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“La Chiesa vigilerà sempre per il diritto alle cure”: don Arice dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute in vista di Firenze 2015

25 Aprile 2015

Al prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre), sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo, sarà preso in considerazione ogni aspetto dell’umano nella sua globalità. Uno di questi aspetti è legato alla salute dell’uomo, alla malattia, alla sofferenza e al compito delle istituzioni in questo ambito.

È proprio in preparazione di questo particolare risvolto del Convegno Ecclesiale, che l’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana promuove il seminario “Opere di nuovo umanesimo, a quali condizioni?”, in programma per lunedì 29 aprile, al Policlinico Gemelli di Roma.

I contenuti della tavola rotonda sono stati illustrati a Zenit.org dal direttore della l’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute, don Carmine Arice, che si è soffermato anche sulle diverse problematiche del mondo sanitario oggi e sulla responsabilità della Chiesa di fronte ad una mentalità utilitaristica che non mette la persona al centro di tutto.

Don Carmine, quali sono i contenuti e le finalità del seminario di lunedì prossimo?
Il seminario vuole cercare di rispondere alla seguente domanda: a quali condizioni opere come gli ospedali (in particolare se di ispirazione cristiana) possono concorrere a definire l’umano? A queste realtà chiediamo se, pur nelle mutate circostanze, sono capaci ancora di dare un contributo all’annuncio e alla costruzione di un umano nel senso globale del termine. In secondo luogo ci chiederemo quanto queste opere siano capaci di rispondere in modo carismaticamente significativo alle provocazioni della cultura contemporanea che sta conoscendo una crisi antropologica notevole. Il Papa lo richiama frequentemente: quella attuale non è una crisi di tipo economico ma principalmente di tipo antropologico, pur avendo poi anche una conseguenza economica. Tra il carisma e lo sviluppo dell’attività, c’è coerenza oggi? Questo tema sarà sviluppato in modo particolare nella relazione della dottoressa Enoc. Saranno poi trattati i temi della responsabilità e della trasparenza da parte dei direttori e dei gestori di opere di “nuovo umanesimo” e della domanda di senso che, più che mai, si pone nella sofferenza, nella malattia e nella morte.

La Chiesa è sempre stata pioniera nella cura dei malati. Dove finisce però la cura dei corpi e dove inizia quella delle anime?
In fondo questa concezione della cura dei corpi data ai medici e della cura delle anime data ai preti, non regge. L’uomo ha sicuramente una dimensione fisico-biologica che richiede la cura del corpo, quando questo si ammala. Sappiamo però quanta interazione ci sia tra le malattie e le cause psicosomatiche delle malattie stesse. Questo ci fa capire che dovremmo ragionare con un accostamento molto più olistico della persona, dove non c’è un confine così determinato tra la cura del corpo e la cura dell’anima ma c’è la cura della persona che è fatta di corpo e di anima. Ovviamente il cappellano si occuperà della dimensione spirituale, mentre in quella fisica occorre fare passi avanti notevoli, per dire che le due realtà sono coessenziali e non possono stare l’una senza l’altra. In questo senso, stiamo facendo anche degli approfondimenti di carattere scientifico. Sulla rivista “Progressi della medicina è” uscito un articolo che illustra una ricerca per far vedere come il supporto della cura spirituale dà alla cura globale della persona nell’ospedale moderno. Il nuovo umanesimo non è solo quando si riconosce un organo malato ma la persona che soffre per quell’organo malato. Ci si occupa quindi di una persona che soffre nella dimensione spirituale, psicologica e biologica.

C’è una patologia che si pone, in un certo senso “a cavallo” tra il male fisico e quello dell’anima ed è anche il male più diffuso di questo tempo: la depressione. Che tipo di pastorale esercita la Chiesa in questo campo?
La pastorale della Chiesa possiamo riassumerla soprattutto attraverso una parola, un “ci sono”, una presenza. È una pastorale che accompagna una persona nel suo percorso di vita, qualsiasi prova stia attraversando. Si tratti di depressione o di altro tipo di patologia, poco cambia. Quando si parla di depressione, c’è da chiedersi se non vi siano delle congiunture di carattere socio-culturale o valoriale che favoriscono le malattie della mente in genere (peraltro in aumento). Al di là di fattori che possono essere di predisposizione genetica alla depressione, certamente vi sono delle concause di carattere sociale. La crisi antropologica di cui ci parla papa Francesco va anche a individuare delle cause che concorrono alla depressione: crisi antropologica significa che l’uomo non è più messo al centro, non più al vertice della creazione, come nella Bibbia, ma talvolta viene usato e quest’uso della persona produce desideri disordinati che sono contro la persona stessa. Dall’altra parte, però, abbiamo il grande tema del senso della vita che qui ritorna molto forte, perché quando la vita si appiglia a valori che non possono sostenerla, specie di fronte alle prove, possono esserci cause di depressione molto importanti.

Un tema di grande attualità su cui la Chiesa non può tacere è quello dei tagli alla sanità: qual è la posizione della Conferenza Episcopale in merito?
In primo luogo dobbiamo parlare di razionalizzazione delle risorse ed è legittimo non sprecare risorse a servizio del bene comune. È vero che la congiuntura economica attuale porta a fare un discorso molto serio sulla crisi che tocca tutti. Vi sono però ambiti come la cura (e in particolare la cura degli indigenti) che non possono essere dettati da manovre economiche. L’articolo 32 della Costituzione prevede la cura della persona, specie se indigente. È chiaro, quindi, che il criterio della distribuzione delle risorse in ambito sanitario non può essere soltanto il criterio delle risorse a disposizione ma deve essere il criterio della centralità della persona. Qualsiasi altro tipo di ragionamento viene a minare una realtà fondamentale: il primato della persona. Non possiamo sacrificare la vita di una persona anziana perché costa troppo. Le risorse si possono trovare e ci sono. Vanno riequilibrate, perché la forbice tra ricchi e poveri si sta allargando sempre di più. Noi vigileremo sempre perché, in particolare alle persone più indigenti, non venga negato l’accesso alle cure. Tra le fasce più a rischio abbiamo le persone anziane che sono sempre di più, così come aumentano le malattie neurodegenerative degli anziani stessi. Tutto questo porta a un sempre maggiore bisogno di vigilanza e di attenzione etica, perché ai più fragili non sia negato il necessario.

Di Luca Marcolivio

Fonte: Zenit

 

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino