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Le scienze della modernità: l’uomo come pura materia Rubrica Scienze e Filosofia a cura di Valter Danna

06 Febbraio 2018

È pubblicato sul  settimanale della diocesi torinese «La Voce e il Tempo», 28 gennaio 2018, p. 18 ed è la seconda puntata dell’analisi di Valter Danna sul rapporto tra il sapere scientifico e la visione dell’essere umano.

A partire dal Rinascimento, la concezione strutturata e compatta del sapere, com’era stata concepita dalla cultura classica, viene messa in discussione da nuove scoperte e nuove concezioni che aprirono l’epoca della modernità. Due date significative. Nel 1942 Cristoforo Colombo scopre l’America: nuovi popoli e nuove culture che non hanno niente a che fare con l’Europa greco- cristiana. Sorge il problema della «cristianizzazione» di questi popoli e questo ben presto si trasforma in colonizzazione. Nel 1543 si pubblica postumo il De Revolutionibus Orbium Coelestium di Nicolò Copernico, che illustra la teoria eliocentrica, una teoria sostenuta anche dalle osservazioni e dai calcoli di Keplero, Tycho Brahe, Galileo: il Sole occupa il centro del mondo e la Terra è solo uno dei pianeti, l’universo è finito e sferico, perché  questa  è la forma più perfetta di tutte secondo la ancora presente concezione antico-medioevale. Si scopre  che Cielo e Terra sono costituiti dagli stessi elementi corruttibili e con la Terra anche l’uomo non è affatto al centro dell’Universo.

Come conciliare questa visione con una lettura e interpretazione ancora letterale della Bibbia? Tutti ricordiamo il «caso Galileo», assunto a partire dagli illuministi a emblema dell’inconciliabilità fra scienza e religione. Solo nel XX secolo, con gli studi voluti da Giovanni Paolo II, si è giunti  a un certo superamento dei conflitti fra la scienza e la religione-fede. Eppure bisogna anche ricordare che fu la concezione giudaico-cristiana del mondo e dell’uomo intesi come creazione di Dio, quindi totalmente distinti dal divino e quindi desacralizzati, a porre le premesse per studiare a fondo la natura (e poi l’uomo) senza il timore di ingiuriare il «sacro».

Tra la fine del XVI  e la metà del XIX secolo, sorgono nuove scienze che, rifiutando l’autorità degli antichi filosofi, si fondano sull’osservazione, sull’esperimento e sulla misurabilità di certe grandezze definite (massa, peso, temperatura, carica elettrica ecc.). Ogni scienza ha i suoi termini e relazioni che sono fissate da leggi stabilite empiricamente e del tutto indipendenti e autonome dalla metafisica. Ad esempio, la massa è fissata dalla legge newtoniana di gravitazione universale, il campo elettromagnetico si definisce attraverso le equazioni di Maxwell, la tavola periodica di Mendeleev definisce tutti gli elementi chimici fondamentali. Il risultato che si ottiene è il passaggio da una conoscenza descrittiva dei fenomeni (ancora presente nelle categorie aristoteliche) a una conoscenza esplicativa espressa in leggi astratte, stati e probabilità: una spiegazione del mondo molto diversa dalla descrizione del senso comune o della scienza greca, con un linguaggio tecnico gradualmente riconosciuto dall’intera comunità scientifica.

Lo strumento, però, che la scienza moderna usa per ottenere i suoi successi non è principalmente la logica, bensì un ben preciso metodo operativo empirico costituito da operazioni ricorrenti sorrette da canoni che guidano in modo dinamico il processo della ricerca. Lo scopo della scienza della natura è la spiegazione completa di tutti i dati e quindi la ricerca dell’intelligibilità totale dell’universo empirico, essa riguarda ciò che di fatto è così o accade così: la scienza moderna, cioè, non si occupa del necessario, ma di possibilità verificate, intende conoscere e controllare il concreto sempre più da vicino.

Comunemente si parla di due grandi «rivoluzioni» scientifiche, espressione introdotta da Kuhn. La prima rivoluzione avvenne tra il XVI e XIX secolo (da Galileo-Newton fino a Darwin), la seconda rivoluzione è quella iniziata dalla fisica del primo quarto del XX secolo (Einstein e la fisica dei quanti). Le prime nuove scienze furono l’astronomia e la fisica; esse si basano su «sensate esperienze» e «dimostrazioni geometriche». Grazie a scienziati del calibro di Galileo e Newton, si giunse alla formulazione della meccanica classica che studia le leggi di ogni tipo di moto: dall’oggetto che cade dalla Torre di Pisa o dalla mela dall’albero di Newton, ai moti dei pianeti e dei loro satelliti, alle maree e al galleggiamento delle navi sull’acqua. Con la mirabile sintesi di Isaac Newton nei Principi matematici di filosofia naturale (1687), tutto il moto è unificato dalla fondamentale scoperta del principio d’inerzia e della legge di gravitazione universale.

Newton ritenne importante la presenza e l’azione divina a sostegno del sistema planetario, ritenuto il mondo di allora. Altri dopo di lui tenteranno di ridurre ogni fenomeno fisico al moto meccanico di parti elementari. Infatti, per la meccanica classica, in un dato istante un punto matematico possiede posizione e velocità determinate. Questa è la base per fare predizioni sul futuro comportamento di quel punto, dato che conosciamo tutte le leggi fisiche del moto. Da questi presupposti sorse il meccanicismo, che è una forma riduttiva nel modo di concepire la realtà.  Su queste basi, anche l’uomo fu pensato come una complessa macchina biologica ma sottoposta al determinismo e quindi si giunse alla negazione della sua libertà. E questo fu ancora sostanzialmente affermato anche da grandi scienziati contemporanei come Albert Einstein  e Stephen Hawking.
A questo proposito dobbiamo fare una distinzione riguardo al metodo scientifico moderno. Una cosa è il «metodo riduzionista» della scienza, del tutto normale e fecondo, che consiste nel suddividere e analizzare i problemi più complessi in una serie di elementi semplici, tralasciando tutte le componenti che non riguardano direttamente la cosa studiata. Un’altra cosa è la prospettiva filosofica riduzionista che tende a semplificare la spiegazione della natura e dell’uomo stesso: qui si afferma che c’è una sola verità, quella empiricamente verificabile (riduzionismo gnoseologico), oppure c’è un solo tipo di realtà, quella materiale (riduzionismo ontologico). Questa visione venne superata all’interno della stessa fisica già nel tardo Ottocento, grazie agli studi sull’ottica e sull’elettromagnetismo, fenomeni che non potevano essere pienamente spiegati ricorrendo semplicemente alle leggi della meccanica. Intanto, però, nel periodo illuminista e poi nell’Ottocento sorsero, grazie allo sviluppo scientifico, filosofie secondo le quali l’uomo è pensato in termini di pura materia ed è visto come una macchina sebbene assai complessa.

Parlando dello sviluppo scientifico moderno, non va dimenticata un’altra nuova scienza, la chimica. Essa partendo dai principi della fisica, approfondisce lo studio della materia e, attraverso il concetto di atomo e soprattutto di molecola, evidenzia la complessità delle sostanze attraverso il concetto di struttura molecolare. Anche questa scienza mostra la necessità di una concezione non riduzionista della realtà, a partire dal fatto che ci sono almeno tre diversi livelli di «oggetti» nell’universo:  quelli che i nostri sensi percepiscono; quelli che possiamo conoscere mediante nuovi strumenti, il telescopio per l’infinitamente grande (stelle, pianeti, galassie) e il microscopio per l’infinitamente piccolo ( i tessuti, le cellule etc.); infine, gli oggetti e processi che si possono conoscere solo indirettamente, come le particelle elementari, conosciute attraverso tracce che lasciano nelle camere a bolle o negli acceleratori nucleari.

La chimica ha assunto un ruolo centrale in molti ambiti della vita umana e della tecnologia ad esempio in agricoltura, medicina, scienze ambientali, armamenti.  Essa pone forse oggi i problemi più complessi e urgenti circa il rispetto e la protezione del Creato, costringendoci a un’ampia riflessione antropologica, prima ancora che etica, sulla responsabilità degli uomini anche in quanto scienziati e promotori delle più sofisticate tecnologie. Tuttavia, prima di svolgere questo tema, sarà bene completare il panorama dello sviluppo scientifico nell’epoca contemporanea.


Prosegue nel  numero de« La Voce e il Tempo» di domenica 4 febbraio 2018, p. 14: Le scienze della vita e la genialità di Einstein

(aggiornamento 7 febbraio 2018)

 

Valter DannaDocente di Filosofia Teoretica
Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale - sezione parallela di Torino