salute e la Qualità dell’Aria (ILAQH) che collabora con l’Organizzazione mondiale della Salute (Oms). Li accomuna l’interesse per la ricerca nel campo interdisciplinare della misurazione ambientale delle polveri aerodisperse e l’impatto sulla salute umana e l’ambiente, su cui hanno pubblicato numerosi articoli scientifici.

I ricercatori Buonanno G, Robotto A., Brizio, Morawska L, Civra, D. Lembo et al. in Link between Sars-CoV-2 emissions and airbone concentrations: Closing the gap in understanding ( Journal of Hazardous Materials, 18 jan 2022 on line su Elsevier) descrivono come la loro analisi sperimentale dimostra l’esistenza di un collegamento diretto tra emissione di carica virale in un soggetto infetto e le relative concentrazioni di Sars-CoV-2 nell’aria in un ambiente chiuso e lo sviluppo di un approccio metodologico nuovo teorico e predittivo, da loro progettato, applicato allo stesso scenario che ha convalidato l’esperimento aprendo la possibilità di misurare la quantità concentrata nell’aria collegata all’emissione e gestire i rischi di infezione virale del Sars-CoV-2.

L’esperimento si è svolto in una stanza di ospedale (70 m3) (Fig. 1 in Link between…) all’Amedeo di Savoia di Torino, in condizioni controllate. Era occupata da un soggetto anziano, di 73 anni, infetto da Sars-CoV-2, di cui è stata misurata la sua carica virale. Si è misurata la concentrazione Sars-CoV-2 copie Rna nelle particelle aree campionate proveniente sia dalla respirazione che dal parlato. Si è evidenziato come il virus si propaga tramite aerosol oltre le distanze ritenute di “sicurezza” (1-1.5 metri) e come le emissioni prodotte da respiro sono assai inferiori rispetto al parlato. Seppure la concentrazione virale nell’aria percepita dalla respirazione sia bassa rispetto a quando si parla, «non esclude la possibilità di inalare quantità infettive durante un’esposizione più lunga in ambienti poco ventilati».

Si risolve un tema controverso sulla trasmissione aerea del Sars-CoV-2 su cui autorità sanitarie e regolatorie hanno chiesto prove dimostrative. Diversi studi hanno indagato nell’ambiente ospedaliero su diversi aspetti di trasmissione aerea virale potenziale ma nessuno ― chiariscono gli Autori ― ha fornito un legame diretto tra l’emissione di un soggetto infetto e le concentrazioni di trasmissione del virus nell’aria.

Lo studio, riporta l’articolo di Buonanno et al., «ha convalidato l’approccio teoretico attraverso un’analisi di compatibilità metrologica, suggerendo un supporto alle autorità sanitarie pubbliche nella decisione sulle misure di controllo per contenere il rischio di infezione». Fa l’esempio della simulazione di scenari di esposizione al virus nelle classi scolastiche, sui trasporti. Per gli Autori un miglioramento della accuratezza nella misurazione delle particelle respiratorie emesse durante attività diverse contribuirebbe ad avere un approccio predittivo sempre più vicino alla realtà.

Il virologo prof. David Lembo, docente nel Dipartimento di Scienze cliniche e biologiche dell’AOU San Luigi Gonzaga di Orbassano e direttore del laboratorio di virologia molecolare presso il dipartimento di Scienze biologiche dell’Università degli Studi di Torino, che è tra gli Autori dello studio pubblicato su Elsevier, è soddisfatto: «Possiamo ora affermare che il virus può essere trasmesso per via aerea in ambienti chiusi e non solo attraverso le droplets» .
Una ricerca dal riscontro importante perché, spiega in una nota stampa, «permetterà di applicare i metodi sviluppati anche allo studio degli altri virus respiratori noti e a quelli che si potrebbero presentare in futuro».

«Lo ripetiamo da tempo e ora ne abbiamo anche la dimostrazione. Il virus si trasmette per via aerea negli ambienti chiusi», sostiene il prof. Giorgio Buonanno che spiega, nella stessa nota, come «mascherine chirurgiche, distanziamento e vaccini non sono sufficienti ad evitare il diffondersi dell’infezione, come la variante Omicron ha ulteriormente dimostrato. Ma ci sono valide contromisure, di tipo tecnico-ingegneristico: ventilazione, riduzione dell’emissione, gestione dei tempi di esposizione e affollamento possono mitigare il rischio di infezione. Siamo in grado di mettere in sicurezza l’aria, a prescindere dalle varianti, come già è stato fatto con l’acqua».

Dello stesso parere è il direttore generale dell’Arpa Piemone Angelo Robotto nel suggerire: «Non c’è dubbio che un adeguamento tecnologico radicale deve essere introdotto per mettere in sicurezza gli ambienti indoor attraverso la ventilazione ed il trattamento dell’aria»

(aggiornamento venerdì 28 gennaio 2022, ore 14.22)

CCBYSA

redazione Bioetica News Torino