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La vecchiaia e il nostro futuro Un documento della Pontificia Accademia per la Vita che mette mano a proposte nuove di cura e assistenziali dopo la pandemia

10 Febbraio 2021

Migliori condizioni di vita e nuove conoscenze della medicina e della scienza hanno influito, rispetto al passato, sull’invecchiamento della popolazione. Si vive più a lungo, si è generalmente in buona forma, attivi, autonomi. Si parla ormai di terza e quarta età. Dopo aver convissuto con alcuni malanni tipici dell’età o malattie cronicizzate portate avanti nel tempo si arriva poi ad un aggravamento della salute, ad una ulteriore fragilità che richiede ulteriori bisogni assistenziali e di cura. Invecchiare fa parte di un processo biologico, di un cammino nella storia umana e nella società iniziato con il venire alla luce, di un legame tra le generazioni che precedono e seguono, segnato dalla trasmissione del sapere, della cultura, delle responsabilità.

La pandemia, con la sua cruenta scia di morti, soprattutto gli anziani, ha messo a nudo alcune problematiche, carenze, trascuratezze verso tale tipo di popolazione che non possono che farci riflettere su come si può aiutare a costruire un nuovo modello di cura e di assistenza agli anziani nella società in cui continuano il loro cammino di vita e con volto umano e accogliente sia capace di prendersene cura fino al volgere della fine. «È necessario un serio ripensamento non solo relativamente alle residenze per gli anziani ma per l’intero sistema assistenziale del vasto popolo di anziani che oggi caratterizza tutte le società», ha affermato monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita alla recente presentazione del nuovo documento redatto insieme al Dicastero Pontificio per lo sviluppo umano integrale, intitolato La vecchiaia: il nostro futuro. La condizione degli anziani dopo la pandemia. La propria dimora, anche durante la pandemia, a parità di condizioni, ha protetto molto di più, spiega illustrando alcuni dati: «In Italia  la metà degli anziani vittime da Covid-19 viene dagli istituti e dalle Rsa, mentre solo un 24 per cento del totale dei decessi riguarda gli anziani e i vecchi che vivevano a casa. Insomma, il 50% delle morti è avvenuto tra i circa 300.000 ospiti di case di riposo ed RSA mentre solo il 24% ha colpito i 7 milioni di anziani over 75 che vivono a casa».

Un quadro sociologico dell’impatto del Covid-19 sulla società giapponese e delle tendenze attuali è stato descritto dalla professoressa Etso Akiba dell’Università di Toyama, accademico ordinario della Pontificia Accademia per la Vita. Più di 6000 morti di Covid-19 e a farne le spese sono anche lì le persone anziane, in Giappone il 98% dei decessi sono ultra sessantenni. Lamenta «l’indifferenza dell’opinione pubblica verso la morte degli anziani», perché, spiega, «c’è una grave discriminazione nei confronti dei malati di malattie infettive e anche il divario tra generazioni, causato dall’emergere della visione mononucleare della famiglia dal secondo dopoguerra. Alla base c’è un’idea di autodeterminazione che deriva da una forte visione individualista». E’ aumentato il numero dei suicidi tra i giovani studenti. In generale non vi è dialogo tra le generazioni, le più giovani cercano opportunità nelle aree metropolitane mentre quelle più anziane si trasferiscono in periferia, indipendenti dai figli, lasciando un “testamento di fine vita” per rifiutare le cure terminali prima di perdere la capacità di autodeterminazione. Controcorrente vanno invece, alcune città di provincia di modesta entità, che cercano di riavvicinare le generazioni creando comunità di mutuo soccorso.

«Chi invecchia sia sostenuto, aiutato a rimanere a casa propria e comunque a non abbandonarlo mai», ha concluso Paglia.

Un nuovo modello assistenziale e di cura per gli anziani più fragili: a casa o ambienti domiciliari che diano conforto come a casa, e assistenza sociosanitaria integrata

Più generazioni diverse coabitano e costituiscono le nostre società, che arrivano ad arrivare fino a quattro in alcuni Paesi. È il nuovo volto a cui ci apprestiamo ad esserne consapevoli. Secondo l’Oms, nel 2050 nel mondo una persona su cinque sarà anziana. Quando la fatica degli anni comincia a farsi sentire, quando una malattia si fa invalidante, si perde l’autonomia e cominciano necessità di assistenza integrata e di qualità più elevate come poter continuare a vivere facendo parte della società stessa, ricevendo quell’assistenza e accoglienza necessaria ai propri bisogni, personalizzata, e mantenendo il più possibile a lungo il proprio ambiente domestico e il calore delle relazioni familiari e delle persone più care che ci circondano? Una riflessione di coscienza profonda scaturisce dal comandamento “onora tuo padre e tua madre”, che ci hanno generato alla vita e alla fede.

Il rimanere nella propria abitazione, dove si è vissuto, a cui si è affezionati per gli affetti, per il luogo, le relazioni instaurate nella comunità, è una scelta certamente più naturale. Perché l’assistenza domiciliare, quel continuum assistenziale tra la casa e i servizi esterni, possa rivelarsi davvero attento alla persona, che è come il documento vuol evidenziare «il cuore di questo nuovo paradigma di assistenza e cura degli anziani più fragili», alla biografia narrativa e sanitaria, alle esigenze di ciascuno, occorrono alcuni elementi – chiave:

  • integrazione dell’assistenza con la possibilità di cure mediche a domicilio e un’adeguata distribuzione di servizi sul territorio, presa in carico che richiede, come sottolinea la Nota, «un processo di conversione sociale, civile, culturale e morale»
  • il sostegno alle famiglie valorizzando le figure dei care-givers, e di altre professionalità da inquadrare nell’aspetto normativo per rendere l’ambiente più familiare agli anziani
  • l’introduzione di tecnologie innovative necessarie, come la telemedicina e l’intelligenza artificiale, nel luogo della loro permanenza, in casa o in quella dei propri familiari
  • costruzione e mantenimento di una rete tra operatori del mondo sanitario, paziente, familiari, istituzioni socio-sanitarie e volontariato
  • personalizzazione dell’intervento socio-sanitario e assistenziale

Il documento cita nuove possibilità di prospettive abitative e assistenziali con diverse formule residenziali. Sono già diffuse in molti Paesi e per le quali occorre «un profondo cambiamento di mentalità e di approccio all’idea della persona anziana fragile, ma ancora capace di dare e di condividere: un’alleanza tra generazioni che può farsi forza nel tempo della debolezza». Un esempio sono l’independent living, l’assisted living, in autonomia ma con gestione condivisa del quotidiano, oppure il co-housing, o case famiglia. Spicca una nuova figura, l’infermiere di quartiere.

Un germoglio nuovo per le case di riposo

Un ruolo aggiuntivo potrebbero avere le case di riposo, quello di prestare servizi agli anziani nei loro domicili. Cresciute rapidamente, le case di riposo ospitano chi per scelta desidera vivere gli ultimi anni di vita per essere assistiti, per essere in compagnia, chi non può fare altrimenti, in quanto una rete familiare ristretta non riesce a provvedervi sul piano economico o del tempo da dedicare, oppure perché i legami di amicizia si sono per motivi diversi rarefatti, o ancora, in contesti di povertà, per la mancanza di una sistemazione propria, o anche spinti per il sentirsi un fardello per la società, secondo l’immaginario collettivo predominante oggi. Fatti di cronaca hanno mostrato l’altra faccia del ruolo socio-assistenziale di tali strutture, il rischio di diventare luoghi di maltrattamento e di violazione dei diritti umani, per cui è necessario vigilare.

La Pontificia Accademia per la Vita propone, in un’ottica dell’etica del bene comune e del rispetto della dignità di ogni persona, una riflessione, scaturita dal documento stilato, di «introdurre nuove e incisive misure perché sia reso possibile agli anziani di essere accompagnati e assistiti in contesti familiari, nella loro casa e comunque in ambienti domiciliari che assomiglino più alla casa che all’ospedale. Si tratta di una svolta culturale da mettere in atto. Essa sarà attenta a indicare questa strada come la via più autentica per testimoniare la verità profonda dell’essere umano: immagine e somiglianza di Dio, mendicante e maestro d’amore».

La risorsa degli anziani e cura pastorale

Il documento si conclude con un richiamo all’interno della chiesa, a livello diocesano e delle comunità parrocchiali, di far crescere la consapevolezza del senso di responsabilità e cura pastorale verso il mondo degli anziani.
L’istituzione della giornata mondiale dedicata agli anziani e i nonni, il 25 luglio, ha il significato di comprendere e custodire quei valori che essi possono trasmettere alle giovani generazioni e ai loro nipoti: «sono l’anello indispensabile per educare alla fede i piccoli e i giovani». Lo scambio culturale, della conoscenza fra giovani e anziani diventa «nuova linfa di umanesimo che renderebbe più solidale la società». Infatti la loro fragilità mostra l’accettabilità della dipendenza dagli altri come modi di affrontare la vita, e quando sono in salute, «ci ricordano il bisogno di essere amati e sostenuti. Nella vecchiaia, sconfitta ogni autosufficienza, si diviene mendicanti di aiuto».

L’emergenza sanitaria ha portato alla luce una capacità di raccogliere la sfida della vita, le sue incognite e le sue gioie, «che si basa, in parte, sull’ispirazione, propria del dialogo tra generazioni: un dialogo che può essere fatto di parole o di silenzio, del disegno offerto da un bambino, che ancora fa sognare l’anziano, o dalla tenerezza dei loro sguardi, che si incrociano e si incoraggiano a vicenda», ha affermato Monsignor Bruno-Marie Duffé, segretario del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, alla presentazione del documento. Aggiungendo che «L’anziano, del resto, non ha che una cosa da fare: offrire ciò che ha scoperto della vita, in modo che il bambino sperimenti ancora – e sempre – il desiderio di scoprire e inventare la vita».

Gli anziani sono chiamati, nei loro ultimi tratti del cammino di vita, a guardare alla soglie del mistero verso l’eternità, della comprensione avvicinandosi a Dio e vivendo nella relazione con Lui. Il documento sintetizza in conclusione la vocazione degli anziani, l’essere chiamati ad essere missionari nell’attività pastorale, come ogni altra età e l’attenzione caritatevole da parte della chiesa, il prendersi cura della loro spiritualità, del loro bisogno di intimità con Cristo e di condivisione della fede.

redazione Bioetica News Torino