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La Ue getta la spugna sui cambiamenti climatici

27 Ottobre 2014

L’Europa fa marcia indietro e rinuncia al ruolo di leader ambientale che aveva finora sostenuto di fronte a giganti come Usa e Cina. All’ultimo vertice, hanno vinto gli interessi delle grandi aziende del carbone, sostenute dalla Polonia, con un messaggio chiaro e semplice: la green economy è una fregnaccia, e in un momento di difficoltà economica come questo non possiamo permetterci misure troppo dure contro i cambiamenti climatici (e dunque, sottinteso) troppo svantaggiose per lo sviluppo economico. Suonano senza senso i tweet di circostanza del Presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy, che ha scritto: “Buone notizie per il clima, per la salute dei cittadini, per i lavori sostenibili e per i colloqui in vista di Parigi 2015″. L’accordo sul pacchetto clima 2030 raggiunto dal vertice Ue è invece una sconfitta su tutta la linea.

Investire nelle rinnovabili e rilanciare l’efficienza energetica sono strategie ambientaliste, ma riguardano anche la crescita economica, possono portare nuove opportunità di lavoro e nuovi sbocchi commerciali. E difatti, a chiedere con insistenza misure più drastiche a difesa del clima c’era un Paese in difficoltà di bilancio come la Francia, mentre a insistere con le lobby dei produttori di carbone c’era un Paese – l’unico in Europa – che vanta una crescita di tutto rispetto e una sostanziale immunità dalla crisi economica: la Polonia. Ma certo, i polacchi basano quasi il 90% delle loro forniture energetiche sul carbone, e per loro un cambiamento più drastico sarebbe stato più dispendioso di Paesi in questo senso virtuosi: Francia, Germania, Italia, e praticamente tutti gli altri Paesi Ue che da anni perseguono una politica energetica che incentiva le rinnovabili.

Questo pone serie preoccupazioni sul sistema che regna a Bruxelles: sulle questioni energetiche e le politiche del clima, ogni proposta deve essere approvata all’unanimità dal Consiglio dei Ministri e dunque un solo Paese – magari, come in questo caso, il più arretrato in tema di energia – può porre il veto sugli altri, e imporre un’inversione di tendenza del tutto anacronistica e senza alcun vantaggio per lo sviluppo collettivo. Insieme a Hollande, c’era Angela Merkel a insistere per obiettivi più ambiziosi. Ma non il nostro Matteo Renzi, presidente di turno con l’Italia, che pure, solo poche settimane fa, si era lasciato scappare facili promesse alla conferenza Onu sul clima di New York (“Per l’Italia i cambiamenti climatici sono la sfida del secolo”).

L’accordo raggiunto prevede che, entro il 2030, le emissioni di Co2 siano tagliate del 40% rispetto al 1990, che l’energia da fonti rinnovabili raggiunga il 27% e che l’efficienza energetica aumenti almeno al 27% (gli ambientalisti chiedevano rispettivamente un 55, 45 e 40%). Tutti numeri poco distanti dall’attuale andamento, e dunque numeri che non implicano praticamente alcuno sforzo per i governi. Ignorata anche la semplice richiesta della Germania di portare gli ultimi due valori ad almeno il 30%.

Con questi vincoli, temo sarà impossibile raggiungere quegli ambiziosi obiettivi a lungo termine che l’Unione europea aveva fissato entro il 2050, e che appunto ne avevano fatto la paladina del rispetto ambientale nel mondo (e della green economy), come il taglio dell’80% dei gas serra. Con le attuali modifiche, potrebbe essere raggiunto solo se una bacchetta magica rendesse possibile ridurli del 40% in soli 10 anni.

Michela Dell’Amico

fonte: Wired

approfondimenti: http://www.unep.org/newscentre/Default.aspx?DocumentID=2803&ArticleID=11030&l=en

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino