Migrazione e salute. Forum internazionale alla Pontificia Università Lateranense
05 Marzo 2019Dinanzi al delinearsi di molteplici realtà della migrazione, dovuta a svariati motivi, economici, per persecuzione religiosa, etnica o politica, e ai tanti scenari drammatici vissuti ad essa correlati, come quelli di coloro che cadono nella rete dell’illegalità, dalle vittime di tratta ai trapianti d’organo, o ancora di popolazioni in cammino senza meta, costretti a fuggire dal proprio paese, e di accoglienza dei flussi migratori nell’Unione europea e nel mondo, il seminario internazionale del Global Forum on Health and Migration in corso da ieri, 4 marzo, alla Pontificia Università Lateranense di Roma, coinvolge la partecipazione numerosa di rappresentanze del mondo politico, economico, accademico, scientifico europee e dagli Stati Uniti, Messico ed Ecuador, per individuare insieme prospettive di intervento sostenibili nel migliorare soprattutto la condizione di salute dei migranti.
Tutelarli nel diritto alla salute, perché guarendoli/curandoli si guarisce una società ferita, il che conduce alla costruzione di un mondo di pace (by healing migrants we are healing a wounded civilization, and that this kind of intervention will ultimately lead to world peace), è quanto si prefiggono i realizzatori del Forum dal Global Forum con la collaborazione della Università Cattolica Sacro Cuore, Rielo Institute for Integral Development e l’Agenzia di Richerche e Legislazione e i loro partecipanti convenuti a discutere sul tema Healing Migrants to Heal the World, forthcoming scenarios for peacebuilding.
Un approccio multidisciplinare che comporta la presentazione del fenomeno migratorio alla luce di diversi aspetti, arricchita da una serie di proposte e di esperienze da integrare in un panorama di interventi da effettuare sulle varie questioni che vengono messe in evidenza. Tra i punti chiave emergono il problema della migrazione abbinata alla salute, alla demografia, alle sofferenze post traumatiche, alle famiglie, al ruolo attuale e futuro dei medici che si occupano di Medicina delle migrazione, al piano di integrazione nella società, insieme al ruolo del Global Forum nell’Agenda mondiale, all’illustrazione di esempi di politiche adottate nel campo delle migrazioni sulla salute come in Ecuador.
Tra i diversi interventi – riportati nelle diverse note dell’agenzia Sir dedicate al Seminario internazionale (www.agensir.it) – che si sono succeduti è emerso il problema della salute mentale non solo negli adulti ma anche nei bambini. Il presidente del Global Forum Luigi Janiri, psichiatra, ha mostrato da alcuni studi di ricerca che incidono maggiormente, a differenza di quanto si possa pensare, sulla salute «le frustrazioni del momento attuale» rispetto alla memoria di esperienze traumatiche del passato. Occorre più di cinque anni ad un rifugiato a stabilizzarsi in un Paese. In questa tipologia di migrato più degli altri si manifestano atteggiamenti psicotici con un’incidenza dello 0,7 in Italia rispetto a un 11,8% in Germania. Una “cultura di provenienza” dovrebbe accompagnarli per riuscire a migliorare la loro fragilità. Anche i bambini, a prescindere dall’essere accompagnati dai genitori, possono sviluppare ansietà, depressione e stress post-traumatico.
Alla sofferenza che il dramma della migrazione porta con sé, soprattutto nei bambini, padre Jesus Fernandez Hernandez, presidente della Fondazione studi e ricerche Idente risponde ribadendo che «la loro (dei migrati) tutela è dunque una questione di giustizia sociale, da garantire ad ogni costo e al di là di ogni frontiera» e ogni sforzo è da farsi per una concreta integrazione e per il rispetto della loro cultura di provenienza.
Salvatore Geraci direttore dell’area sanitaria della Caritas di Roma ha ripercorso alcune tappe dell’operato civile ed ecclesiale di assistenza ai migranti in passato quando agli inizi il sistema sanitario nazionale non vi provvedeva ancora, arrivando all’oggi con l’esigenza di «un’accoglienza protetta per chi viene dimesso dalle strutture di cura e rischia di finire per strada», sottolineando il ruolo notevole del volontariato.
Ha posto l’accento sulla famiglia nell’accoglienza del fenomeno migratorio Monsignor Andrea Manto, direttore della Pastorale della Famiglia – Cei di Roma, quale «luogo primario del welfare e dell’ospitalità» confidando in un procedere con umiltà e saggezza dinanzi alle diverse questioni all’interno di una rete condivisa da persone da cui proseguire con una cura attenta all’ascolto delle loro storie. Perché alcune «buone pratiche concrete possono essere gli strumenti formativi per chi accoglie e di quelli di formazione al lavoro per i migranti».
Del problema di poter garantire aiuti medico-assistenziali anche a quelle persone che si spostano da un Paese all’altro dell’Africa, senza documenti, che fanno sparire, in quanto provenienti da uno Stato in guerra è stato evidenziato da Ranieri Guerra, direttore generale dell’Oms. La tutela della salute andrebbe recepito in ogni Stato. La disomogeneità fra i Paesi impedisce la realizzazione prefissata degli impegni dell’Oms. Per il quinquennio venturo l’Oms ha in programma «misure per individui ad alta vulnerabilità, come le vittime della tratta anche nel Mediterraneo, con alcune priorità: riduzione della mortalità, cure continuative, di qualità e gratuite a chiunque passi i confini, sistema informativo e contrasto alle xenofobia». E perché i costi non siano a carico di sole alcune regioni si dovrebbe pensare ad una migliore distribuzione dei migranti sul territorio italiano.
Perché è importante tutelare la salute dei rifugiati e migranti è il primo punto spiegato nel decalogo dell’Oms (21 gennaio 2019, www.who.it) che riassume il recente Report dell’Oms Europa (2019) sul loro stato di salute presentando alcune sfide, criticità, distinguo sulle presenze tra percezione e informazioni statistiche, opportunità: contribuiscono attivamente allo sviluppo sia della società che li accoglie sia dei loro paesi nativi; provvedere allo stesso tempo loro accesso ai servizi sanitari di qualità è il miglior modo di salvare vite e tagliare i costi di cura, come pure proteggere la salute dei cittadini residenti». Il rischio di incorrere in problemi di salute è legato agli spostamenti da un paese all’altro ( pericolosità del viaggio, detenzione, violenza) o nei paesi in cui sono accolti a causa di povere condizioni di vita o nell’adattarsi a nuovi stili di vita (non conoscenza della cultura, del sistema sanitario, condizioni lavorative precarie).
Uno studio effettuato in tre paesi d’Europa ha rivelato che un risparmio di circa del 9% si potrebbe ottenere se tutti i migranti in situazione di irregolarità usufruissero in modo regolare della prevenzione, in paragone con i costi associati ad alcun accesso all’assistenza sanitaria (77,81).
Tassi di vaccinazione efficaci in una popolazione prevengono l’insorgenza di malattie prevenibili con i vaccini. Ma il diminuire dei tassi di immunità vaccinale nei paesi di origine e delle barriere di accesso ai servizi o del completamento del piano di vaccinazione dovuto alla mobilità comportano una minore copertura vaccinale che è tra le cause più comuni osservate tra i rifugiati e i migranti in Europa. Mancanza di informazione sul loro stato di immunità vaccinale, ritardi nell’adottare programmi di salute preventivi specifici possono determinare malattie infettive prevenibili con vaccini e altre patologie. Si riporta l’esempio della tubercolosi. Nel 2017 dai paesi d’Europa emerge che il 40.2% di persone non native europee erano a rischio di povertà ed esclusione sociale contro il 21.7% di quelle native; dati che possono far emergere come migranti e rifugiati sperimentino un carico diseguale riguardo alla Tb in molti paesi della regione Europea dell’Oms. E in Europa la TB multi resistente ai farmaci (MDR_TB) prevale in gran parte tra rifugiati e migranti rispetto alle popolazioni che li ospitano. Inoltre la loro vulnerabilità dovuta ad un ciclo di vaccinazioni interrotte o incompleto durante gli spostamenti e nei paesi di destinazione comporta anche una sfida sanitaria per le popolazioni nei paesi ospiti non vaccinate o con un’immunità inferiore. Bisogna anche tenere presente che fattori come barriere economiche, culturali, lingua, e uno stato giuridico incerto possono incidere sulla loro vulnerabilità a malattie prevenibili con i vaccini. La difterite desta preoccupazione quando provengono da paesi in cui è endemica e vengono con probabilità esposti a fattori di rischio come il sovraffollamento o la scarsa igiene durante gli spostamenti o all’arrivo. Nel periodo tra il 2009 e il 2014 sono stati riportati 142 casi di difterite tra i rifugiati e i richiedenti asilo giunti di recente in 12 Paesi (Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Lavtia, Lituania, i Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia e il Regno Unito), la cui provenienza originaria forse erano Afganistan, Angola, Cambogia, Camerun, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Gambia, Indi, Kenia, Madagaskar, Mozambico, Pakistan, Filippine, Sierra Leone, Sri Lanka, Thailandia e Togo.
Si osserva, nell’ambito della maternità, esiti di gravidanze più povere in salute rispetto alle donne non migranti. Crescono anche eventi perinatali e prenatali come gli aborti volontari, tagli cesarei, complicanze durante il parto. Oltre ai problemi di salute fisica molte donne soffrono di salute mentale durante o dopo la gravidanza, per lo più depressione post-partum. Da uno studio si rileva che in Portogallo tale rischio di depressione è 6 volte maggiore nelle madri migranti di quelle non. Tra i fattori della salute mentale o della depressione in Europa tra i migranti donne si considerano l’isolamento sociale, la mancanza di sostegno sociale/emotivo, la barriera linguistica, problemi familiari/con il coniuge, conflitti culturali, l’essere una madre single, o una depressione precedente o ancora l’affettività per essere lontana dal proprio partner.