Il sistema immunitario, una possibile via di ricerca per la sla di tipo 4
07 Luglio 2022Della sla, la malattia neurodegenerativa rara che colpisce i neuroni del moto e il controllo volontario del muscolo ad oggi non c’è una cura per fermare il decorso della malattia. Vi sono diversi studi effettuati negli ultimi anni che hanno avanzato diverse ipotesi. Viene chiamata malattia multifattoriale per i diversi motivi legati alla sua insorgenza. Tra gli studi più recenti la mutazione genetica. Non vi è attualmente un registro sulla sla e si stima in Italia l’insorgenza della patologia, secondo l’Osservatorio di malattie rare, di 1000 nuovi casi ogni anno e la presenza di 3500 malati.
Uno studio internazionale di recente pubblicazione su Nature, Clonally espanded CD8T cells characterize amyotrophic lateral sclerosis-4, condotto in laboratorio su modello animale, dalla Scuola di Medicina del Monte Sinai di New York in collaborazione con il Centro clinico milanese NeMO, ha mostrato una correlazione tra la mutazione genetica della senataxina e la disfunzione del sistema immunitario nella sclerosi amiotrofica laterale di tipo 4, caratterizzata da un esordio giovanile e da un processo lento della malattia.
I primi sintomi di questa malattia sla 4 iniziano manifestando una difficoltà motoria a trent’anni e poi a a cinquanta per molti pazienti c’è il ricorso al sostegno di ausilii per camminare.
La ricerca conferma il lavoro decennale compiuto dal Centro clinico milanese che diagnosticò questo sottotipo di sla, di tipo 4, nel 2010, in una famiglia in Italia. Ritracciando una biografia genetica parentale dal primo paziente affetto da sla con mutazione della senataxina a quindici anni dall’esordio della malattia si è arrivati a raggiungere fino a 7 membri di età diversa con sla accomunati dalla mutazione genetica della senataxina. Attualmente impegnati in 34 studi clinici per la sla, questo progetto pubblicato mette in evidenza come «la multidisciplinarietà anche nell’attività di ricerca non può che contribuire ad avere una visione sempre più chiara delle nostre patologie, per arrivare a ricadute concrete per la comunità dei pazienti neuromuscolari», afferma il suo direttore Alberto Fontana.
Il gene della senataxina si trova sul cromosoma 9 e ne regola la produzione che serve per riparare i danni del dna e alla produzione di rna. Le alterazioni possono essere associate alla sla. dunque assc
Laura Campisi, professore assistente del Dipartimento di Microbiologia al Mount Sinai di New York, che ha codiretto il progetto insieme al dr. Ivan Marazzi, anch’egli presso il medesimo dipartimento, afferma che dallo studio citato su Nature si è osservato come «la perdita delle capacità motorie avviene solo se la mutazione del gene SETX (senataxina) è espressa sia nelle cellule del sistema nervoso centrale che in quelle del sistema immunitario».
E poi anche, prosegue Campisi: «si sono riscontrate delle anomalie del sistema linfocitario che caratterizza la SLA di tipo 4, sia nel modello animale che nei pazienti. Infatti, un’alta concentrazione di cellule linfocitarie T CD8, che in genere svolgono un ruolo nell’eliminazione di cellule tumorali o infettate da patogeni, è presente nel midollo spinale e nel sangue, sia del modello animale che dei pazienti affetti da SLA-4. In particolare, l’aumento di una sotto-popolazione di linfociti T CD8 chiamati TEMRA correla direttamente con la progressione della malattia».
La ricerca si conclude mostrando l’evidenza di una responsabilità cellulare di un specifico antigene CD8 T nella sla di tipo 4 e aprendo la via della ricerca all’uso di questo antigene come un potenziale biomarcatore dello stato di malattia che permetterebbe una procedura di raccolta dei dati meno invasiva di quella del liquido cerebro-spinale.
Cenni generali sulla Sla
Si distinguono diverse forme di sla che variano dall’età dell’esordio, dai siti anatomici che colpisce. Seppure si conoscano le mutazioni genetiche responsabili della malattia che ne definiscono i diversi sottotipi e che influenzano il sistema immunitario, non si ha ancora una conoscenza della sla.
Agli inizi, spiega l’Osservatorio sulle malattie rare (Omar) si manifesta in genere, per il 75 % dei casi di Sla, con brevi contrazioni muscolari, crampi o con una certa rigidità dei muscoli, debolezza muscolare che influisce sul comportamento di un arto e voce indistinta mentre per il 25% la malattia si manifesta con difficoltà nella parola fino alla perdita della capacità di comunicare verbalmente e con difficoltà di deglutizione, detto esordio bulbare. Nel primo caso viene intaccato il tronco encefalico e il midollo spinale, detto esordio spinale, mentre nel secondo caso ne viene colpita la corteccia cerebrale.
Dalle immagini ottenute con sofisticate tecniche si mostra come in alcuni casi la sla è capace anche di intaccare il lobo frontale accompagnandosi a demenza.
Di solito si individua per lo più ad un anno dall’insorgenza dei sintomi. Attualmente a disposizione vi sono tre biomarcatori per la diagnosi con una accuratezza del 90% circa; si tratta di proteine che nei malati avrebbero concentrazioni inferiori alla media nel liquor cefalorachidiano.
Tra gli studi sulle mutazioni genetiche vi è quello sul ruolo del gene SOD1, che ha il compito di ripulire le cellule da un particolare radicale libero, che produce la superossido dismutasi Cu/Zu quando viene meno al suo compito finendo per intossicare le cellule dei neuroni rilasciando un accumulo tossico.
Si è anche ipotizzato rimanendo, tutt’oggi controversa, la causa ambientale: il contatto con agenti inquinanti, i traumi frequenti alla testa. La maggiore incidenza tra gli atleti professionisti, in particolar modo i giocatori di calcio e football.
Come si è detto non esistono terapie farmacologiche che possano arrestarne il processo o agire in modo significativo nel ridurlo. Vengono prescritti il riluzolo e l’edaravone, il primo riduce il rilascio di glutammato che accumulandosi nel plasma e nel fluido cerebrospinale dei malati è causa graduale dei neuroni mentre il secondo agisce sullo stress ossidativo.
Invece la persona con sla richiede una gestione complessa multidisciplinare dal prendersi cura al prendersi carico: dal ricovero ospedaliero all’assistenza domiciliare, coinvolgendo diverse figure dal medico di base al neurofisiologo fisiatra pneumologo gastroenterologo dietologo ortofonista fisioterapista esperto in ausilii, infermieri qualificati, assistente sociale, ricovero ospedaliero e assistenza domiciliare. L’impatto sociale pesa sulle persone malate che spesso la malattia li colpisce in età lavorativa e sui familiari che per occuparsene devono ridurre il loro lavoro; si aggiunge quello psicologico, e c’ è anche tra i cambiamenti che una tale patologia porta con sè quello dell’adattamento dell’ambiente domestico.