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Indagine dell’Ordine dei Medici di Torino sulla violenza verso gli operatori sanitari presentata al Comune di Torino

08 Settembre 2019

Per intraprendere misure preventive più efficaci dando risposte concrete dinanzi alla crescente  violenza verso medici ed operatori sanitari, che non possono essere tollerabili, bisogna partire dai dati del  fenomeno e dalle strategie attuate. A Torino uno studio sulla situazione presso le aziende sanitarie locali e ospedaliere della provincia con alcune proposte è stato presentato di recente, mercoledì 4 settembre, dal presidente dell’Ordine dei Medici e degli Odontoiatri dottor Guido Giustetto alle Commissioni Consiliari dei Diritti e Pari Opportunità e Sanità e Servizi Sociali della Città di Torino.

L‘indagine avviata dall’Ordine dei Medici di Torino si riferisce agli episodi segnalati nel 2017 presso 7 aziende sanitarie che hanno accolto il questionario inviato nel 2018. Si tratta delle aziende sanitarie locali Città di Torino, TO3, TO4, TO5 e delle aziende ospedaliere universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino, dell’Ordine Mauriziano e del Presidio Gradenigo.
Dallo studio emerge che nell’anno 2017 sono stati registrati 66 episodi a carico di medici, soprattutto in ospedale (86%), presso i Dipartimenti di Emergenza e Accettazione (DEA) per il 45%, nei reparti per il 19%, in psichiatria per il 13,6% , negli ambulatori per il 10,6% e continuità assistenziale per il 3%. Le aggressioni che riguardano il sesso femminile sono poco più della metà, il 56%. Mentre gli insulti e le minacce verbali sono state del 64% la violenza fisica ha riguardato il 29% dei casi, di cui il 15% con lesioni.
Sul piano del contrasto, le strutture che vi hanno provveduto, seguendo le raccomandazioni del Ministero della Salute, sono «solo il 57%», presentando locali con vie di fuga agevoli, sistemi di allarme, localizzazione degli ambulatori in strutture sanitarie e la copresenza di un altro operatore per il contatto con i pazienti. Tra le misure vi sono anche l’identificazione del pubblico per il 29% e la registrazione delle telefonate per il 14%. La presenza di guardie giurate o polizia e dispositivi di sicurezza come i pulsanti antipanico, cellulari e telefoni è dichiarato dal 71%. Infine l’86% delle strutture, ossia 6 su 7, sono dotate di accesso con codice, impianti video a circuito chiuso e illuminazione interna sufficiente.

Nella relazione si evidenzia che i dati non tengono però conto delle persone che avrebbero dovuto ma non hanno fatto alcuna segnalazione per svariati motivi, spesso per «sfiducia delle vittime sulla comprensione e buon esito della segnalazione, per pudore, per vergogna, per timore di ritorsioni, per poter finire il turno e non lasciare i pazienti senza assistenza». O semplicemente − commenta il presidente Giustetto  −  in quanto oramai ci si è rassegnati alla violenza. E aggiunge «Riteniamo quindi che sia un fenomeno decisamente sottostimato». Vi sono poi anche le ferite lasciate su coloro che assistono agli episodi di violenza dei colleghi, segni inferti che trasmettono insicurezza del luogo di lavoro e paura di lavorare da soli e che col tempo possono compromettere la qualità del lavoro e salute del lavoratore.

Per proteggere il personale medico e sanitario  la prevenzione è importante. Sul piano informativo e formativo  l’Ordine dei Medici mette in luce, nel documento, che partecipa già a diversi tavoli di lavoro, come quello provinciale per i Maltrattanti volto al loro recupero inserito nel tema più ampio  della violenza verso le donne, Tuttoinrete interistituzionale e interprofessionale sui minori e  Coordinamento cittadino e regionale contro la violenza sulle donne, e organizza corsi di aggiornamento in collaborazione con istituzioni, Magistratura e Forze dell’Ordine dal 2015. È poi anche un centro di ascolto per i medici e collabora con le forze dell’Ordine per trovare delle strategie. E recentemente ha appoggiato la mozione approvata dal Consiglio Nazionale FNOMCeO di dicembre 2018 sul disegno di legge n.867 relativo a Disposizioni in materia di sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie nell’esercizio delle loro funzioni  prevedendo che «al personale medico e sanitario sia riconosciuta la qualifica di pubblico ufficiale, affinché l’azione penale si avvii di ufficio e non a seguito di denuncia di parte».  

Si propone intanto  di mettere in atto la nota di Raccomandazione  del Ministero della Salute, la n. 8 del 2007,  in ogni struttura sanitaria con un programma di iniziative di prevenzione mirate a identificare i fattori di rischio e  indicare alcune strategie. Ad esempio «incoraggiare il personale a segnalare prontamente gli episodi subiti e suggerire le misure per ridurre o eliminare i rischi».  Poi l’aumento della sorveglianza, il perfezionamento di linee guida sulla sicurezza sui posti di lavoro, la formazione di  tecniche di autodifesa individuale, la realizzazione di sistemi di segnalazione, la risoluzione di  problemi strutturali, il non lasciare soli gli operatori,  l’avvio di iniziative legislative che considerino le aggressioni contro il personale sanitario un grave reato.

Infine politiche sanitarie che consentano ai medici e al personale sanitario di poter svolgere la propria professione in modo appropriato. Servirebbe, ad esempio, − conclude Guido Giustetto −  una maggiore umanizzazione dei luoghi di cura: al contrario, provvedimenti come la riduzione del turnover determinano condizioni di lavoro difficili per il personale anche in termini di capacità di dare risposte ai bisogni di salute dei cittadini. Di conseguenza, il sovraffollamento degli ospedali e la difficoltà del territorio a garantire una vera alternativa in termini di cure rischiano di minare l’efficacia di qualsiasi iniziativa».

Redazione Bioetica News Torino