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Liceità dell’eutanasia e revisione legge 219/2017. Alla Camera avviata proposta di iniziativa popolare

31 Gennaio 2019

«Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia» è la proposta di iniziativa popolare, la stessa presentata nel 2013,  il cui iter  è avviato  alla Camera mercoledì 30 gennaio con le relazioni illustrative dei deputati Turri e Trizzino rispettivamente per le Commissioni di Giustizia e di Affari sociali.

Sono presentati 4 articoli. Il primo presenta alcune modifiche  da appore nell’art. 1, comma 5 e 6  sul consenso informato della recente legge 219/2017 “Consenso informato e Disposizioni Anticipate di Trattamento”  che disciplinano la  condotta e sanzione del medico e del personale sanitario se non adempie alla volontà del paziente.  Al cittadino viene data «la facoltà di rifiutare l’inizio o la prosecuzione dei trattamenti sanitari, nonché ogni tipo di trattamento vitale o terapia nutrizionale. Il personale medico e sanitario è tenuto a rispettare la volontà del paziente  (a) quando è un soggetto maggiorenne  e  (b) che non sia  incapace di intendere e di volere  seppure temporaneamente, salvo quanto previsto dall’art. 3,  e (c)  qualora lo sia in modo temporaneo o meno, la volontà sia espressa da un fiduciario nominato precedentemente, con atto scritto con firma  autenticata presso l’ufficio di anagrafe del comune di residenza o domicilio,, mentre dall’interessato in modo inequivocabile se è capace di intendere e volere ed è maggiorenne.

L’articolo 2 della proposta cita: Il personale medico e sanitario che non rispetta la volontà manifestata nei modi di cui all’art. 1, è tenuto al risarcimento del danno morale e materiale, provocato dal suo comportamento,  in aggiunta ad ogni altra conseguenza civile e penale ravvisabile nei fatti.

L’art. 3: l’impunibilità penale (artt. 575 omicidio, 579 omicidio del consenziente, 580 istigazione aiuto al suicidio) al medico e operatore sanitario che praticano «trattamenti eutanasici, provocando la morte del paziente» alle condizioni seguenti attestate per iscritto dal medico e confermate dal responsabile della struttura sanitaria dove il trattamento eutanasico viene praticato: (a) la richiesta, attuale e accertata in modo inequivocabile (b) provenga dal paziente maggiorenne (c), che non si trovi, sia pure temporaneamente in una condizione di incapacità di intendere e volere, salvo quanto previsto dall’art. 4; (d)  siano informati della richiesta, con il consenso del paziente,  parenti entro il secondo grado e il coniuge, e con il consenso del paziente  messi nella possibilità di colloquiare con il medesimo; (e) sia  «affetto da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a 18 mesi»;  (f)  il paziente sia stato congruamente e adeguatamente informato delle sue condizioni e di tutte le possibili alternative terapeutiche e dei prevedibili  sviluppi clinici e ne abbia discusso con il medico; 5. il trattamento eutanasico rispetti la dignità del paziente e non provochi allo stesso sofferenze fisiche.

L‘art. 4: è attribuito ad  «ogni persona  la facoltà di redigere un atto scritto, con firma autenticata dall’ufficiale di anagrafe del comune di residenza», per chiedere l’applicazione dell’eutanasia «nell’ipotesi in cui  egli successivamente venga a trovarsi nelle condizioni previste dall’art. 3, comma 1, lettera e,», sia  capace,  o incapace di intendere e di volere attraverso la nomina contemporanea di un fiduciario nel modo indicato dall’art.1;  la richiesta  di applicazione dell’eutanasia da parte del soggetto deve essere «chiara e inequivoca», senza «condizioni» e  accompagnata da un’autodichiarazione in cui descrive di «essersi adeguatamente documentato in ordine ai profili sanitari, etici e umani»; la conferma della richiesta del fiduciario deve essere per iscritto, chiara e inequivoca;  il medico e il personale sanitario non sono  punibili  penalmente con gli articoli 575, 579, 580 e 593 se vengono rispettate le  condizioni dell’art. 4 e 3 comma 1 e lettera g.

Redazione Bioetica News Torino