Bioetica deliberativa, come discutere di questioni etiche in modo formativo
1 aprile 2014
È moralmente ammissibile interrompere una gravidanza? Si possono usare gli embrioni umani? È più giustificabile usarli per l’impianto oppure per la ricerca? Quali sono i criteri più giusti per ricevere un organo o un bene sanitario disponibile in numero minore rispetto ai richiedenti? Sono solo alcune delle domande che possiamo farci in ambito bioetico. A queste domande si può rispondere seduti sul nostro divano, in ambito istituzionale oppure in un dibattito pubblico. Se nel primo caso potremmo permetterci di rispondere in modo distratto e contraddittorio, nel secondo e terzo dovremmo invece rispettare alcune regole. Queste regole dovrebbero essere particolarmente rigide nel caso in cui si scriva una legge coercitiva che finirà per schiacciare le nostre preferenze su un divieto o un limite.
“Bioeticadeliberativa” è un forum nato «per la partecipazione alle scelte pubbliche che riguardano le questioni etiche poste dalla medicina e dalla biologia», promosso da IEO (Istituto Europeo di Oncologia), SEMM (Scuola Europea di Medicina Molecolare), IRCCS Ospedale San Raffaele e Università degli Studi di Milano.
Per partecipare al forum – proprio come dovrebbe valere per partecipare a una vera discussione su qualsiasi argomento – è necessario iscriversi e rispettare tre requisiti: informarsi, argomentare, discutere.
Questo esperimento di deliberazione pubblica è stato presentato lo scorso 26 marzo a Milano. Il primo progetto pilota riguarderà la commercializzazione dei test genetici: sempre più diffusi, sempre meno costosi, difficili da interpretare correttamente per i consumatori privi di strumenti.
Le regole stabilite per la prima consultazione pilota sono, naturalmente, regole che valgono per qualsiasi altra consultazione. Così come gli errori da evitare. Uno dei più comuni consiste nel confondere il diritto di parlare – cioè di esprimere un’opinione in senso forte – con quello di parlare a vanvera. Un errore che a volte prende la forma della par condicio: parla prima chi è a favore di qualcosa e poi chi è contro, come in una riunione di condominio o in un’assemblea di quartiere. Il modello “a favore e contro” trascura l’importanza delle ragioni per le quali abbiamo una posizione e il fatto che non tutti i punti di vista hanno la stessa dignità, soprattutto in ambito scientifico.
Tra gli esempi recenti di questa insensatezza spicca la bocciatura del primo comitato scientifico nominato per valutare il cosiddetto “metodo Stamina”. I componenti si erano già espressi “contro” e, ancora più bizzarro, il prossimo comitato deve essere composto bilanciando chi ha condannato Stamina e chi l’ha difesa. È come se in un dibattito astronomico invitassimo anche un fautore del geocentrismo, o in uno sull’evoluzione un sostenitore del creazionismo (il secondo caso non è affatto inverosimile).
Un altro malinteso diffuso riguarda la tendenza a trasformare i nostri pregiudizi morali in posizioni morali, condannandoci così all’impossibilità di discutere e di analizzare le questioni. In un confronto di pregiudizi i mezzi per giudicare la “posizione” migliore non potranno che essere l’ostinazione, il tono di voce più alto o il non avere altro da fare nel corso del pomeriggio.
Il processo di deliberazione non intende fornire soluzioni preconfezionate ma offrire gli strumenti per arrivarci. È un metodo e non un decalogo da seguire passivamente. Una volta che hai acquisito le infomazioni su X e hai imparato le regole del gioco, puoi procedere. Se non hai voglia di faticare, forse è meglio che lasci perdere.
Sarebbe auspicabile che il rispetto del requisito “so di cosa si parla” fosse una condizione necessaria per i politici e per i media. A rivedere quanto è accaduto con il caso già citato di Stamina, con l’allarmismo sui vaccini, con legge 40 o la discussione sulle direttive anticipate di trattamento si può immaginare che almeno una parte di detriti irrazionali sarebbero potuti rimanere incastrati nella rete deliberativa.
L’abitudine di esprimere un “parere” o peggio un testo coercitivo (legge, ordinanza, sentenza) ignorando o conoscendo in modo insoddisfacente l’argomento sul quale si risponde è talmente diffusa da portarsi dietro una specie di orgoglio da “non esperto” – in un contesto in cui l’esperto è spesso percepito come intrinsecamente ostile, pagato da un non ben identificato nemico, da contrastare in nome della non specializzazione e di una semplificazione brutale. Il biologico, il naturale, il chilometro zero, le scie chimiche sono alcune delle parole d’ordine. La scienza e la medicina ufficiale sono invece presentate come simulacri da distruggere, capri espiatori da sacrificare in nome di una rivendicazione disordinata e scomposta. La “libertà di cura” o il “diritto alla speranza” dei fautori di Stamina, gli “accertamenti” da parte delle procure del nesso tra vaccini e autismo, le “cure alternative” sono tutte risposte a domande poste male.
Chiara Lalli
(Fonte: «Wired»)
(Approfondimenti: http://bioeticadeliberativa.scienzainrete.it/login/index.php)
Farmaci online, bloccati due siti illegali. Aifa: manca ancora un quadro Ue
2 aprile 2014
Bisogna ridurre la domanda e aumentare la consapevolezza dell’illegalità e dei rischi insiti nel gesto di acquistare farmaci online dal momento che, pur essendo stata recepita la direttiva europea sulla vendita via internet, non esiste ancora la definizione comunitaria del quadro normativo né il logo comune per identificare le farmacie online legali. È quanto spiega a «Farmacista33» Domenico Di Giorgio, direttore dell’Unità prevenzione contraffazione dell’Agenzia italiana del farmaco, a pochi giorni da un nuovo caso di chiusura di due siti, Vsmedic ed Ellaone, che vendevano, rispettivamente e prevalentemente, farmaci per disfunzione erettile e per la contraccezione di emergenza.
«Il primo è una vera e propria farmacia illegale, inserito in quella che tempo fa abbiamo definito categoria rogue» spiega Di Giorgio «del tutto fuori dalla normativa e operante attraverso canali fuori dal controllo amministrativo. Il dominio.it è stato oscurato, ma come spesso accade, è già riemerso con il .info. L’altro è una farmacia cosiddetta non approvata, cioè legale ma che non può spedire all’estero. Ha sede in Gran Bretagna e ne è titolare sempre la società Hexpress, già sanzionata dall’Antitrust nei mesi scorsi per il sito 121doc. Purtroppo» prosegue «finché non ci sarà una definizione del quadro comunitario ci saranno questi disallineamenti. L’Italia si è dotata già da tempo di strumenti per tutelarsi e nel recente recepimento della direttiva Ue è stato confermato il Tavolo di lavoro istituito nel 2012 in una Conferenza dei Servizi istruttoria cui partecipano anche Aifa, Nas, Antitrust, ministero della Salute e dello Sviluppo Economico e a cui compete l’esame e la valutazione dei casi di illegalità segnalati e l’avvio della procedura più opportuna».
Secondo Di Giorgio, tuttavia, «bisogna intervenire sull’utenza per ridurre la domanda, altrimenti questi siti continueranno a proliferare». A conferma della portata della domanda, un recente dato diffuso dalla Federazione dei medici di medicina generale, indica che l’80% dei Mg ha almeno 5 assistiti che hanno usato farmaci senza prescrizione medica spesso acquistati sul web, e due medici su tre hanno almeno un paziente che ha riferito problemi a seguito dell’utilizzo di prodotti poco sicuri acquistati online: «Un dato allarmante ma credibile e in linea con quanto rilevato finora. Non a caso nel recepimento c’è un elemento di sviluppo della comunicazione ad associazioni di pazienti e consumatori e che a breve vedrà coinvolti in modo organico anche i farmacisti, anello fondamentale per aumentare la consapevolezza dell’illegalità ma soprattutto per il trasferimento di un messaggio di rischio per la salute spesso sottovalutato dal cittadino».
Simona Zazzetta
(Fonte: «Farmacista 33»)
No dei medici cattolici al codice etico soft
2 aprile 2014
Ci sono sfide ed esigenze della modernità davanti alle quali è diventato imprescindibile dotarsi di nuovi strumenti. E finché si tratta di tecnologie, o di conoscenza delle lingue, la pretesa fila. Il discorso cambia quando si parla di deontologia medica. Categorie come “vita”, “coscienza”, “obbligo di cura” non sembrerebbero essere superate.
Qualche dubbio, invece, potrebbe insorgere leggendo la bozza del nuovo Codice dei medici, che il prossimo maggio verrà approvato dalla Federazione nazionale che li riunisce (la Fnomceo). Il dibattito sulla questione è acceso, per non dire infuocato, ormai da diversi mesi. Sul tavolo, una lunga serie di cambiamenti rispetto al testo del 2006 che sono ancora in discussione e che hanno sollevato molte critiche. A cominciare dall’Associazione dei medici cattolici e dalla Società italiana per la bioetica e i comitati etici, che in questi giorni hanno inviato al presidente della Fnomceo, Amedeo Bianco, una memoria scritta in proposito. E che il 5 aprile verranno ricevuti a Torino proprio dalla Federazione per un confronto aperto sul testo. Come dire, le speranze non sono perdute.
Ma quali sono i punti più controversi della bozza del nuovo Codice deontologico dei medici? L’Amci li ha messi a fuoco in un efficace e inquietante elenco. Si entra subito nel vivo, all’articolo 1, con la apparente rottamazione del giuramento di Ippocrate. Se nel codice del 2006 si legge che «il medico deve prestare giuramento professionale», ora invece «l’iscrizione all’Albo vincola il medico ai principi del giuramento professionale e al rispetto delle norme del presente codice di deontologia medica». Dalla Fnomceo hanno sottolineato a più riprese che il giuramento resterà e che l’intenzione era quella di spostare l’attenzione sul rispetto dei principi oggetto del giuramento stesso. Eppure la nuova e in qualche modo “leggera” etica della sanità sembra essere la cifra di tutta la bozza del Codice. Da cui scompare, per dirne una, la parola «deve» (il medico ora «presta soccorso», «si pone», «tiene conto», «informa») e in cui il «paziente» viene sostituito dalla più “rispettosa” dicitura – sempre secondo la Fnomceo – «persona assistita».
Niente a che vedere con le leggerezze ben più allarmanti degli articoli “caldi” del testo. L’articolo 17 nel Codice del 2006 era intitolato «Eutanasia», nella nuova bozza è stato sostituito da una formula che pare un brutto eufemismo: «Trattamenti finalizzati a provocare la morte»; nel lungo articolo 44 sulla fecondazione assistita scompare la parola «coppia» (solo un accenno nell’ultima riga) e di conseguenza anche l’esplicitazione del divieto di accesso alla provetta «al di fuori di coppie eterosessuali stabili» (stabilito chiaramente nel testo del 2006), ma anche il divieto di utero in affitto e di fecondazione assistita post mortem (un po’ come se la legge 40, che tutte queste pratiche vieta, non esistesse più).
E ancora il punto nevralgico che tanto ha contrariato l’Amci: l’obiezione di coscienza. Già il cambio di titolazione dell’articolo che la riguarda, il 22, è tutto un programma: da «Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica» si vorrebbe passare al decisamente tendenzioso «Rifiuto di prestazione professionale». Se poi secondo il Codice del 2006 il medico «può rifiutare la propria opera» nel caso in cui siano «richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico», d’ora in poi il rifiuto potrebbe essere consentito solo per «contrasto con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici». Termini che non sono certo sinonimi.
A fronte di tante sfumature ecco invece comparire nella bozza attenzioni nuove e particolareggiate. Quelle indispensabili alla medicina militare, alla medicina potenziativa e alle nuove tecnologie, che hanno arricchito il panorama della sanità e che certo meritano più attenzione. E poi quelle meno indispensabili al gender (all’articolo 3 viene introdotto il «rispetto della libertà e della dignità della persona senza distinzioni alcune di età, sesso e di identità genere») e addirittura alle dichiarazioni anticipate di trattamento, le famose «Dat» in merito al fine vita su cui il Parlamento non ha ancora legiferato e che tuttavia all’articolo 38 vanno «tenute in conto dal medico»: un dovere che sembrerebbe a dir poco profetico.
Nella memoria scritta inviata alla Fnomceo dall’Amci ai punti appena messi in evidenza vengono proposte diciture alternative. L’obiettivo è quello di sottrarre il Codice deontologico «a qualsiasi influenza ideologica – spiega il presidente Filippo Boscia – e di vincolarlo saldamente a un nuovo umanesimo della professione medica, per cui al centro del sistema sanitario c’è l’uomo che soffre e il principio della difesa della vita». Se ci fosse il bisogno di ricordarlo.
I PUNTI CRITICI DEL NUOVO CODICE DEI MEDICI
Eutanasia – Chiamiamola «trattamento» – L’articolo 17 del Codice deontologico dei medici attualmente in vigore (e approvato nel 2006) è dedicato all’eutanasia. La parola compare nel titolo. Nella bozza del nuovo Codice viene sostituita dalla formula «Trattamenti finalizzati a provocare la morte». All’articolo 38 poi si parla di dichiarazioni anticipate di trattamento: il Parlamento non le ha ancora approvate ma nel nuovo Codice il medico «ne tiene conto».
Provetta – La legge 40 non esiste – All’articolo 44, dove si parla di fecondazione assistita, nel Codice del 2006 si precisa: «Alla coppia vanno prospettate tutte le opportune soluzioni…». Nella bozza della Fnomceo sparisce il termine «coppia»: «Il medico prospetta le opportune soluzioni…». Scomparsi anche i divieti previsti dalla legge 40 riguardo a «procreazione al di fuori di coppie eterosessuali stabili», «maternità surrogata», «pratiche su donne in menopausa non precoce», «fecondazione dopo la morte del partner».
Obiezione – Via il termine «coscienza» – Cambia l’articolo 22: il titolo «Autonomia e responsabilità diagnostico-terapeutica» diventa «Rifiuto di prestazione professionale». E se fino ad ora il medico «può rifiutare la propria opera» nel caso in cui siano «richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico», nel caso in cui il nuovo codice deontologico fosse approvato il rifiuto potrebbe essere consentito solo per «contrasto con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici».
Gender – Sesso e razza non bastano – Anche il gender entra nella bozza del nuovo Codice deontologico dei medici. All’articolo 3 viene introdotto il «rispetto della libertà e della dignità della persona senza distinzione alcuna, di età, sesso e di identità di genere» (attualmente la precisazione non compare).
Viviana Daloiso
(Fonte: «Avvenire»)
Stamina, a Brescia sospesi i trattamenti
3 aprile 2014
Dai medici degli Spedali Civili di Brescia arriva uno stop alle infusioni di cellule staminali preparate secondo il metodo Stamina. «Ieri sera ho ricevuto una lettera da parte dei medici che a Brescia somministrano il trattamento Stamina: mi annunciano che hanno deciso di sospendere la loro collaborazione fino a data da destinarsi», in attesa che si esprima il nuovo Comitato di esperti nominato dal Ministero della Salute. Lo ha annunciato Ezio Belleri, commissario straordinario dell’azienda ospedaliera bresciana, il 3 aprile in Commissione Sanità del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla vicenda Stamina.
Belleri si è detto «molto preoccupato dalla decisione dei clinici, rispetto alla quale i pazienti ancora in trattamento e quelli in lista d’attesa daranno battaglia. «Capisco – ha aggiunto – questa decisione perché la situazione è molto difficile, ma non so dove questa stessa decisione ci porterà, perché in questi anni non siamo mai riusciti a far comprendere ai malati e ai loro familiari la nostra posizione, che non è quella di voler impedire il trattamento o di non voler rispondere alle loro esigenze ma solo quella di operare nella legalità».
Nella lettera i clinici spiegano che la loro decisione è «doverosa» dopo aver appreso che «il ministero della Salute ha firmato il decreto per la nomina del nuovo Comitato Scientifico», del quale, appunto, i medici degli Spedali Civili di Brescia attenderanno il parere. Belleri ha inoltre precisato che i trattamenti risultano a questo punto interrotti anche per l’assenza, «per motivi personali e probabilmente per tutto il mese prossimo», della biologa di Stamina che opera presso i laboratori della struttura sanitaria.
Dura presa di posizione da parte di Davide Vannoni, fondatore di Stamina Foundation: «I pazienti in cura a Brescia con il metodo Stamina hanno tutto il diritto di proseguire le terapie, lo hanno stabilito 180 sentenze della magistratura. Credo – ha commentato – che lo stop alle terapie deciso agli Spedali Civili non conti niente, i malati andranno lì con i Carabinieri per far rispettare la legge». Sono già 14 i malati che sono morti mentre aspettavano di poter accedere alle cure , denuncia Vannoni, che parla di «omicidi di Stato. Un ultimo paziente è morto ieri, di Sla, e aspettava anche lui di poter curarsi, di poter usufruire un diritto che un tribunale gli aveva riconosciuto».
In campo anche Marino Andolina, vicepresidente di Stamina Foundation: «Lo stop alle infusioni di cellule staminali a Brescia? Viola la legge. Ma, a quanto pare, in Italia della legge non importa a nessuno. Le infusioni – spiega – sono ordinate da giudici civili. Secondo la legge, se il giudice stabilisce che si deve fare qualcosa, bisogna farla. Non capisco come si possa violare la legge». Per Andolina lo stop «è terribile, perché le conseguenze sono la morte dei pazienti». Inoltre, secondo il medico, non ha senso riferirsi al Comitato scientifico, visto che i medici hanno deciso di sospendere in attesa della pronuncia del nuovo comitato. «Cosa c’entra? A Brescia non si fa la sperimentazione, di cui si occupa il Comitato, ma terapie compassionevoli. Sono due questioni regolamentate da due leggi diverse: una regolamenta le cure compassionevoli, l’altra la sperimentazione. Con lo stop alle infusioni si configura un reato molto grave».
La scienziata-senatrice a vita Elena Cattaneo, rivolgendosi oggi a Ezio Belleri in Commissione Sanità del Senato ha parlato di «comportamenti che hanno creato falle spaventose». Nel commentare il carteggio tra l’azienda ospedaliera lombarda e le istituzioni, che alla fine ha portato all’ingresso del metodo Stamina ai Civili, Cattaneo parla di «lettere con grossi omissis», e di «autocertificazioni falsate, che non certificano niente, fornite all’Agenzia italiana del farmaco» in merito ai requisiti previsti dal decreto Turco-Fazio sulle cure compassionevoli. Cattaneo ha definito la vicenda Stamina «il più ciclopico deragliamento che la storia della medicina abbia vissuto». «Com’è stato possibile – chiede la senatrice a Belleri – che a un ente privato che non è nemmeno una onlus», fondato da «un professore di lettere», sia stato «dato in utilizzo parte di un laboratorio pubblico per consentire la manipolazione segreta di materiale biologico da inoculare ai pazienti?». La scienziata, promotrice dell’indagine conoscitiva, fa notare che «da Brescia non ho sentito una sola voce se non verso maggio, quando qualcuno ha preso in mano la bandiera» e ha iniziato a “frenare” sul metodo Stamina.
Sullo stop dei trattamenti interviene anche Giampaolo Carrer, il papà della piccola Celeste in cura a Brescia con il metodo Stamina: «È una vergogna rifiutare l’unica speranza di cura a mia figlia e a chi come lei sta combattendo contro una malattia per cui non esistono altre speranze. Non è possibile che in Italia si possa andare contro le leggi e le sentenze dei giudici». «A mia figlia – racconta – spettava un’infusione a febbraio, poi rimandata. Il giudice ha stabilito che l’infusione dovrà avvenire entro il mese di aprile. E ora che ci siamo quasi, i medici dicono di voler bloccare la somministrazione del trattamento. Come è possibile che lo stesso ospedale che ha accertato i miglioramenti su mia figlia, a seguito delle infusioni con il metodo Stamina, ora si rifiuta di continuare il trattamento? È una cosa inaudita. Lo Stato – conclude – non può permetterlo. Io ho il diritto di assicurare a mia figlia di accedere all’unica cura possibile contro la sua malattia. La stessa cura che oggi le permette di uscire di casa con la mamma e che ha riacceso la speranza nei suoi dolcissimi occhi».
(Fonte: «La Stampa»)
Illegalità e corruzione in sanità bruciano 6 mld l’anno. Il focus Agenas
3 aprile 2014
“Trasparenza, legalità ed etica nel Servizio sanitario” è il tema a cui è dedicato l’ultimo numero di «Monitor», la rivista trimestrale dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali, uscito a marzo 2014 e scaricabile dal 3 aprile dal nuovo sito Agenas. La scelta di dedicare il dossier Focus on di Monitor alla trasparenza, alla legalità e alla prevenzione della corruzione nasce dalla considerazione che la sanità è un servizio naturalmente esposto a fenomeni corruttivi, poiché rappresenta uno dei settori più rilevanti in termini di spesa pubblica, oltre 110 miliardi di euro.
Si stima che illegalità, frodi e corruzione abbiano bruciato il 5-6% delle risorse, quindi circa 6 miliardi di euro.
«Ma al di là delle cifre stimate – sottolinea l’ex presidente Giovanni Bissoni nell’editoriale – il fenomeno è in grado di incidere pesantemente, per le sue dimensioni, sia sull’efficienza, sulla qualità, sulla sicurezza, sull’equità di accesso ai servizi, sia, su un altro piano, sulla fiducia dei cittadini, e la fiducia dei cittadini è un bene essenziale di qualunque servizio pubblico».
Nel Monitor n. 35 viene illustrato in particolare il Piano nazionale anticorruzione e prese in esame le indicazioni per le Aziende sanitarie, rispetto all’applicazione della Legge 190 del 2012 sulla Prevenzione della corruzione e al decreto legislativo 33/2013 sulla Trasparenza nella Pubblica Amministrazione. Sempre sul tema, il Ministro Beatrice Lorenzin, in un’intervista, risponde in merito alle strategie del Ministero per il contrasto all’illegalità. Vengono pubblicati, inoltre, i dati relativi al monitoraggio dei siti web delle Aziende, forniti da Libera e Gruppo Abele, nel quadro delle azioni messe in atto dalle Aziende sanitarie per attuare la normativa.
Il ruolo di Agenas rispetto ai principi sanciti dalla legge per la prevenzione della corruzione e dal decreto sulla trasparenza, viene esposto nell’articolo dell’ex direttore generale Fulvio Moirano.
In particolare vengono proposti i diversi progetti, a livello nazionale, regionale e aziendale, finalizzati a garantire, con il supporto tecnico scientifico dell’Agenzia, equità ed etica nel Ssn.
È pubblicata, infine, la lettura magistrale del teologo Vito Mancuso «Debolezza e forza del sentire etico» che conclude le sue riflessioni sulla differenza tra moralità e immoralità nel governo della cosa pubblica affermando che «il legame tra etica e medicina non è solo qualcosa che garantisce una migliore gestione delle risorse economiche, ma, ben più in profondità, è la via per eccellenza della cura dell’essere umano in tutte le sue dimensioni».
Di particolare interesse, nella rubrica Agenas on line, una prima presentazione del progetto “Matrice”, il nuovo strumento di governance clinica in merito ai percorsi di cura delle patologie croniche, nato dalla necessità di offrire una risposta più adeguata a un bisogno di salute che ha portato allo spostamento del baricentro del Servizio sanitario nazionale dall’ospedale al territorio. Lo studio, condotto da Agenas, rappresenta una prosecuzione del Programma “Mattoni del Servizio sanitario nazionale” e ha visto la partecipazione, oltre a un ampio board scientifico, di sei Regioni volontarie. Il progetto ha seguito gli indirizzi di uno steering committee, formato da autorevoli rappresentanti del mondo scientifico e istituzionale, ed è stato approvato dalla cabina di regia del nuovo sistema informativo sanitario del Ministero della salute.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
(Approfondimenti: http://www.agenas.it/monitor35)
Commercio di virus: intrigo internazionale o polverone?
4 aprile 2014
Virus dell’aviaria spediti per posta in plichi anonimi. Traffici di denari illeciti, rischi enormi per la salute pubblica. L’«Espresso» lancia l’allarme frugando nelle carte di un’inchiesta in corso dei NAS e della Procura di Roma, che coinvolge Ilaria Capua, biologa di fama internazionale, pluripremiata, promotrice della iniziativa di condividere i genomi virali dell’influenza, in modo da rendere più efficace la riposta della sanità mondiale contro le minacce di pandemia. Surreale il quadro che emerge invece dall’anticipazione del 4 aprile dell’inchiesta romana, dove parrebbe che la virologa, insieme al marito e ad altri 38 commerciasse in virus bypassando le norme di sicurezza per interessi economici personali.
Ma la realtà qual è? A giudicare da ciò che è peraltro già di pubblico dominio, risulta che tra il 1999 ed il 2004 (epoca su cui si focalizza l’indagine raccontata dall’«Espresso» e anticipata il 4 aprile) il Nord Italia è stato colpito da epidemie successive di influenza aviaria nel pollame. Quindi non di H5N1, come sembra emergere dall’inchiesta, e non di virus di aviaria potenzialmente trasmissibili all’uomo. I virus in questione, in realtà (soprattutto della famiglia H7) hanno avuto effetti devastanti solo sul patrimonio avicolo nazionale, e non poteva essere diversamente. Per far fronte a queste epidemie l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (che è il laboratorio di referenza nazionale per questa malattia e per i suoi compiti istituzionali si occupa della diagnosi della malattia) ha sviluppato una strategia di vaccinazione che è stata autorizzata dal Ministero della Salute e dalla Commissione Europea.
La vaccinazione ha portato all’eradicazione dell’infezione, laddove l’alternativa alla vaccinazione sarebbe stata l’abbattimento di milioni di animali. I vaccini sono stati sviluppati con ceppi virali isolati dall’Istituto di Padova e forniti, secondo la prassi regolamentata in maniera ufficiale, alle aziende farmaceutiche. Tutta la documentazione sulla fornitura di questi ceppi virali – dichiarano a Padova – è conservata presso l’Istituto zooprofilattico. E i corrispettivi per la fornitura dei ceppi sono stati versati all’Istituto e la Capua non ha mai percepito alcun compenso per aver isolato e caratterizzato i ceppi virali in quanto loro proprietà è dell’Istituto e questa attività rientra nei compiti istituzionali.
Ma siamo solo all’inizio dello scandalo, o del polverone. E la Capua probabilmente ora si chiede: chi ha voluto attaccarmi? E per quale motivo?
Luca Carra
(Fonte: «Scienza in Rete»)
(Approfondimenti: http://www.scienzainrete.it/documenti/rs/business-segreto-della-vendita-di-virus-che-coinvolge-aziende-e-trafficanti/aprile-2014)
Trapianti. A Settimo Torinese attiva la dichiarazione di volontà all’anagrafe
4 aprile 2014
Cresce la lista dei Comuni italiani dove è possibile registrare la propria espressione di volontà sulla donazione di organi e tessuti. Dopo i Comuni dell’Umbria e Cesena, arriva anche per i cittadini di Settimo Torinese la possibilità di manifestare la propria volontà sulla donazione in occasione del rinnovo della carta di identità. Una modalità che, ribadisce il Centro nazionale trapianti, “consente di raggiungere in modo progressivo tutti i cittadini, invitandoli a esprimersi in modo consapevole”.
Al 27 marzo erano già 10 i consensi registrati all’ufficio anagrafe del Comune piemontese e confluiti nel Sistema Informativo Trapianti. Il Comune alle porte di Torino è il primo ad aver attivato questa nuova modalità di registrazione della dichiarazione di volontà nel Piemonte e in tutto il nord Italia.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
Certificati anti-pedofilia «solo per nuovi assunti»
5 aprile 2014
Niente certificato anti-pedofilia per colf e baby sitter e nemmeno per i bidelli, come per le altre categorie di dipendenti che svolgono un lavoro a diretto contatto con i minori ma che sono già sotto contratto; possibilità di procedere all’assunzione, in attesa dell’attestato del casellario giudiziale, con un’autocertificazione del lavoratore, che dichiari di non aver avuto condanne per reati contro bambini e ragazzi; e nessun controllo a tappeto nella prima fase di attuazione della nuova normativa.
Fonti del ministero della Giustizia sciolgono gli ultimi dubbi sull’applicazione dell’obbligo che scatta da lunedì 7 aprile in adempimento di una direttiva dell’Unione europea e parlano di un allarmismo intorno a questa vicenda “che non ha ragion d’essere”; anche perché i principali nodi erano stati chiariti già dalle circolari pubblicate giovedì 3 aprile sul sito di via Arenula, dove è scaricabile anche il modulo con cui chiedere alla Procura competente il rilascio del certificato.
OBBLIGO SOLO PER NUOVI CONTRATTI, NON PER QUELLI IN CORSO – Il decreto legislativo 30 del 2014 che dà attuazione alla direttiva Ue contro l’abuso e lo sfruttamento sessuale dei minori e la pornografia minorile non lascia spazio a dubbi: il datore di lavoro ha l’obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale della persona da impiegare “prima di stipulare il contratto di lavoro e quindi prima dell’assunzione”. Una norma che spazza via il timore di un caos nelle scuole fondato sul dubbio che il nuovo adempimento fosse retroattivo e dunque applicabile anche a bidelli e professori già assunti.
FUORI DA NUOVE NORME VOLONTARI, BABYSITTER E COLF – Le nuove disposizioni “valgono solo per l’ipotesi in cui si abbia l’instaurazione di un rapporto di lavoro”; l’obbligo di richiedere il certificato non grava “su enti e associazioni di volontariato, pur quando intendano avvalersi dell’opera di volontari”, specifica la circolare di via Arenula. Nessun problema dunque per catechisti e volontari che operano presso associazioni di vario tipo, comprese le società sportive. Niente obbligo di chiedere la certificazione nemmeno per il datore di lavoro domestico, dunque per chi assume donne per le pulizie e babysitter, spiegano dal ministero: trattandosi di un rapporto fiduciario sarà lui a decidere come regolarsi.
NESSUNO STOP A ASSUNZIONI IN ATTESA DI CERTIFICATO – Una volta fatta la richiesta del certificato al Casellario, il datore di lavoro, se è un organo della pubblica amministrazione o gestore di un pubblico servizio, potrà procedere all’impiego del lavoratore “anche soltanto mediante l’acquisizione di una dichiarazione del lavoratore sostitutiva di certificazione” con cui dichiari l’assenza di condanne a suo carico per reati contro minori. Stessa regola nel caso ad assumere sia un privato. Un’applicazione elastica per “evitare che nella prima fase di applicazione della nuova normativa, possano verificarsi inconvenienti organizzativi”, sottolinea la circolare del ministero.
L’OSSERVATORIO GIURIDICO DELLA CEI – Anche le diocesi italiane si sono interrogate sulle nuove norme. “Antipedofilia, obbligo di certificato per chi?”, si chiede la Cei sul sito web che ha dato tramite il suo Osservatorio giuridico le prime indicazioni: i catechisti sarebbero esclusi dalla nuova norma sul certificato del casellario giudiziario. Sono “numerose le diocesi che hanno chiesto un aiuto alla Conferenza Episcopale Italiana per capire come applicare le nuove norme che prevedono l’obbligo di un certificato penale per chi deve lavorare con i minori” si legge sul sito della Cei. L’Osservatorio giuridico-legislativo della Cei ha pubblicato un primo documento dove si rileva che ci sono “alcune incertezze interpretative” che potrebbero comportare “notevoli difficoltà applicative”.
“Decisiva ai fini di un corretto inquadramento pare l’interpretazione dell’espressione impiegare al lavoro. Al riguardo, sembra potersi ritenere che tale espressione escluda – scrivono i tecnici della Cei – dall’ambito di applicazione della norma tutta una serie di rapporti che non possono propriamente qualificarsi come lavorativi e che trovano frequente riscontro nell’ambito degli enti ecclesiastici, quali ad esempio quelli che coinvolgono i soggetti impegnati nelle attività di catechesi ovvero di educazione cristiana e simili”.
“Naturalmente, l’assenza di un obbligo giuridico in senso stretto – sottolinea il documento – non esclude la possibilità/opportunità di richiedere ugualmente anche in tali ipotesi il certificato penale del casellario giudiziario”. Altra questione di rilievo è “se l’obbligo in questione riguardi i soli rapporti costituendi o si estenda anche a quelli già costituiti”. Ma a questo dubbio l’Osservatorio non dà una risposta definitiva perché la norma – scrivono i giuristi – “non è chiara”.
(Fonte: Avvenire)
(Approfondimenti:
http://www.chiesacattolica.it/chiesa_cattolica_italiana/news_e_mediacenter/00055991_antipedofilia__obbligo__di_certificato_per_chi.html)
Lo stop del ministero agli opuscoli Unar
5 aprile 2014
Una circolare del Ministero dell’Istruzione ha bloccato la diffusione nelle classi degli opuscoli “Educare alla diversità a scuola”, realizzati dall’Istituto A. T. Beck su mandato dell’Unar (che li ha pagati 24.200 euro). Lo ha comunicato ufficialmente il 4 aprile il direttore generale del Dipartimento per l’Istruzione del Miur, Giovanna Boda, incontrando il Fonags, il Forum nazionale delle associazioni dei genitori della scuola. Lo stesso dirigente ha anche dato conto di una lettera ufficiale di scuse inviata al Miur dall’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, per aver portato avanti il progetto senza condividerlo con il Ministero, come denunciato tempo fa dal sottosegretario all’Istruzione, Gabriele Toccafondi.
La diffusione degli opuscoli aveva provocato la forte reazione delle associazioni dei genitori, a causa dei contenuti fortemente orientati verso l’ideologia gender e Lgbt (lesbiche gay, bisessuali e transessuali). E non poteva essere altrimenti, visto che, come ha ammesso alla Camera il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Sesa Amici, in risposta a un’interpellanza del deputato di Per l’Italia, Gian Luigi Gigli, la diffusione degli opuscoli si collocava «nell’ambito» delle azioni previste dalla Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, concordata dallo stesso Unar unicamente con 29 associazioni Lgbt e senza il coinvolgimento del Forum nazionale delle associazioni familiari, che pure rappresenta oltre tre milioni di famiglie italiane.
«Siamo soddisfatti del risultato ottenuto ma non ci fermiamo qui», commenta il coordinatore del Fonags, Roberto Gontero, che si prepara ad incontrare il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, il prossimo 23 aprile. «In quell’occasione – aggiunge – chiederemo al ministro di emanare una circolare che renda obbligatorio, per le scuole, ottenere il consenso scritto dei genitori circa la partecipazione dei propri figli a iniziative su temi sensibili come la sessualità, l’omosessualità e la lotta alla discriminazione».
Un incontro «urgente e inderogabile» al ministro Giannini è stato chiesto ieri anche da sei associazioni Lgbt, firmatarie di un durissimo comunicato in cui, tra l’altro, si attaccano il presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco e Avvenire, “colpevoli” di avere evidenziato l’inopportunità di diffondere tra gli studenti (anche delle elementari), testi che – è bene ricordare – definiscono «stereotipo da pubblicità» il modello di famiglia composto da un uomo, una donna e i loro figli. Quello cioè previsto non solo dal diritto naturale, ma anche dalla nostra Costituzione.
Questo incontro non sarà però tra le priorità dell’agenda del ministro. Nelle prossime settimane, confermano da viale Trastevere, il «confronto prioritario sarà innanzitutto con il forum degli studenti e dei genitori», con cui sono già stati fissati appuntamenti, come quello del 23 aprile con il Fonags. «Più avanti», ma non si sa ancora quando, saranno anche ricevuti i rappresentanti Lgbt.
Paolo Ferrario
(Fonte: «Avvenire»)
(Approfondimenti:http://www.avvenire.it/Dossier/La%20questione%20gender/Pagine/default.aspx)
Sanità senza frontiere. Operativa la Direttiva UE. Curarsi all’estero sarà più facile. Le indicazioni del ministero della Salute
6 aprile 2014
Non stiamo ancora parlando di un vero e proprio Servizio sanitario europeo ma certamente dal 5 aprile 2014 (come previsto dal Dlgs di recepimento della direttiva Ue approvato lo scorso 28 febbraio dal Governo) il Servizio sanitario nazionale entrerà a far parte a tutti gli effetti del sistema europeo delle cure. Sarà, quindi, più facile per i cittadini del ‘vecchio continente’ andarsi a curare fuori dal proprio Stato membro di appartenenza e ottenere il rimborso delle spese ottenute.
A poco meno di 3 anni dall’emanazione della direttiva europea 2011/24/UE che elimina gli ostacoli che impediscono ai pazienti di curarsi in altri Paesi UE, formalizzando il diritto di recarsi in uno Stato membro diverso da quello di appartenenza per curarsi ed ottenere, al proprio rientro, il rimborso delle spese sostenute, l’Italia è pronta a partire.
Lo scorso 28 febbraio il Governo ha infatti approvato definitivamente il Dlgs di recepimento della direttiva Ue. Il provvedimento del Governo si basa su tre premesse principali: la possibilità di accedere solo alle cure che sono inserite nei Lea, ad esclusione di deroghe regionali; la possibilità di ricevere solo un rimborso indiretto, dopo aver pagato di tasca propria; l’obbligatorietà del rimborso limitata all’assistenza erogata nell’ambito del Ssn.
Restano escluse, invece, tre categorie: i servizi long term care, i trapianti d’organo e i programmi pubblici di vaccinazione.
Nel decreto si prevede inoltre l’istituzione di un Punto di contatto nazionale presso il Ministero della salute. Qui convergeranno le informazioni sui centri che erogano le cure, sui diritti dei pazienti, sulle procedure di denuncia e sui meccanismi di tutela, sulle condizioni e i termini del rimborso e le informazioni da includere nelle ricette mediche. Il portale sarà realizzato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Sono previsti, inoltre, limiti alla mobilità dei pazienti. In particolare, gli Stati possono porre tre ordini di limiti, così sintetizzabili: limiti all’accesso alle cure nel proprio territorio da parte di pazienti provenienti da altri Stati UE; limiti ai rimborsi delle cure transfrontaliere godute dai propri cittadini in altri Stati dell’Unione europea; limiti consistenti nella possibilità di sottoporre talune prestazioni transfrontaliere ad autorizzazione preventiva.
Quest’ultima è prevista nel caso di: ricoveri di almeno una notte e prestazioni che richiedono l’utilizzo di un’infrastruttura sanitaria o di un’apparecchiatura mediche altamente specializzate e costose. È fatta salva la possibilità, per le Regioni, di sottoporre ad autorizzazione preventiva ulteriori prestazioni, ovviamente nel rispetto delle condizioni previste dalla direttiva. L’autorizzazione non può essere negata nel caso in cui l’assistenza non sia erogabile sul territorio nazionale in tempi congrui. Il sì a curarsi fuori può essere inoltre negato, secondo la direttiva, in caso di rischi per la sicurezza del paziente e dubbi su standard, qualità dell’assistenza e vigilanza.
Le prestazioni, come dicevamo prima, saranno rimborsabili purché rientrino nei Lea e salvo deroghe regionali. Valgono le tariffe regionali, in ogni caso la copertura non supererà il costo effettivo dell’assistenza sanitaria ricevuta. Le Regioni, in ogni caso, possono sempre decidere di rimborsare agli assicurati in Italia altre spese, come viaggio, alloggio e altro, per i disabili.
I punti di contatto nazionali, infine, svolgeranno un ruolo chiave anche nella creazione delle reti di riferimento europee (Ern) che dovrebbero garantire una serie di vantaggi tra i quali: una rete informativa comune che permetta lo scambio di competenze e risultati raggiunti, uno stimolo alla formazione e alla ricerca; la promozione di economie di scala attraverso la specializzazione dei servizi, l’accelerazione su temi come le malattie rare, trattate oggi in modo ancora disomogeneo da un Paese all’altro.
Il Decreto legislativo dispone inoltre che il Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, previa intesa in Conferenza Stato regioni, può adottare misure limitative dell’accesso alle cure in Italia ove ricorrano le condizioni richiamate dalla direttiva UE, che attengono all’insorgenza di motivi imperativi di interesse generale, quali le esigenze di pianificazione per assicurare nel territorio nazionale la possibilità di un accesso sufficiente e permanente a cure di elevata qualità o la volontà di garantire un controllo dei costi ed evitare sprechi di risorse finanziarie, tecniche e umane.
Il decreto, infine, individua le ASL quali soggetti competenti sia al rilascio dell’eventuale autorizzazione preventiva che all’erogazione del rimborso dei costi, disciplinando le relative procedure in un’ottica di massima semplificazione e contiene anche una norma finale che attribuisce alle regioni il compito di effettuare un costante monitoraggio degli effetti connessi alle disposizioni del decreto, comunicando al Ministero della salute e al Ministero dell’economia e le finanze, con la massima tempestività, eventuali criticità tali da giustificare l’adozione delle misure limitative.
(Fonte: Quotidiano Sanità)
(Approfondimenti:
http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=17663
http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=1449853.pdf)
Crisi economica e liste d’attesa. Un italiano su tre sostituisce il medico con internet. L’indagine del Codacons
7 aprile 2014
Complice la crisi economica e le liste d’attesa infinite, cresce in Italia il numero di cittadini che, quando si presenta un problema di salute, decidono di ricorrere alla cosiddetta “medicina fai da te”. Lo afferma il Codacons, che ha condotto un apposito studio sull’argomento. Abbiamo chiesto ad un campione di circa 2.500 intervistati a chi si rivolgono in caso di problemi alla salute non gravi, quando cioè si manifesta un disturbo o il primo sintomo di una malattia e si vuole risolvere o migliorare la propria situazione – spiega l’associazione –. A fronte di un 52,45% di italiani che individua nel medico (inteso come medico di famiglia, ospedali, pronto soccorso e strutture sanitarie private) il soggetto cui fare riferimento in tale circostanza (percentuale che sale al 75,4% nella fascia d’età oltre i 61 anni), vi è una fetta consistente e crescente di popolazione, pari al 35,8% del totale, che ricorre al “fai da te”, rappresentato in primis dal web, dove si moltiplicano i siti internet che danno consigli su malattie, disturbi e cure di vario genere. Percentuale che arriva a sfiorare il 50% nella fascia d’età 18-30 anni. L’11,6% dei cittadini si rivolge invece ad un farmacista.
La pratica di cercare su internet la soluzione ai propri problemi di salute può essere pericolosissima – prosegue il Codacons – perché in assenza di una visita specifica da parte di un medico, i sintomi possono peggiorare in tempi brevi con conseguenze anche gravi per la salute.
Alla base del fatto che il 35,8% dei cittadini cerca nel web la soluzione a disturbi fisici, vi sono due fattori essenziali: la crisi economica e le liste d’attesa nella sanità pubblica – analizza l’associazione – Se la crisi rende impossibile il ricorso a visite specialistiche i cui costi non risultano più abbordabili per la maggioranza della popolazione italiana, le liste d’attesa infinite sono forse anche peggiori, perché allontanano l’utente medio dalla sanità pubblica, rendendo difficoltoso e snervante l’accesso ad ospedali e strutture sanitarie per le quali i cittadini pagano le tasse. Basti pensare che solo nel 2012, l’11% dei cittadini italiani ha rinunciato alle cure mediche, con il record del 23% per quelle odontoiatriche.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
I nuovi poveri? I divorziati
8 aprile 2014
Il divorzio fa male ai divorziati. È questo il dato che emerge dal Rapporto Caritas 2014 su povertà ed esclusione sociale chiamato «False partenze». Il documento, realizzato attraverso l’esperienza di ascolto, osservazione e animazione svolta da 220 Caritas diocesane presenti in Italia, rivela che è cambiato il profilo tipo dei nuovi poveri. Se, infatti, sino a pochi anni si trattava di immigrati e anziani, oggi l’indigenza colpisce di più chi è reduce dalla chiusura di un rapporto matrimoniale.
Il 66,1% dei separati che si rivolgono alla Caritas dichiara di non riuscire a provvedere ai beni di prima necessità; di questi, solo il 23,7% si trovava nella stessa condizione prima della separazione.
Ma non è finita. Gli effetti negativi della separazione colpiscono anche l’ambito psicologico: il 66,7% accusa un più alto numero di sintomi rispetto alla pre-separazione. Inoltre, la separazione incide negativamente anche sul rapporto padri-figli: il 68% degli intervistati afferma d’aver riscontrato un cambiamento nel rapporto con la prole, che nel 58,2% si rivela peggiore rispetto a prima.
L’incremento di nostri connazionali che fanno ricorso all’aiuto della Caritas è testimoniato dal fatto che l’85,3% di questi divorziati neo-poveri è di nazionalità italiana. Il 42,9% è coinvolto in separazioni legali, il 28,1% in separazioni di fatto e il 22,8% in procedimenti di divorzio.
Come evidenziato anche dal sito “Redattore Sociale”, uno degli ostacoli all’aiuto delle persone in difficoltà è lo scarso utilizzo dello strumento “Prestito della speranza” voluto dalla Cei: avrebbe dovuto raggiungere circa 30 mila famiglie in gravi condizioni a causa della crisi economica, ma dopo cinque anni dalla sua presentazione, questo servizio ha erogato 3.583 prestiti, utilizzando così soltanto il 18% delle risorse a disposizione.
(Fonte:«Zenit»
(Approfondimenti: http://www.articolo21.org/2014/04/poverta-il-prestito-della-speranza-non-decolla-in-5-anni-solo-3-500-richieste/)
Utero in affitto, «il diritto ha le spalle al muro»
8 aprile 2014
Sono volati in India per “assemblare” un bambino con il seme dell’uomo, l’ovulo di una donatrice e un utero in affitto appartenente ad un’altra donna. Al rientro in Italia hanno dichiarato che il bambino era loro e chiesto la trasmissione dell’atto di nascita al consolato. La coppia è stata assolta dall’accusa di alterazione di stato, ma condannata ad un anno e quattro mesi per il reato di falsa dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità propria e di altri.
La sentenza è stata emessa l’8 aprile dal giudice per l’udienza preliminare Gennaro Mastrangelo. Nelle motivazioni contestuali alla sentenza, il gup scrive da un lato che oggi dal punto di vista giuridico “la stessa definizione di maternità è ormai controversa” e che “le possibilità offerte dalla scienza in questa materia sono talmente vaste” da aver “messo il diritto con le spalle al muro nella penosa scelta di tutelare il minore e di non privarlo dei suoi genitori ‘tecnologici'”. Mastrangelo infine ha respinto la richiesta del difensore di concedere agli imputati il riconoscimento delle attenuanti dell’aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale, affermando che “la condotta tenuta” è stata “finalizzata a realizzare un proprio desiderio, senza considerazione alcuna della socialità dell’azione intrapresa pur “a prescindere da ogni valutazione etica, ovviamente preclusa in questa sede”. Il giudice ha preso atto di una realtà in continuo mutamento: quella della contrattualizzazione delle forme di procreazione e delle possibilità date dalla tecnologia.
La coppia, lui 48 anni, lei 54, ha spiegato di essere ricorsa alla fecondazione eterologa in India visto che la donna aveva perso la capacità riproduttiva in seguito alle cure per un tumore. Entrambi si sono detti consapevoli che la pratica è vietata dalla legge italiana ma non in India dove vige un’estrema incertezza giuridica circa la legittimità dei cosiddetti contratti di surrogazione e dove la 54enne è giunta due giorni prima della nascita, suscitando i sospetti del consolato.
(Fonte: «Avvenire»)
Corte costituzionale: «Fecondazione, così avanza il Far West»
9 aprile 2014
La Consulta il 9 aprile ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa previsto dalla Legge 40 del 2004. «La Corte costituzionale, nell’odierna Camera di Consiglio, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli 4, comma 3, art. 9, commi 1 e 3 e art.12, comma 1, della Legge 19 febbraio 2004, n. 40, relativi al divieto di fecondazione eterologa medicalmente assistita», si legge in un comunicato della Corte.
I giudici della Consulta hanno dunque dato ragione a tre tribunali – Firenze, Milano e Catania – che avevano sollevato dubbi di legittimità costituzionale accogliendo i ricorsi di altrettante coppie.
Cade, dunque, il divieto di procreazione assistita di tipo eterologo, che utilizza cioè ovociti o spermatozoi di un donatore. .
Restano però in piedi altre parti della Legge 40, a partire dalla possibilità di accedere alla fecondazione assistita solo alle coppie infertili, dunque non a quelle fertili sebbene portatrici di malattie genetiche. Rimangono anche il divieto di accesso alla fecondazione assistita per single e coppie dello stesso sesso, e quello di ricerca su embrioni non idonei alla gravidanza. In seguito alla sentenza cade di conseguenza anche l’inciso (art. 12 comma 1) sulle sanzioni.
Negli anni l’impianto della Legge 40 è stata oggetto di una serie di sentenze: ad esempio sono stati eliminati il divieto di fecondare più di tre ovuli insieme e l’obbligo di impiantare nell’utero in un’unica soluzione tutti quelli fecondati.
LE REAZIONI – «L’introduzione della fecondazione eterologa nel nostro ordinamento è un evento complesso che difficilmente potrà essere attuato solo mediante decreti». Lo ha detto il Ministro della salute Beatrice Lorenzin in merito alla sentenza della Corte Costituzionale. «Ci sono alcuni aspetti estremamente delicati – aggiunge – che non coinvolgono solamente la procedura medica ma anche problematiche più ampie, come ad esempio l’anonimato o meno di chi cede i propri gameti alla coppia, e il diritto a conoscere le proprie origini e la rete parentale più prossima (fratelli e sorelle) da parte dei nati con queste procedure. Sono questioni che non si può pensare di regolare con un atto di tipo amministrativo, ma necessitano una condivisione più ampia, di tipo parlamentare».
«Alla luce delle motivazioni della Consulta, al più presto comunicheremo la ‘road map’ per l’attuazione della sentenza», ha aggiunto il ministro.
«Non è difficile immaginare che i Costituenti si stiano rivoltando nelle loro tombe di fronte ad una interpretazione dei principi costituzionali che conduce a consentire la fecondazione assistita sulla base di un cocktail in laboratorio di elementi genetici originati da più genitori. Con la sua sentenza la Corte concorre alla decadenza di quei principi naturali, di quell’umanesimo che fu alla base dell’unità di Costituenti appartenenti a ben diverse convinzioni politiche e religiose»; lo ha affermato in una nota il Presidente dei Senatori del Nuovo Centrodestra, Maurizio Sacconi.
«La sentenza di oggi non è una soluzione per le coppie ma apre nuovi gravi problemi che la legge 40, una legge equilibrata che aveva dato buoni risultati, aveva finora evitato». Lo dice in una nota Eugenia Roccella, deputato del Nuovo Centro Destra. «Presenterò nei prossimi giorni – ha aggiunto – una proposta di legge per fare fronte alle molte questioni che questa sentenza della Consulta lascia aperte, come il diritto del bambino a conoscere le proprie origini, o come il rischio che, anche in Italia, si crei un mercato del corpo umano (dalla compravendita degli ovociti all’utero in affitto) analogo a quello che già esiste a livello internazionale, con gravi forme di sfruttamento delle donne giovani e povere».
«La famiglia subisce un ulteriore grave attacco. Invece di applicare una legge evidenziando la modernità della proposta anche in termini di sviluppo tecnico-scientifico, invece di garantire il diritto del bambino ad avere una famiglia in cui è chiaro chi siano suo padre e sua madre, i giudici ne hanno smontato l’assetto ignorando i diritti del concepito, che sono il centro dell’articolo 1 della stessa legge 40. Non so se la legge sulla fecondazione assistita tornerà in Parlamento, ma a distanza di dieci anni sorprende tanta acrimonia verso un provvedimento che comunque ha reso possibile la nascita di moltissimi bambini in questi anni, garantendo loro una famiglia». Lo ha dichiarato in una nota la deputata dell’Udc Paola Binetti.
«L’abolizione del divieto di fecondazione eterologa dischiude scenari incerti su un settore che la legge 40 aveva contribuito a regolamentare». Lo ha detto il senatore dei Popolari per l’Italia, Lucio Romano. «Con il pronunciamento di oggi – ha aggiunto il senatore – la Consulta legittima di fatto qualsiasi pratica di riproduzione umana, sulla base di un diritto alla genitorialità, altresì sottomettendola in maniera assoluta alla tecnoscienza».
«Dopo la cancellazione del divieto di trasferire in utero più di tre embrioni, di congelamento e di diagnosi pre-impianto, quella sul divieto di fecondazione eterologa è l’ultimo atto che riporterà l’Italia al Far West della provetta, favorendone drammaticamente il business sulla pelle dei bambini e delle donne». Lo afferma Olimpia Tarzia, presidente del Movimento PER (Politica Etica Responsabilità).
«Si avalla la rivoluzione antropologica in atto e si introduce un principio fortemente lesivo del diritto dei figli, in particolare se si tratta di bambini o comunque di minori». Lo ha dichiarato al Sir il vice-presidente vicario del Movimento per la Vita italiano (Mpv), Pino Morandini, presente a Bruxelles con la delegazione italiana per l’audizione al Parlamento europeo sull’iniziativa dei cittadini “Uno di noi” in programma giovedì mattina. «Consentire la fecondazione eterologa è violare il diritto fondamentale del figlio a sapere di chi è figlio, quindi a conoscere la sua identità», ha proseguito Morandini.
«Con questa decisione, la Corte costituzionale decide di retrocedere gli interessi del nascituro alla bigenitorialità biologica e di assecondare i bisogni della coppia alla genitorialità sociale». È quanto ha dichiarato il professor Alberto Gambino, ordinario di diritto privato e direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università Europea di Roma.
«Questa è l’ultima picconata, probabilmente la più grave, a una legge che non è più quella che è stata approvata dal Parlamento». È il commento di Gianfranco Amato, presidente dei Giuristi per la vita, sulla sentenza della Corte Costituzionale. Parlando ai microfoni di Radio Vaticana sottolinea che è «una pronuncia grave» perché «la norma che è stata dichiarata costituzionalmente illegittima, in realtà, anche se non è una legge cattolica, salvaguardava i nascituri e il loro diritto a conoscere le proprie origini, anche al fine di tutelare l’identità personale, oltre che garantirne la tutela sanitaria e sociale, da una parte; e, dall’altra, evitava il lucroso commercio di gameti che va sotto il falso nome di donazione e il conseguente sfruttamento delle donne».
«Con la sentenza della Corte costituzionale, che travalica la funzione politica del Parlamento su temi complessi che riguardano la società civile e i propri modelli di riferimento culturali, prosegue lo smantellamento progressivo a mezzo giudiziario della legge 40. Una normativa forse da rivedere dopo dieci anni, ma che ha avuto il merito di porre un quadro di riferimento scientifico ed etico in tema di procreazione assistita». È quanto dichiarano Paola Ricci Sindoni e Domenico Coviello, presidente e copresidente nazionali dell’associazione Scienza & Vita.
In un comunicato dal titolo eloquente “Avanza la Babele procreativa”, si legge: «in tal modo si apre un inesorabile vuoto normativo che prelude al ritorno a quel far west procreativo che in questi ultimi dieci anni era stato possibile contenere. Con la cancellazione del divieto di fecondazione eterologa viene legittimata ogni pratica di riproduzione umana, con il solo pretesto che tutti, comunque, hanno diritto a veder garantiti i propri desideri. La cultura giuridica si rimette in tal senso al dominio della tecnoscienza, legittimandone lo strapotere. Questa sentenza apre inoltre lo scandalo del mercato dei gameti: nessuno garantisce che non avverrà – come già ora all’estero – con lo sfruttamento di chi si trova in difficoltà economiche».
La pronuncia «lascia sconcerto e dispiacere» e «crea ora delle conseguenze difficili da gestire sia per il nascituro che all’interno della coppia»” Lo ha detto all’Ansa il Reverendo Renzo Pegoraro, Cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita.
Di tutt’altro tenore le reazioni in casa dei radicali e delle associazioni che da anni si battono per togliere i limiti alla fecondazione assistita. «Una vittoria della civiltà», scrive l’Arcigay. L’eterologa è «eticamente accettabile e ammissibile perché garantisce il diritto all’autodeterminazione della coppia, prevedendo però delle cautele che devono essere tenute presenti», conclude il vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica (Cnb), Lorenzo D’Avack. «È il colpo definitivo a una legge, confusa, inapplicabile e disumana», così Barbara Pollastrini, del Pd.
(Fonte: «Avvenire»
AMCI: TRADITA L’ORIGINARIA FINALITÀ DELLA MEDICINA DELLA RIPRODUZIONE
L’Associazione Italiana Medici Cattolici manifesta sconcerto e perplessità sulla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale il divieto di fecondazione eterologa, contribuendo a smantellare un altro paletto della legge 40. La fecondazione artificiale eterologa lede la dignità e i diritti del nascituro e della coppia. Il figlio concepito, portato in grembo e messo al mondo è uno di noi e merita rispetto!
La fecondazione eterologa depersonalizza l’identità della coppia e della famiglia e ha effetti “a cascata” su ambiti giuridici e sociali. Una volta violata, con la fecondazione eterologa, l’unità dei coniugi, viene violata anche quell’unità allargata che lega tra loro i genitori al figlio e il figlio ai genitori. L’AMCI considera contraria alla dignità della persona e del matrimonio, e quindi eticamente illecita, ogni fecondazione attuata con gameti eterologhi.
L’AMCI sottolinea le conseguenze della fecondazione eterologa attraverso la quale l’embrione figlio perderebbe quell’irrinunciabile “diritto naturale” a nascere e a poter contare su certe e non incerte origini. Potrebbe venir meno per lui anche il più ampio sostegno di una coppia parentale fedele. L’incontro dell’uomo e della donna nella riproduzione mette in gioco valori affettivi, psicologici, sociali e giuridici ossia valori personali propriamente umani. Il medico e la società non possono ignorare che, nel caso della fecondazione eterologa, viene stravolto il principio di genitorialità naturale, nonché il diritto dell’embrione a riconoscere i propri genitori e a riconoscere in essi le proprie origini genetiche.
Inserire nella vita di coppia tecniche eterologhe significa alterare quel carattere relazionale da cui si vorrebbe l’origine di ogni vita umana. La sentenza apre una deriva infinita che obbliga la società civile ad un’attenta riflessione e ad una particolare attenzione nei confronti del soggetto più indifeso e più vulnerabile, ossia dell’embrione, al quale non deve essere mai negata la facoltà di conoscere le proprie origini.
(Fonte: «Associazione Medici Cattolici Italiani»)
Alcol. Nel 2010 in Italia ha ucciso 16.829 persone. I dati dell’Iss per il Prevention Day
9 aprile 2014
Il consumo di alcol rappresenta un importante problema di salute pubblica risultando responsabile in Europa del 3,8% di tutte le morti e del 4,6 % degli anni di vita persi a causa di disabilità (Disability-Adjusted Life Years, Dalys). L’Unione europea è la Regione con il consumo alcolico più alto al mondo, con 11 litri di alcol puro per adulto consumati ogni anno.
Anche se l’Italia è stata uno dei primi Paesi che è riuscito a ridurre significativamente i consumi alcolici, il consumo pro capite di alcol puro ha raggiunto, nella popolazione adulta di età superiore a 15 anni, 6,10 litri all’anno nel 2010.
Nel nostro Paese, i consumatori a rischio (di età superiore agli 11 anni) sono oltre 7 milioni anche se questa stima varia in funzione delle definizioni che, sulla base delle linee guida attuali, identificherebbero un numero molto più ampio. Le percentuali più elevate di consumatori a rischio di sesso maschile si registrano da anni nella classe di età 65-74 anni e tra gli ultra 75enni per un totale di oltre 2 milioni di uomini anziani che necessiterebbero di un intervento di identificazione precoce e di sensibilizzazione al problema e per i quali andrebbe sviluppato un piano di prevenzione ad hoc, considerato il continuo invecchiamento della popolazione.
L’impatto sulla mortalità è notevole: oltre 17.000 decessi l’anno con quote prevalenti per neoplasie maligne e incidenti stradali come prime cause evitabili di mortalità da alcol in tutte le Regioni italiane di cui, per la prima volta, l’Osservatorio nazionale alcol (Ona) dell’Iss fornisce dettaglio per genere e classi di età.
Tuttavia, l’alcol continua a rappresentare uno dei principali fattori di rischio per la salute non solo per gli anziani, essendo – anche attraverso la diffusione di consolidati nuovi modelli del bere associati all’intossicazione (binge drinking) – il principale fattore di mortalità prematura tra i giovani fino a i 24 anni di età, a causa delle correlazioni dirette con l’incidentalità stradale. Secondo le stime, quindi, nonostante l’innalzamento dell’età minima legale per la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche, circa un milione di bambini, adolescenti e giovani sotto l’età minima legale riceve e consuma bevande alcoliche non rispettando le linee guida per una sana alimentazione che impongono consumo zero sotto i 18 anni ponendo un problema che non è solo sanitario ma anche di legalità.
È in crescita il tasso di alcoldipendenti che fanno ricorso ai servizi alcologici, anche se è notevole il gap tra alcolisti osservati, oltre 69.000 e quelli attesi, circa un milione sulla base delle stime Ona dei consumatori dannosi che sono assimilabili diagnosticamente secondo il DSM-5 ad alcoldipendenti necessitanti una forma di trattamento oggi erogato nei confronti del 24% degli utenti.
Questi le informazioni salienti che emergono dall’attività dell’Osservatorio nazionale alcol che presenta i dati epidemiologici e di monitoraggio alcol-correlato, strumenti indispensabili e insostituibili per la pianificazione delle strategie di prevenzione, per la programmazione sociosanitaria e per azioni di contrasto al consumo rischioso e dannoso di alcol nella popolazione. I dati sono stati presentati dall’Ona, in occasione della tredicesima edizione dell’Alcohol Prevention Day.
Tutte le elaborazioni, sviluppate dal gruppo di ricerca del Reparto Salute della popolazione e suoi determinanti del Cnesps-Iss, forniscono attraverso il progetto Ccm “Monitoraggio dell’impatto del consumo di alcol sulla salute in Italia in supporto all’implementazione del Piano nazionale alcol e salute (Mia-Pnas)” i dati che ufficialmente confluiscono nel Piano statistico nazionale 2014-2016 in qualità di statistica derivata avendo, pertanto, valenza di statistica formale; i dati sono per questo acquisiti formalmente nella Relazione annuale del Ministro della Salute e trasmessi annualmente al Parlamento.
(Fonte: «Epicentro»)
(Approfondimenti:http://www.epicentro.iss.it/alcol/default.asp
http://www.who.int/substance_abuse/publications/en/italy.pdf)
Cannabis, Garattini: prove insufficienti di efficacia e sicurezza
9 aprile 2014
Non ci sono ancora evidenze sufficienti per affermare l’efficacia e la sicurezza dei farmaci a base di cannabinoidi e inoltre non è opportuno che ogni regione abbia le proprie regole nella gestione di queste terapie. Questa l’opinione espressa da Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri: «Le prove sono ancora troppo tenui per poter dire che i farmaci a base di cannabis siano davvero efficaci. C’è ancora molto da fare e da lavorare per capirne sia i benefici sia i rischi. Dobbiamo esser certi che siano meglio di quello che già esiste».
Garattini ha anche precisato che quando si parla di farmaci a base di cannabinoidi non si fa riferimento a «un fai da te assolutamente da non utilizzare» ma a preparati in cui è stata studiata la «riproducibilità del principio attivo, qualità e sicurezza, ovvero evidenza che danni non siano superiori ai benefici». L’esperto ha infine espresso perplessità sulle normative regionali che regolamentano l’uso di questi farmaci: «È giusto che le Regioni abbiamo la gestione della sanità, ma non è opportuno che abbiano ognuna le proprie regole, cosa che mi pare fuori da ogni regola».
(Fonte: «Doctor 33»)
Ru486. Donna abortisce e muore, aperte indagini
11 aprile 2014
È il primo caso, in Italia, dopo i 27 episodi nel mondo: una donna di 37 anni è morta dopo l’assunzione della pillola abortiva Ru486. Per i medici dell’ospedale “Martini” di Torino, in cui è avvenuta la somministrazione del farmaco e poi il decesso, «non c’erano anomalie» negli esami della donna, che ha avuto un arresto cardiaco.
La notizia è stata data dalla «Stampa». La donna, già madre di un altro bambino – racconta il quotidiano torinese – aveva deciso per l’interruzione di gravidanza e il 4 aprile le era stato somministrato mifepristone, la sostanza che entro 48 ore interrompe la gestazione. Due giorni dopo, mercoledì scorso, si è ripresentata in ospedale per la somministrazione della prostaglandina, secondo protocollo, che provoca le contrazioni uterine e l’eliminazione dell’embrione. In entrambi i casi la donna è stata visitata, sottoposta a ecografia, «e nulla di anomalo o sospetto è stato mai rilevato», sottolinea l’ospedale. Ma quattro ore dopo l’aborto e la somministrazione di un antidolorifico la signora ha chiesto aiuto perché non riusciva a respirare bene. Le è stato fornito ossigeno, e un ecocardiogramma ha diagnosticato una «fibrillazione ventricolare», cioè un’aritmia che scatena contrazioni irregolari del cuore.
È seguita una grave crisi cardiaca, prontamente risolta dall’intervento dei sanitari. Ma qualche ora dopo il problema si è ripresentato, questa volta con un esito fatale, nonostante i tentativi dei medici di salvare la 37enne.
L’episodio, accaduto nella regione, il Piemonte, che dopo l’Emilia Romagna ha effettuato più interruzioni volontarie di gravidanza tra il 2010 e il 2011, è destinato a riaccendere il dibattito sulla sicurezza della pillola abortiva.
Ma respinge da subito ogni «strumentalizzazione» Silvio Viale, il ginecologo radicale considerato il padre della pillola abortiva in Italia, che oggi dirige il principale servizio italiano per Ivg all’Ospedale Sant’Anna di Torino. Viale ricorda come sono «decine di milioni le donne che hanno assunto la RU486 nel mondo» e «40mila in Italia».
È stata la stessa direzione dell’Asl To1, di cui fa parte l’ospedale Martini, a segnalare alla procura il caso della 37enne morta mercoledì. La procura ha aperto un’inchiesta, e il pm Giafranco Colace ha disposto l’autopsia, che sarà eseguita lunedì 14 aprile. Anche il ministero della Salute ha aperto un fascicolo sul caso.
«Al momento non abbiamo nessun dato che ci possa far riferire una stretta correlazione tra il farmaco utilizzato e il decesso della paziente». Così si è espresso Paolo Simone, direttore sanitario dell’Asl To1. «Anche i dati che possiamo prendere dalla comunità scientifica – aggiunge – non ci dicono che il farmaco, che è usato in America da oltre 10 anni, possa portare pericolo. Certamente finché non abbiamo i dati dell’autopsia, non posso escludere a priori una relazione con il farmaco. Anche se mi sembrerebbe molto difficile, quasi impossibile». Al momento la famiglia non ha sporto denuncia e non c’è stato sequestro delle cartelle cliniche.
Annalisa Guglielmino
(Fonte: «Avvenire»)
Papa Francesco: «La vita è sacra e inviolabile, aborto e infanticidio sono delitti abominevoli»
11 aprile 2014
“Sacra e inviolabile”. Con queste parole Papa Francesco ha ribadito la considerazione della Chiesa sulla vita umana. Nel ricevere in udienza i rappresentanti del Movimento per la Vita, guidati da Carlo Casini, il Papa li ha ringraziati per il loro servizio, esortandoli a proteggere la vita “con coraggio e amore in tutte le sue fasi”.
Se si guarda alla vita come a un qualcosa che si consuma, sarà anche un qualcosa che prima o poi si può buttar via, con l’aborto per cominciare. Se si considera la vita per ciò che è nella sua verità – un dono di Dio – allora si è davanti a un bene prezioso e intangibile, da proteggere con tutti i mezzi e non da scartare. Questo il nucleo del discorso di Papa Francesco che ha dato voce alle pagine della sua Evangelii Gaudium, intrecciandole con la convinzione che “ogni diritto civile poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita”.
“Oggi dobbiamo dire ‘no a un’economia dell’esclusione e della inequità – ha proseguito il Pontefice -. Questa economia uccide. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo; un bene di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio a quella cultura dello ‘scarto’ che, addirittura, viene promossa’. E così viene scartata anche la vita”.
Tra economia e morale, constata Papa Francesco, oggi c’è un “divorzio”, la bilancia pende dal piatto di “un mercato provvisto di ogni novità tecnologica”, mentre quasi in disparte sono finite le “norme etiche elementari” di una “natura umana sempre più trascurata”. “Occorre pertanto ribadire la più ferma opposizione ad ogni diretto attentato alla vita, specialmente innocente e indifesa, e il nascituro nel seno materno è l’innocente per antonomasia. Ricordiamo le parole del Concilio Vaticano II: ‘La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura; l’aborto e l’infanticidio sono delitti abominevoli’”, ha sottolineato il Pontefice.
“Proteggere la vita con coraggio e amore in tutte le sue fasi – ha concluso Papa Francesco -. Vi incoraggio a farlo sempre con lo stile della vicinanza, della prossimità: che ogni donna si senta considerata come persona, ascoltata, accolta, accompagnata. Abbiamo parlato dei bambini, ma io vorrei anche parlare dei nonni, l’altra parte della vita. Perché anche noi dobbiamo curare i nonni, perché i bambini e i nonni sono la speranza di un popolo”.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
Alzheimer e malattie neurodegerative. Ecco come si accumulano le proteine. Lo studio è italiano
12 aprile 2014
Combinando la fisica con la biomedicina, uno studio italiano svela la cinetica dell’aggregazione delle proteine in disordini di tipo neurodegenerativo, quali FENIB (encefalopatia con corpi d’inclusione di neuroserpina), Alzheimer, Parkinson e Huntington: le proteine si accumulano e non riescono più a uscire, in una trasformazione che in fisica ricorda quella di una ‘transizione di fase’ in cui un liquido passa allo stato gassoso, in una condizione di ‘non-equilibrio’, cioè una sorta di ‘processo di non ritorno’. Lo studio di quattro scienziati italiani, frutto di una collaborazione tra Fondazione ISI, Università degli Studi di Milano e CNR, è pubblicato il 12 aprile su «Nature Communications», col titolo «Protein accumulation in the endoplasmic reticulum as a non-equilibrium phase transitino».
In generale, le malattie neurodegenerative citate sono associate ad un’aggregazione aberrante di proteine in cui l’attività di secrezione degli organelli intracellulari gioca un ruolo determinante, illustrano i ricercatori nello studio. Attraverso simulazioni numeriche in 3D e particolari calcoli “abbiamo dimostrato che l’aggregazione proteica subisce una ‘transizione di fase in condizioni non-equilibrio’, controllata dai tassi di sintesi proteica e dalla degradazione”.
“Il nostro lavoro parte dallo studio dell’accumulo di proteine nel reticolo endoplasmatico”, spiega Stefano Zapperi, ricercatore ISI, che firma l’articolo assieme a Zoe Burdrikis (Fondazione ISI), Giulio Costantini (CNR) e Caterina La Porta (Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Milano). “È lì che vengono alla luce le prime tracce della malattia. Se la persona è sana – nello stato fisiologico e naturale – le proteine prodotte si degradano e vengono distribuite nell’organismo. Nella malattia l’accumulo prosegue invece in modo aberrante: le proteine vengono prodotte ma non riescono più a uscire. Ciò che è interessante è che questo processo avviene in modo analogo a una transizione di fase, come la trasformazione di un liquido in gas. Pensiamo a quando si passa dai 99,5 gradi ai 100 gradi nella temperatura dell’acqua: il cambiamento è piccolissimo, quasi impercettibile, eppure l’effetto è radicale. Da quel momento l’acqua passa dalla forma liquida a quella gassosa. Qualcosa del genere avviene nel reticolo, nella fase di transizione in cui le proteine non vengono più degradate e inizia l’accumulo aberrante”.
Studiando la cinetica di aggregazione di proteine attraverso la simulazione della diffusione di polimeri lineari, il gruppo di lavoro è riuscito a utilizzare con successo questo modello per descrivere dati sperimentali ottenuti in passato su altri pazienti. In particolare, sulla rimozione di beta-amiloide dal sistema nervoso centrale, permettendo di prevedere il comportamento atteso con la progressione del morbo di Alzheimer.
“Noi abbiamo svolto un lavoro particolarmente attento sull’Alzheimer”, dice Zapperi, “ma il nostro modello può essere utilizzato anche nello studio delle altre malattie degenerative che presentano processi comuni. La fisica in questo caso si affianca allo studio in vitro, offrendo nuove prospettive d’analisi sull’aggregazione e sul deposito di proteine in situazioni aberranti. È una innovazione importante, perché in futuro simili tecniche potrebbero offrire un decisivo contributo a livello diagnostico: individuando il momento in cui si arriva alla transizione di fase, si può sapere in anticipo quanto il paziente si sta avvicinando alla malattia e agire di conseguenza”.
In particolare, la clearance della beta-amiloide, misurata sperimentalmente nei pazienti con Alzheimer, dovrebbe diminuire con la progressione della malattia e annullarsi quando inizia il processo di ‘transizione di fase in condizioni di non equilibrio’, si legge nello studio. A questo punto, la polimerizzazione, cioè la formazione strutturata di catene polimeriche, non si fermerebbe. “Riteniamo che combinare le informazioni cliniche quantitative con modelli teoretici realistici potrebbe essere utile per migliorare gli strumenti diagnostici per queste patologie”, spiegano i ricercatori nello studio.
Le due domande che si pongono i ricercatori sono: quali processi biologici regolano questi parametri di controllo e quali conseguenze ha la transizione di fase? Una possibile risposta alla prima domanda, spiegano i ricercatori, potrebbe coinvolgere il metabolismo dei lipidi, che è stato recentemente mostrato giocare un ruolo in queste malattie neurodegenerative (vedere nello studio i riferimenti bibliografici). Per la seconda domanda “il nostro modello permette di interpretare l’insorgere di malattie conformazionali nell’ambito delle transizioni di fase e fenomeni critici”, si legge.
Viola Rita
(Fonte: «Quotidiano Sanità»
(Approfondimenti: http://www.nature.com/ncomms/2014/140411/ncomms4620/pdf/ncomms4620.pdf)
Incontro coi chirurghi oncologi. Il Papa ai medici: curare corpo e spirito
12 aprile 2014
Il compito del medico è “curare tutta la persona: corpo anima e spirito, come dicevano con precisione gli antichi greci”. Lo ha ricordato Papa Francesco ricevendo i partecipanti al Congresso della Società italiana di chirurgia oncologica.
“La malattia, l’esperienza del dolore e della sofferenza non riguardano solo la dimensione corporea, ma l’uomo nella sua totalità”, ha detto papa Francesco rivolgendosi ai 120 professionisti di chirurgia oncologica presenti in Sala Clementina. “Da qui l’esigenza – ha proseguito – di una cura integrale, che consideri la persona nel suo insieme e unisca alla cura medica anche il sostegno umano, psicologico e sociale, l’accompagnamento spirituale e il sostegno ai familiari del malato”.
Perciò è indispensabile, ha precisato il Papa, “che gli operatori sanitari, come chiedeva Giovanni Paolo II, siano guidati da una visione integralmente umana della malattia e sappiano attuare un approccio compiutamente umano al malato che soffre”. “La condivisione fraterna con i malati – ha auspicato ancora il Pontefice – ci apre alla vera bellezza della vita umana, che comprende anche la sua fragilità, così che possiamo riconoscere la dignità e il valore di ogni essere umano, in qualunque condizione si trovi, dal concepimento fino alla morte”.
“Tante volte – ha aggiunto il Papa parlando a braccio – mi viene al cuore quella angosciata domanda di Dostoevskij ‘perché soffrono i bambini?’. Solo Cristo può dare risposta a questo ‘scandalo’, tra virgolette. A Lui, crocifisso e risorto, anche voi potete sempre guardare nel compimento quotidiano del vostro lavoro”.
(Fonte: «Avvenire»)
Embrioni scambiati: «I bimbi nasceranno»
14 aprile 2014
Porta due gemelli in grembo da quattro mesi, ma quei figli potrebbero non essere suoi. Gli embrioni, se tutto sarà confermato, sono di un’altra coppia a causa di un presunto errore nel corso di un trattamento di fecondazione assistita. Ma chi sta conducendo i primi accertamenti non esclude neanche che, se uno scambio c’è stato, possa esser stato, chissà, uno scambio di referti e non di provette. In ogni caso la vicenda – partita quattro mesi fa all’ospedale Sandro Pertini di Roma e rivelata il 13 aprile da La Stampa – è quantomeno spinosa, e tutto lascia intendere che possa arrivare anche nelle aule del Tribunale.
Al Pertini invece sono arrivati il 14 aprile gli ispettori del ministero della Salute: «Un caso gravissimo – affermano -. Vogliamo verificare il percorso seguito dal centro e le ragioni per cui non ne sia stata data tempestiva informazione all’autorità centrale».
«Lo abbiamo appreso dai giornali», conferma il ministro Beatrice Lorenzin. Una commissione d’inchiesta, attivata da Asl Roma B e Regione Lazio, si è insediata già dall’inizio di aprile, mentre l’Unità medica per la sterilità è stata chiusa da qualche settimana.
«Sono vicende davanti le quali si rimane scioccati – ha affermato il legale della coppia, l’avvocato Michele Ambrosino, che sta cercando di tutelare la riservatezza dei due futuri genitori -. C’e nella coppia un senso di frustrazione, di coartazione e disagio. Ma sarebbe stata necessaria una maggior privacy, perché si rischia di creare una psicosi collettiva generalizzata».
Il caso prende le mosse lo scorso 4 dicembre, quando quattro coppie si sono sottoposte alla fecondazione assistita. Su tre di esse il trattamento ha avuto esito positivo. Una delle tre coppie in attesa però, nel corso dei controlli del terzo mese in un’altra struttura romana, avrebbe avuto una brutta sorpresa: le è stato comunicato che i due feti non sarebbero geneticamente compatibili con loro. Il 27 marzo alla Asl Roma B arriva “una comunicazione che segnala una presunta incompatibilità genetica per una fecondazione assistita”.
Da qualche settimana (ha firmato solo lo scorso 3 febbraio) alla Asl c’è un nuovo direttore generale, Vitaliano De Salazar: «Ci siamo immediatamente attivati – ha detto stamattina – chiedendo la produzione della documentazione medica di supporto». La Asl Roma B è in attesa del “test di conferma definitivo” sulla incompatibilità genetica della coppia che ora attende i due gemelli. Ma, se tutto fosse confermato, “si tratterebbe di un evento isolato e accidentale”. La priorità però è «dare con immediatezza a tutte le coppie trattate» nella seduta del 4 dicembre scorso «ogni possibile supporto e assistenza».
Potrebbero essere state coinvolte anche loro nello scambio di embrioni? «Tenderei a escluderlo – ha affermato però il genetista Giuseppe Novelli, che fa parte della Commissione istituita dalla Regione Lazio – vorrei che arrivasse un messaggio rassicurante, perché nei Centri si lavora in modo serio con protocolli internazionali». Lo stesso caso scoppiato sui media, per Novelli «è ancora tutto da provare».
Lunedì 14 aprile la commissione acquisirà tutta la documentazione: «Ci vorranno altre analisi successive, per le quali serviranno comunque alcune settimane. Lavoreremo con trasparenza». «Andremo fino in fondo per essere vicini alla famiglia coinvolta, colpendo senza indugio qualsiasi errore o mancanza dovesse emergere dall’indagine» ha fatto sapere il presidente della Regione Nicola Zingaretti, rimandando al mittente le accuse mosse dall’associazione Luca Coscioni per cui il Lazio sarebbe l’unica Regione in cui i centri per la fecondazione assistita sarebbero privi di controlli. «È falso – la replica – è stato uno dei nostri primi decreti».
Dal canto suo, la coppia ha parlato attraverso l’avvocato Michele Ambrosini, che ha riportato le parole della donna: «Ho avuto un momento di umano rigetto quando ho saputo che non erano miei, anzi nostri, che gli embrioni che avevo in grembo erano di un’altra donna, ma poi abbiamo deciso che la gravidanza doveva continuare, i nostri valori sono questi. Questi bambini vivono dentro di me, li ho sentiti battere sul mio cuore, crescono e sono sani», ha dichiarato la donna all’avvocato. «Come posso decidere del destino di due creature così attese?».
(Fonte: «Avvenire»)
Rapporto shock dell’Ispe-Sanità: «Ogni anno in Italia 23,6 miliardi in fumo tra corruzione, sprechi e inefficienze nel Ssn»
15 aprile 2014
È di appena 48 ore fa la notizia contenuta nel rapporto della Guardia di Finanza che ha mostrato come in Italia, solo nel 2013, si siano registrate truffe e danni erariali al Servizio sanitario nazionale per oltre 1 miliardo di euro. Ma il dato reale (compresi quindi anche gli episodi non sanzionati) potrebbe essere molto più ‘pesante’. Partendo dai 114 mld di spesa sanitaria per il 2013, è stato rilevato che la corruzione incide per 6,4 mld, a cui vanno sommati 3,2 mld di inefficienza e 14 mld di sprechi per un totale di 23 mld di corruption totale. A livello territoriale, analizzando il dato sulla corruzione, si rileva che il 41% dei casi avviene al Sud, il 30% al Centro, il 23% al Nord e il 6% è costituito da diversi reati compiuti in più luoghi. Questi i numeri shock contenuti nel primo Libro bianco dell’Istituto per la promozione dell’etica in sanità (Ispe-Sanità).
Il testo, che verrà presentato il 16 aprile a Roma, ha l’ambizione di rappresentare un punto di partenza nel contrasto proprio a quei fenomeni di corruzione, sprechi ed inefficienze che minano, in un’ottica di medio termine, la sostenibilità del nostro sistema sanitario.
Dall’estratto del report su “Corruzione e Sprechi in Sanità”, pubblicato da RiSSC e Transparency International Italia, nel 2013 nel settore sanitario emergono alcune caratteristiche che rendono la Sanità particolarmente vulnerabile alla corruzione.
L’indagine individua cinque ambiti particolarmente permeati da fenomeni corruttivi: nomine, farmaceutica, procurement, negligenza e sanità privata. Ed in dettaglio per ogni ambito sono stati individuati diversi potenziali fenomeni:
– Nomine: ingerenza politica, conflitto di interessi, revolving doors, spoil system, insindacabilità, discrezionalità, carenza di competenze.
– Farmaceutica: aumento artificioso dei prezzi, brevetti, comparaggio, falsa ricerca scientifica, prescrizioni fasulle, prescrizioni non necessarie, rimborsi fasulli.
– Procurement: gare non necessarie, procedure non corrette, gare orientate o cartelli, infiltrazione crimine organizzato, carenza di controlli, false attestazioni di forniture, inadempimenti-irregolarità non rilevate.
– Negligenza: scorrimento liste d’attesa, dirottamento verso sanità privata; false dichiarazioni (intramoenia); omessi versamenti (intramoenia).
– Sanità privata: mancata concorrenza, mancato controllo requisiti, ostacoli all’ingresso e scarso turnover, prestazioni inutili, false registrazioni drg, falso documentale.
Le stime più accreditate circa il tasso medio di corruzione e frode in sanità sono quelle di Leys e Button che nel 2013 lo hanno stimato in 5,59%, con un intervallo che varia tra il 3,29 e il 10%. Per la sanità Italiana, se si applicassero questi valori, che vale circa 110 miliardi di euro annuo, questo si tradurrebbe in un danno di circa 6 miliardi di euro all’anno.
Si tratta però come detto di una stima basata su interviste e valutazioni di esperti. Il gruppo di lavoro di Francesco Mennini (Cwis Eehta, Università di Tor Vergata) e Americo Cicchetti (Altems, Università Cattolica, Roma) ha tentato di superare, almeno per l’Italia, l’aleatorietà di questa stima ed hanno cercato di effettuare un primo tentativo di calcolo. Dai risultati dell’analisi è emerso come le 8 voci di spesa prese in esame ammontino ad una cifra pari a circa € 896.217.674 per le Asl e € 964.350.254 per le Ao. Tali voci rappresentano approssimativamente il 4,3% della spesa sanitaria pubblica (dati 2010): di conseguenza, lo “spreco” di risorse per punto percentuale di spesa sanitaria pubblica ammonta a € 208.422.715 per le Asl e € 224.267.501 per le Ao.
A livello macro si è tentato l’obiettivo più ambizioso di stimare il costo della corruzione, considerando i valori oltre il 75° percentile che riguardano la spesa fortemente in eccesso non giustificata. Il costo della corruzione, stimato sulla base dei modelli CE e dalla considerazione degli sprechi e dei danni erariali liquidati in favore dello stato, raggiunge la soglia di 5,6 miliardi di euro, pari a circa il 5% della spesa sanitaria pubblica in Italia.
Ma l’Ispe-Sanità si è spinto ancora oltre cercando di valutare l’impatto complessivo della corruption in Sanità ovvero la corruzione in senso stretto sommata ad inefficienze e sprechi. E il quadro è desolante: la corruption totale viene infatti stimata in 23,6 miliardi di euro l’anno.
Entrando nello specifico dell’analisi dei fenomeni di corruzione e spreco si è poi tentato di individuare e catalogare gli sprechi imputabili alla attività e volontarietà dei medici: una sorta di panoramica di tutti quegli atti che scientemente i clinici ogni giorno compiono per le motivazioni più varie generando inefficienze.
Sono state individuate quattro cause per questo tipo di sprechi:
1) sprechi di “necessità”,
2)sprechi per “ignoranza”,
3) sprechi per “medicina difensiva”,
4) sprechi per “investimenti professionali mancati”.
Nella seconda parte del Rapporto il testo si concentra sulle proposte di azioni o strumenti migliorativi del fenomeno corruttivo. E’ stato dunque sviluppato un modello di analisi delle gestione economico-finanziaria delle Asl italiane capace di individuare, per le Regioni e le voci oggetto dell’analisi, le aree di inefficienza, spreco e di potenziale corruzione all’interno del nostro sistema sanitario.
Questa prima applicazione del modello, limitata a 5 Regioni, ha evidenziato come la Lombardia, l’Emilia Romagna ed il Veneto siano caratterizzate da modelli gestionali integrati e come tutte le loro Asl siano strettamente connesse tra di loro. E questo è sicuramente un primo indicatore di efficienza gestionale. Infatti, aver organizzato la rete assistenziale Regionale utilizzando i medesimi approcci economico gestionali permette da una parte di fornire servizi più integrati alla popolazione assistita e dall’altra di controllare il corretto utilizzo delle risorse impiegate.
Di contro, Lazio e Campania sono caratterizzate da modelli gestionali completamente disaggregati, tanto dal punto di vista organizzativo-gestionale che da quello economico-finanziario. Se ne deduce che il discrimine che trasforma l’inefficienza e gli sprechi nella corruzione è determinato dalla presenza o meno di una strategia che persegue la disaggregazione gestionale.
Nel confronto tra le diverse Regioni si è notato come l’applicazione del modello lombardo, con l’eccezione di alcune poche Asl, permetterebbe alle altre Regioni di raggiungere migliori risultati in termini economico gestionali con evidenti ricadute positive per l’efficacia e l’efficienza del sistema.
Sono stati poi analizzati i processi di acquisto aziendale con il fine ultimo di creare e proporre uno Strumento Operativo di Controllo per il monitoraggio dei livelli di Corruzione aziendale: il Socc (questo l’acronimo), che comprende oltre 50 indicatori standard relativi al processo acquisti.
A livello territoriale si sono infine proposte una serie di azioni per superare l’attuale empasse funzionale dei “piani di rientro”, che da strumento straordinario sono divenuti gestione ordinaria ed avviare un serio e sostenibile programma commissariale che restituisca a tali Regioni livelli di funzionalità sostenibile entro 12-18 mesi.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
(Approfondimenti:http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato15042014.pdf)
Rapporto Osservasalute 2013. La salute degli italiani “tiene”. Ma il futuro è a rischio. Troppi tagli ai servizi. Soprattutto al Sud
16 aprile 2014
La salute degli italiani resiste ancora, nonostante la crisi economica che ostacola prevenzione, accesso alle cure e alla diagnosi precoce. A preoccupare davvero, almeno nel breve termine, è la salute del sistema sanitario. Ma anche il futuro degli italiani è a rischio se non si porrà una soluzione ai tagli ai servizi imposti dalla crisi economica.
È questo, in estrema sintesi, il quadro dipinto dalla XI edizione del Rapporto Osservasalute (2013), l’analisi dello stato di salute della popolazione e della qualità dell’assistenza sanitaria nelle Regioni italiane realizzata dall’Osservatorio Nazionale sulla Salute nelle Regioni Italiane, che ha sede presso l’Università Cattolica di Roma, e coordinato da Walter Ricciardi, direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università Cattolica – Policlinico Gemelli di Roma e da Alessandro Solipaca, Segretario Scientifico dell’Osservatorio.
Il Rapporto, presentato il 16 aprile, è frutto del lavoro di 165 esperti di sanità pubblica, clinici, demografi, epidemiologi, matematici, statistici ed economisti, distribuiti su tutto il territorio italiano, che operano presso Università e numerose istituzioni pubbliche nazionali, regionali e aziendali (Ministero della Salute, Istat, Istituto Superiore di Sanità, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Istituto Nazionale Tumori, Istituto Italiano di Medicina Sociale, Agenzia Italiana del Farmaco, Aziende Ospedaliere e Aziende Sanitarie, Osservatori Epidemiologici Regionali, Agenzie Regionali e Provinciali di Sanità Pubblica, Assessorati Regionali e Provinciali alla Salute).
Dal rapporto emerge, in particolare, che negli ultimi 10 anni gli italiani hanno guadagnano aspettativa di vita, soprattutto grazie alla ridotta mortalità per malattie del sistema circolatorio e per i tumori, trend che si deve sia agli investimenti fatti negli anni passati nelle politiche di prevenzione, sia agli avanzamenti diagnostici e terapeutici. Si intravede anche qualche timido segnale di miglioramento negli stili di vita, almeno sul fronte dei consumi di alcolici e nel vizio del fumo. Ma è ancora desolante e anzi in peggioramento la forma fisica dei cittadini, sempre più grassi; aumentano soprattutto gli obesi e non fanno eccezione i bambini. E non cambia neppure la tendenza alla scarsa attività fisica, aggravata probabilmente anche dalle difficoltà “crisi-indotte” degli italiani di praticare sport in modo costante.
Ma a preoccupare di più è lo stato di salute del sistema sanitario, sempre più critico. «La spending review – si legge nella sintesi del rapporto - rischia di far saltare il Ssn, determinando difficoltà nel breve e nel lungo termine, sia a causa di una riduzione dei servizi di salute offerti alla popolazione – specie a quella meno garantita e con minori disponibilità per curarsi ricorrendo al privato, sia a causa di un aumento della spesa sanitaria sul lungo periodo, aumento determinato dall’effetto boomerang della riduzione degli investimenti in politiche di prevenzione e diagnosi precoce. I risparmi obbligati di oggi rischiano di moltiplicare la spesa nel giro dei prossimi anni»”.
Ma andiamo ad analizzare alcuni dei dettagli contenuti nel Rapporto.
Gli indicatori economici presi in esame in questa nuova edizione del Rapporto testimoniano che siamo entrati in un periodo di reale contrazione delle risorse impegnate dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), infatti la spesa, già dal 2010, ha iniziato a diminuire (da 100,3 miliardi del 2009 a 100,1 miliardi di euro del 2010), delineando un trend che si è andato rafforzando nel 2012 anche a valori correnti (-1,8% rispetto al 2011). A questo dato fa riscontro la diminuzione della spesa per la remunerazione del personale sanitario, scesa nel 2011 a 36,149 miliardi di euro, con un decremento dell’1,4% rispetto al 2010.
Altro segnale di riduzione della spesa pubblica arriva dall’aumento di spesa a carico delle famiglie per sostenere il pagamento della quota di compartecipazione e dei ticket per il consumo di farmaci: la spesa sostenuta da ciascun cittadino per l’acquisto di farmaci è più che raddoppiata in meno di dieci anni, passando infatti da 11,3 € del 2003 a 23,7 € nel 2012, ovvero è passato dal 5,2% del totale della spesa per farmaci, al 12,2% di essa.
Sul versante dell’offerta, il dato che più colpisce, secondo gli esperti che hanno realizzato il rapporto, è rappresentato dalla dotazione di personale nelle strutture pubbliche che, dal 2010, sta subendo evidenti contrazioni, come testimonia il tasso di turnover sceso oltre il 78%. Si evidenzia, come già negli anni precedenti, una progressiva riduzione del turnover del personale (nuovi assunti a sostituire il personale in pensionamento) e quindi una forte carenza di personale giovane, con riflessi negativi sull’occupazione qualificata del Paese e depauperamento progressivo delle sue migliori risorse che cominciano ad andare all’estero.
«Difficile stabilire, ad oggi, se questa situazione sia il frutto di interventi finalizzati al recupero di efficienza, ottenuto con la riduzione degli sprechi e delle inappropriatezze. Al contrario, questi segnali possono rappresentare le prime allarmanti avvisaglie di una strategia complessiva di ridimensionamento dell’intervento pubblico nel settore sanitario», si legge nella sintesi che accompagna il documento.
«La riduzione della spesa pubblica per contenere il debito e rispettare i vincoli di bilancio concordati con l’Europa – ha commentato Walter Ricciardi, direttore di Osservasalute – mettono a rischio l’intero sistema di welfare italiano. Infatti, se prevarranno gli interventi basati su tagli lineari potremmo avere seri problemi a mantenere gli attuali standard della sanità pubblica. Già dal 2010 si osserva una contrazione del volume di attività di assistenza erogata dal SSN, infatti la spesa a prezzi costanti (quella depurata dall’inflazione) nel 2010 si è attestata a 100,1 miliardi contro i 100,3 del 2009, tale trend si conferma nel 2012 quando anche la spesa a prezzi correnti (111 miliardi) è scesa rispetto al 2011 (113 miliardi)».
Quanto alla salute dei cittadini, dalla lettura di alcuni indicatori giungono timidi segnali positivi, come dimostra la diminuzione della mortalità per le malattie del sistema cardiocircolatorio, che hanno contribuito in misura maggiore all’aumento della speranza di vita in Italia. Dal 2006 al 2010 i tassi di mortalità per queste malattie sono passati per i maschi da 41,1 per 10 mila individui a 37,2 per 10 mila, per le femmine da 28,4 per 10 mila individui a 26 per 10 mila.
Questo dato è molto positivo e, poiché si tratta di patologie per le quali l’attività di prevenzione gioca un ruolo centrale, potrebbe indicare un risultato positivo del sistema. «Tuttavia – ha precisato Alessandro Solipaca, Segretario Scientifico dell’Osservatorio -, sulla ridotta mortalità per queste malattie gioca un ruolo importante anche la disponibilità di farmaci più efficaci e il continuo sviluppo della diagnostica strumentale. Si tratta, quindi, di un successo della medicina e non degli stili di vita degli italiani che, a parte qualche incoraggiante segnale positivo, restano nel complesso scorretti».
Infatti, guardando alla prevenzione primaria, se da un lato si conferma il trend in lenta discesa della prevalenza dei fumatori (nel 2010 fumava il 22,8% degli over-14 e nel 2011 il 22,3%, nel 2012 fuma il 21,9% degli over-14) e la diminuzione dei consumatori a rischio di alcol (12,5% nel 2011 contro il 13,4% del 2010 tra gli adulti di 19-64 anni e 11,4% nel 2011 contro il 12,8% del 2010 tra i giovani di 11-18 anni), dall’altro si riscontra il persistente aumento delle persone in eccesso di peso. Infatti, complessivamente, il 46% dei soggetti di età ≥18 anni è in eccesso ponderale (era il 45,4% nel 2009, il 45,9 nel 2010, il 45,8 nel 2011). In particolare sono proprio le persone con problemi di obesità ad aumentare: gli obesi, infatti, passano dal 10% degli italiani nel 2011 al 10,4% nel 2012). Inoltre tra i minori quasi il 27% di quelli tra 6 e 17 anni è sovrappeso o obeso.
Si registra, inoltre, la scarsa pratica sportiva (nel 2012 la percentuale di sportivi assidui come nel 2011 si assesta sul 21,9% della popolazione con età ≥3 anni). Riguardo all’eccesso di peso nei bambini, deve far riflettere il fatto che questo fenomeno è maggiormente presente nelle famiglie con basso livello di istruzione, ciò suggerisce la necessita di implementare politiche di prevenzione idonee a raggiungere anche le fasce di popolazione appartenenti alle classi sociali meno istruite.
Altri indicatori in lieve miglioramento, al quale però contribuiscono anche altri settori pubblici, si riscontrano nei dati relativi alla raccolta differenziata e in quelli sugli incidenti stradali. Lo smaltimento differenziato dei rifiuti, nel 2012, è aumentato del 2,2 punti percentuali rispetto al 2011, soprattutto grazie alle regioni del Mezzogiorno. Gli incidenti stradali sono in diminuzione (-42,4% tra il 2001 e il 2010), così come i feriti e i decessi. Nel 2012 gli incidenti stradali con lesioni a persone sono stati 186.726 ed hanno causato 3.653 morti e 264.716 feriti con lesioni di diversa gravità. Rispetto all’anno precedente si riscontra una diminuzione del 9,2% del numero degli incidenti e del 9,3% di quello dei feriti (studi della Commissione europea). Il numero dei morti ha subito un decremento del 5,4% (dati Istat). Tale riduzione, tuttavia, non è ancora sufficiente per rispettare l’obiettivo fissato dall’Unione Europea che prevedeva di dimezzare, nello stesso lasso di tempo, i decessi.
Gli indicatori presentati e la fase economica che sta attraversando il nostro Paese devono far riflettere per guardare avanti, sottolinea il professor Ricciardi: «Il futuro sarà negativo se non si è in grado di cogliere questa fase di ristrettezze economiche come un’opportunità per migliorare l’efficienza del sistema, eliminando la corruzione e gli sprechi reali che affliggono il nostro sistema pubblico. Per quanto osservato nel Rapporto, è fondamentale incrementare le risorse per la prevenzione primaria attraverso interventi sotto forma d’investimenti destinati ad avere alti rendimenti futuri. Al contrario, trascurare le politiche di prevenzione significa dissipare i progressi osservati in questi anni e, addirittura, rischiare di arretrare in termini di salute».
(Fonte:«Quotidiano Sanità»)
(Approfondimenti:http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=594263.pdf
http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=7568198.pdf)
Per la libertà dei giornalisti, contro il “pensiero unico” dell’Unar
17 aprile 2014
Nei giorni scorsi Riccardo Cascioli, direttore della Nuova Bussola Quotidiana, ha impugnato presso il Tar del Lazio le cosiddette “linee guida” emanate dall’Unar (Ufficio nazionale anti discriminazioni razziali) “per un’informazione rispettosa delle persone LGBT”. Contestualmente, la rivista Notizie Pro Vita ha lanciato una campagna per sostenere con un contributo economico le spese legali.
Quali i motivi che hanno fatto sentire un giornalista minacciato a tal punto della sua libertà da ricorrere ad un Tribunale? Se ne trova traccia in un comunicato diffuso sul sito di Notizie Pro Vita, nel quale si accusa l’ufficio dell’Unar di voler “imporre un vero e proprio ‘pensiero unico’ ai giornalisti riguardo alle tematiche LGBT”.
Si sostiene infatti che alle Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone LGBT “dovranno attenersi tutti i giornalisti italiani”.
Dopo aver ricordato ai giornalisti di “sottolineare gli aspetti positivi della ‘visibilità’ degli omosessuali e il coraggio di chi si rende visibile”, Notizie Pro Vita spiega che le “linee guida” in questione impongono che “il giornalista non deve associare transessuali e prostituzione e mai parlare di prostitute o prostituti”. Si chiede, invece, di utilizzare una sorta di neologismo edulcorato per descrivere i transessuali che vendono il proprio corpo: “lavoratrici del sesso trans”.
Al giornalista viene poi chiesto di assumere un ruolo che trascende la mera narrazione dei fatti, giacché – si legge sul sito di Notizie Pro Vita – “dovrà anche educare i suoi lettori a considerare cosa buona e giusta il ‘matrimonio’ omosessuale”, nonché far notare che “il matrimonio non esiste in natura, mentre in natura esiste l’omosessualità”. Per questo saranno bandite espressioni come “famiglia naturale” o “famiglia tradizionale” e anche “famiglia gay” o “famiglia omosessuale”, dovendosi preferire la locuzione “famiglie omogenitoriali”, oppure “famiglie con due papà, due mamme”. Ma è ritenuto “meglio ancora parlare, semplicemente, di famiglie” ed evitare così di contrapporre tali realtà al concetto di “famiglie tradizionali”.
In virtù di una presunta “letteratura scientifica”, sarà dunque vietato al giornalista sostenere che un bambino “ha bisogno di una figura maschile e di una femminile come condizione fondamentale per la completezza dell’equilibrio psicologico”.
Il comunicato di Notizie Pro Vita ricorda poi che non si potrà più scrivere “uteri in affitto”, considerata “un’espressione dispregiativa”, in luogo di una più delicata “gestazione di sostegno”.
“Queste imposizioni – si legge nel comunicato – sono contrarie alla nostra Costituzione poiché violano la libertà di espressione e il pluralismo informativo (artt. 13 e 21 Cost.) e sono in diretto contrasto con l’art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo”.
Dopo aver ricordato il successo ottenuto dalla petizione che ha impedito la diffusione nelle scuole degli opuscoli “Educare alla diversità”, sempre pubblicati dall’Unar, Notizie Pro Vita invita a sposare questa battaglia per la libertà dei giornalisti anche solo rispondendo a un questionario pubblicato sul proprio sito.
Federico Cenci
(Fonte: «Zenit»)
(Approfondimenti: http://www.pariopportunita.gov.it/images/lineeguida_informazionelgbt.pdf)
Adolescenti. Il Garante: «Al primo posto mettono il diritto alla vita. Quarto il diritto alla Salute». La relazione al Parlamento
18 aprile 2014
Fanno i duri e i trasgressivi, ma considerano il diritto alla vita il più alto dei valori e anche se nell’immaginario sono sempre in lotta con i propri genitori, la maggior parte considera mamma e papà i punti fondamentali della propria vita, figure indispensabili per la loro crescita.
È questo il ritratto degli adolescenti italiani che emerge dal sondaggio Doxa appositamente realizzato per l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza e presentato il 10 aprile scorso dal Garante Vincenzo Spadafora in occasione della Relazione annuale al Parlamento. Il sondaggio è stato svolto attraverso 1.200 interviste telefoniche ad un campione rappresentativo della popolazione italiana di età compresa tra 18 e 65 anni e 600 interviste a ragazzi e ragazze tra i 14 e i 17 anni.
“Il sondaggio racconta con numeri e tabelle una generazione di adolescenti lontana dalla deriva esaltata dalla cronaca, mai totalmente persa nel mondo virtuale e consapevole dell’esistenza di leggi a tutela dei loro diritti (86%)”, afferma l’Authority in una nota. Una generazione che non ha perso i valori, che considera la vita il primo diritto da garantire (37% delle risposte) e mette al terzo posto la salute (28%), tema che dovrebbe forse essergli di minore interesse, considerato che si tratta di giovani all’apice delle loro forze fisiche. Eppure, i ragazzi italiani di oggi, si rivelano molto sensibili anche a questo tema.
Non solo. Smentendo tutti gli stereotipi, il 60% afferma di riporre fiducia anzitutto nei propri genitori, seguiti, a bella distanza, dagli amici “veri” (34%). “Si sentono compresi dalla propria famiglia e vorrebbero trascorrere più tempo con loro. Sembra che il mondo di internet con tutte le sue sfaccettature non sia il luogo ideale per incontrarsi e sentirsi ascoltati e rispettati. Si tratta di una nuova modalità di socializzazione diventata realtà consolidata. E malgrado la tv sia sempre pronta a inventare un nuovo talent show, la metà degli adolescenti li snobba alla grande”, spiega l’Authority. Ma non toccate il telefonino perché per il 73% è lo strumento indispensabile per rimanere in contatto con gli amici, sebbene più della metà riconosca di farne un uso eccessivo. L’89% dei ragazzi è iscritto ad almeno un social network ma per conoscere cose nuove restano importanti mezzi tradizionali come il personal computer, i libri e la televisione.
Dopo la scuola, il 68% dei giovani non si rintana nella propria stanza ma segue almeno un corso, pratica attività sportiva, va al cinema. Dal campione intervistato emerge anche un altro dato importante: i giovani si interessano anche ai problemi sociali: l’85% degli adolescenti ritiene inaccettabile che le persone vengano discriminate soltanto perché immigrate, disabili, povere o omosessuali e uno su tre nel tempo libero svolge attività di volontariato, soprattutto con i bambini. Colpisce la scarsa fiducia nell’Italia: l’85% ragazzi tra i 14-17 anni crede che fuori dal nostro Paese troverebbe maggiori opportunità per realizzare i propri sogni e non esclude la possibilità di trasferirsi.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
(Approfondimenti: http://www.quotidianosanita.it/allegati/create_pdf.php?all=1631146.pdf)
Italia, tasso di natalità a picco
(23 aprile 2014)
C’è un aspetto del nostro Paese che, sottovalutato negli ultimi anni in Italia, è invece segnalato con preoccupazione oltreoceano. Si tratta del calo della natalità, cui il «Wall Street Journal» ha dedicato un’analisi pubblicata nell’edizione del 22 aprile.
Il quotidiano americano rileva in primo luogo che in Italia il tasso di fecondità è da anni inferiore al cosiddetto “livello di sostituzione” demografica (ovvero 2,1 figli per donna, il minimo affinché la popolazione non diminuisca). Una tendenza, secondo l’analisi di Manuela Mesco, autrice dell’articolo, destinata persino a diffondersi ulteriormente, dal momento che “sempre più coppie decidono di non fare figli del tutto”.
Un quarto delle donne italiane supererà la propria età fertile senza aver avuto un figlio, contro il 14% delle americane e solo il 10% delle cugine francesi. E “il tasso di infecondità tra le donne italiane nate nel 1965 – cioè quelle che compiranno 50 anni l’anno prossimo – supera di quasi 10 punti percentuali quello relativo alle donne nate nel 1960”, scrive ancora il Wsj.
Le proiezioni confermano la necessità di una svolta demografica. Si legge che “il Paese conta circa 150 ultra-65enni ogni 100 persone al di sotto dei 14 anni di età”, ed entro il 2050 “il numero degli anziani salirà a 263 ogni 100 giovani, secondo l’Istat”. Una stima che potrebbe creare problemi alla previdenza sociale, visto che “la nuova generazione non guadagna abbastanza per coprire le pensioni di un numero crescente di pensionati”.
I motivi di questo calo? Si ascrivono principalmente alle condizioni del mercato del lavoro, fatto in Italia di precariato, ingresso (stabile) tardivo e salari bassi, troppo bassi per mantenere una famiglia. Condizioni che contribuiscono a far sì che “l’età media delle donne italiane al primo figlio sia salita a 31,4 anni nel 2012 – circa sei anni di più rispetto alle donne nordamericane – da meno di 30 nel 1995”.
(Fonte: «Zenit»)
Stamina, 20 indagati. «Pazienti come cavie»
23 aprile 2014
Inganni, raggiri, malati raccomandati. Cliniche usate di nascosto nei giorni festivi, biologi che non sono biologi, medici pentiti, pozioni segrete. E ancora: firme e documenti falsificati, persone ricattate e manipolate, pazienti trattati come cavie. Nelle 69 pagine dell’ordinanza con cui la Procura di Torino ha ufficialmente chiuso le indagini su Stamina c’è tutto quello che in uno Stato civile non dovrebbe mai poter accadere. E che in Italia è stata prassi – per giunta in un grande ospedale pubblico – per ben tre anni.
Da ieri per quest’orrore della sanità nostrana adesso ci sono 20 presunti responsabili. Nomi e cognomi che pesano come macigni, visto che oltre agli attesi Davide Vannoni e Marino Andolina – i due padri del metodo Stamina – e ai loro collaboratori italiani e stranieri (come l’imprenditore Gianfranco Merizzi e i biologi ucraini Klimenko Vyacheslav e Olena Scheghelska) nella lista compaiono una lunga serie di medici e dirigenti sanitari tra Torino, Trieste e Brescia, tutti coinvolti in quella che per il pm Raffaele Guariniello non solo è una truffa e un danno per la salute dei pazienti, ma una vera e propria associazione a delinquere.
Gli Spedali Civili pagano il prezzo più alto della vicenda, con 5 indagati: la direttrice sanitaria Ermanna Derelli, il direttore della struttura complessa Unità operativa oncologia pediatrica e trapianto di midollo osseo pediatrico e coordinatore locale del progetto terapeutico con cellule staminali Fulvio Porta, la responsabile del laboratorio cellule staminali del presidio pediatrico Arnalda Lanfranchi (moglie di Porta), il direttore della struttura complessa Unità operativa anestesia e rianimazione Gabriele Tomasoni, la responsabile del Coordinamento ricerca clinica e della segreteria scientifica del Comitato etico della struttura Carmen Terraroli.
Tutti a conoscenza di ciò che – fuori da ogni controllo e autorizzazione – accadeva. Tutti pronti all’impossibile per permettere a Stamina di restare tra le mura dell’ospedale, chi per interesse personale (far curare il cognato malato, come nel caso della Derelli, o addirittura il marito, come in quello della Terraroli), chi per tornaconto economico, chi per pressioni e minacce subite.
Della associazione a delinquere ci sono tracce indelebili: lettere falsificate (scritte da Vannoni e poi fatte passare col timbro della direzione sanitaria dell’ospedale), autocertificazioni fasulle. E poi le subdole manovre condotte coi colleghi, convinti a suon di mantra che tutto filasse liscio nei laboratori degli Spedali, anche se nessuno (nemmeno fra gli indagati) sapeva cosa veniva infilato nelle infusioni propinate ai pazienti da Erica Molino, la biologa abusiva di Vannoni che confezionava la pozione chiedendo di restar sola, a farlo, perché l’ingrediente era «un segreto». Risulta indagata, con un altro collega non iscritto all’albo, Mauriello Romanazzi.
Anche l’Aifa è chiamata a pagare per la leggerezza con cui la vicenda è stata gestita – via mail – dal suo direttore dell’Ufficio sperimentazione e ricerca, Carlo Tomino (di cui Avvenire si è più volte occupato negli ultimi mesi). Il nome del dirigente dell’Agenzia del farmaco figura nella lista degli indagati per concorso nei reati di somministrazione di medicinali guasti in modo pericoloso per la salute. Gli viene contestato di aver agevolato o comunque non impedito la commercializzazione e la somministrazione delle infusioni di Stamina: Tomino, secondo la procura di Torino, non controllò le autocertificazioni prodotte dalla direzione sanitaria dell’ospedale, risultate poi false o fallaci. Una mancanza fatta valere nelle aule di tribunale, dove i pazienti sventolavano proprio il nulla osta di Tomino come prova della non contrarietà dell’Aifa al protocollo.
Il conto più salato, come dall’inizio della storia, finisce però sul tavolo dei pazienti. Delle famiglie illuse, dei bimbi condannati, sì, ma da malattie incurabili. Ci sono anche i loro nomi, nell’ordinanza di Torino: costretti a pagare, a tacere, infilati in scantinati spacciati per laboratori, usati nelle piazze per manifestare. A loro ora più che mai serve una risposta. Che una Procura, da sola, non può dare.
Viviana Daloiso
(Fonte: «Avvenire»)
Ludopatia. Indagine SIMPe-Paidòss: un under 18 su cinque gioca d’azzardo. Ma il 30% dei genitori non lo sa
26 aprile 2014
Sono circa 800mila gli adolescenti italiani fra i 10 e i 17 anni che giocano d’azzardo e 400mila i bimbi fra i 7 e i 9 anni che si sono già avvicinati al mondo di lotterie, scommesse sportive e bingo, magari utilizzando la paghetta settimanale. Giovanissimi “malati di scommesse”, sui quali pesano l’ignoranza e la latitanza degli adulti.
Il 90% dei genitori non ha idea di che cosa significhi esattamente il termine ludopatia. E nonostante oltre la metà dei genitori non nasconda il timore che i propri figli possano essere contagiati dal virus delle scommesse, un adulto su tre ignora che le “sirene” di videopoker, slot-machine, gratta e vinci e superenalotto li abbiano catturati. E così, in più della metà delle famiglie, i computer di casa non hanno filtri per impedire di accedere ai siti per il gioco online vietati ai minori.
Sono questi i risultati allarmanti emersi da un’indagine sul gioco d’azzardo nei minori, condotta da Datanalysis e promossa da SIMPe e l’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza (Paidòss) e presentata all’International Pediatric Congress on Environment, Nutrition and Skin Diseases, organizzato a Marrakech dal 24 al 26 aprile. Uno studio che tratteggia scenari preoccupanti, per questo parte dai pediatri dalla SIMPe, la società italiana medici pediatri, una campagna di sensibilizzazione “Ragazzi in gioco” rivolta ai professionisti e agli studenti delle scuole.
Un quadro a tinte fosche. Dall’indagine condotta da Datanalysis tra 1.000 genitori di bambini e adolescenti, emerge con chiarezza come la malattia delle scommesse si stia insinuando fra i giovanissimi, i quali spesso iniziano proprio chiedendo ai genitori di poter giocare (il 48%). E il dato ancora più allarmante è che il 35% degli adulti conosce ragazzini che frequentano sale giochi e in un caso su tre vi ha incontrato minori, dai quali peraltro ha ricevuto la richiesta di giocare al loro posto per eludere i divieti che impediscono alcune tipologie di scommesse a chi non è maggiorenne.
“L’aspetto sconcertante – osserva Giuseppe Mele, presidente SIMPe e Paidòss – è la sostanziale elusione del problema da parte degli adulti: una quota molto elevata, dal 20 al 30%, risponde di non ricordare, non sapere, non aver visto. In sostanza tanti girano la testa dall’altra parte, non vogliono affrontare il problema, non pensano che il gioco d’azzardo possa costituire un problema, una dipendenza e che questi aspetti negativi possano presentarsi anche nei giovanissimi. Il primo passo, perciò, è parlare di ludopatia in modo che tutti capiscano che cosa sia”.
Il gioco entra, infatti, nelle vite dei ragazzini in maniera strisciante, ha sottolineato Mele, perché è un’attività “normale”, tollerata e praticata abitualmente in famiglia. “Pensiamo che il 90% dei genitori non sa che cosa significhi il termine ludopatia – ha aggiunto – eppure a uno su due è capitato che il figlio volesse giocare, magari contribuendo a scegliere i numeri per la schedina del superenalotto o provando un gratta e vinci. Il 50% dei genitori frequenta sale scommesse più o meno frequentemente: in questa situazione, non stupisce che il 55% dei ragazzi partecipi ai giochi d’azzardo dei grandi o chieda di farlo”.
Insomma, la “normalità del male” circonda i giovani e li corrompe senza che gli adulti se ne accorgano, anche perché nonostante molti genitori si dichiarino preoccupati che il proprio figlio giochi d’azzardo (55%) e pur essendo consapevoli che il gioco possa diventare patologico anche nei minori (75%), la maggioranza non fa nulla per proteggere i figli: una famiglia su due non ha limitazioni di accesso ai siti vietati ai minori sul computer di casa. “L’atteggiamento ambivalente dei genitori è inquietante: da un lato preoccupati, dall’altro inerti – ha detto Mele – Percepiscono più o meno chiaramente che il gioco d’azzardo potrebbe essere un problema, alcuni sanno che i propri figli giocano, ma non sanno con chi e sembra quasi che sia qualcosa che non li riguardi. Tant’è che il 51,3% delle famiglie non adotta filtri sui computer di casa per limitare gli accessi ai siti vietati ai minori”.
I giovanissimi non giocano per fare soldi, ma soprattutto per divertimento, per emozione. Eppure, tra il 25% dei bambini con meno di 10 anni che ha giocato al gratta e vinci, alle lotterie, al bingo, il 5% lo fa spesso e in genere per il brivido della scommessa, perché a questa età è ancora labile il concetto del valore dei soldi. Videopoker e slot-machine, con i loro colori sgargianti, attraggono anche i più piccoli, tanto che ci gioca il 7-8% degli under 10 e vorrebbe farlo il 13%.
Come arginare questi inquietante fenomeno? I pediatri della Società Italiana Medici Pediatri (SIMPe) si stanno attrezzando: hanno lanciato da Marrakech la prima campagna di sensibilizzazione nazionale contro le ludopatie nei minorenni “Ragazzi in gioco”.
Attraverso corsi di formazione dedicati ai pediatri accenderanno i riflettori su dipendenza dal gioco, sintomi e tutte le conseguenze. Professionisti formati che, a caduta, sensibilizzeranno le famiglie e gli studenti nelle scuole. “Paradossalmente – ha spiegato il presidente della SIMPe – la fascia di età che va dai 12 ai 30 anni sta diventando terra di nessuno: pensano di stare bene e non si rivolgono al medico. Noi pediatri abbiamo quindi un compito: cambiare pelle e iniziare a porre attenzione su di loro. Dobbiamo guardare non solo ai bambini e ai giovanissimi ma alla famiglia nella sua interezza. Perché i problemi dei giovani sono legati all’ambito familiare in cui vivono. Come professionisti dobbiamo quindi concentrarci sulla famiglia nella sua interezza”.
E nel caso delle ludopatie occorre intervenire. “È fondamentale fare prevenzione spiegando che le scommesse possono diventare una malattia – ha aggiunto il presidente SIMPe – una dipendenza con sintomi precisi che può avere conseguenze nefaste per se stessi e per la propria famiglia. Dobbiamo riuscire a togliere fascino di passatempi pericolosi, perché un bimbo che si gioca la paghetta alla sala giochi diventerà molto probabilmente un adulto che butterà lo stipendio in qualche sala scommesse”.
C’è una grande attenzione da parte del ministero della Salute, che ha voluto accendere un faro sulle problematiche legate ai bambini e agli adolescenti, ha infine concluso Mele: “Per questo abbiamo stretto con la Salute un protocollo di intesa sulle problematiche legate all’acquaticità, ossia alle criticità legate all’annegamento e alle corrette tecniche di salvataggio in acqua e ora proseguiamo con le ludopatie con corsi di formazione ai pediatri per poi sensibilizzare giovani e le famiglie”.
(Fonte: «Quotidiano Sanità»)
Arriva in Italia la carovana dei “custodi dei semi”: obiettivo biodiversità
29 aprile 2014
Tappa a Firenze per la carovana dei “custodi dei semi”, il 29 aprile. Sono i contadini di 26 associazioni presenti in decine di Paesi, guidati dall’ambientalista indiana Vandana Shiva, che attraversano l’Europa per sostenere la difesa dei semi tradizionali: quelli che non si comprano, che non dipendono dalle multinazionali e conservano i sapori antichi. Questo nuovo movimento, radicato nelle comunità più povere del pianeta, denuncia il “genocidio delle tradizioni alimentari e culturali” e il “furto di biodiversità”. Di fatto oggi i tre quarti dei semi utilizzati in agricoltura provengono dall’agroindustria: un consistente passaggio di ricchezza dal settore agricolo a quello industriale.
A questo passaggio si è accompagnata una drastica diminuzione della varietà genetica. Nella storia dell’agricoltura circa 10 mila specie vegetali sono state utilizzate per produrre cibo per gli uomini o per gli animali addomesticati. Oggi questa ricchezza si è prosciugata: 150 colture nutrono la maggior parte della popolazione mondiale. E di queste 12 (soprattutto riso, frumento, mais e patate) garantiscono l’80 per cento del cibo di origine vegetale. Un impoverimento del patrimonio genetico che potrebbe costarci caro in tempi di mutamento climatico, con un bisogno crescente di piante capaci di sopportare situazioni di stress idrico.
“Fino a 50 anni fa in Grecia si coltivavano 500 varietà di semi, ora siamo a 20”, ricorda Panagioti Sainatoudi, un agricoltore che nel 1995 ha fondato in Grecia Peliti, la più importante organizzazione europea per la raccolta, la conservazione e la distribuzione dei semi tradizionali con una rete di 220 agricoltori che forniscono semi gratuitamente. Oggi, dopo aver distribuito più di 2000 varietà a oltre 120 mila agricoltori, Sainatoudi guida assieme a Vandana Shiva la carovana internazionale dei guardiani delle sementi che parteciperà il 28 e 29 aprile al Festival dei semi, del cibo e della democrazia della terra.
“La normativa dell’Unione europea in questo settore va rivista perché permette di comprare e vendere solo i semi che si conformano alle logiche del modello industriale”, aggiunge Maria Grazia Mammuccini, vicepresidente di Navdanya International (l’associazione fondata da Vandana Shiva) e di Aiab. “Nel registro nazionale varietà possono essere inserite unicamente le varietà distinte, uniformi e stabili. Quindi, per definizione, le varietà locali non sono ammesse: quello che per la natura è essenziale, cioè la diversità e l’adattabilità, per la legge è vietato. Se vogliamo difendere la nostra sicurezza alimentare, bisogna inserire il principio della proprietà collettiva delle varietà locali”.
Al Festival di Firenze, come atto di disobbedienza civile, i semi non verranno venduti ma scambiati. Tra i banchi si potranno trovare le 30 varietà di patate e le 20 di fagioli tipiche della Toscana portate in piazza da Viviano Venturi, fondatore dell’Associazione Agricoltori Custodi, assieme alle sementi del network Seed Vicious (dalla lattuga pesciatina al cetriolino di Parigi) e al sesamo nero e alla perilla rossa che vengono dal Giappone.
Antonio Cianciullo
(Fonte: «la Repubblica»)
Il Viminale: «Oltre 800mila migranti verso l’Europa, il sistema è al collasso»
29 aprile 2014
“Ci sono 800mila persone, se non di più, pronte a partire dall’Africa verso l’Europa”. È l’allarme lanciato dal direttore centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, Giovanni Pinto, il 29 aprile in audizione dalle commissioni Difesa ed Esteri riunite del Senato. “Il sistema di accoglienza per i migranti”, ha aggiunto Pinto, “è al collasso, non abbiamo più luoghi dove portarli e le popolazioni locali sono indispettite dal continuo arrivo di stranieri”.
“Come durante la Primavera araba”. Secondo la disamina di Pinto, nel 2014 sono arrivati via mare 25mila migranti, più della metà di quelli giunti nell’intero 2013, quando furono 43mila. Di questi, il 90 per cento è partito dalla Libia. I numeri, ha aggiunto Pinto, “sono in linea con quelli del 2011, l’anno delle cosiddette primavere arabe, quando arrivarono 63mila migranti. Il Viminale sta pensando ad un piano di accoglienza per 50 mila migranti, perché i 16 mila posti dello Sprar (il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) non sono sufficienti”. “Servono altri fondi”. “L’operazione ‘Mare nostrum’ ha dato risultati eccellenti”, ha detto Pinto, “ma ha anche incrementato le partenze dalla Libia”. “Quelli sostenuti per l’operazione Mare Nostrum, per i voli di trasferimento interno e per i voli di rimpatrio dei migranti sono costi complessivamente significativi”, ha continuato Pinto, “ogni mese di pattugliamento costa 9 milioni e mezzo di euro. A questa somma vanno aggiunti, per il solo 2014, 1,27 milioni per i 31 voli charter di rimpatrio: 21 per l’Egitto, 8 per la Tunisia e 2 per la Nigeria. Altri 2,5 milioni – ha ricordato Pinto – sono serviti per i voli di trasferimento interno dei migranti verso le varie località di destinazione. Questa ultima voce è stata coperta da finanziamenti europei, ma ora servono altri fondi”.
Exit strategy da Mare Nostrum. Dopo la tragedia del 3 ottobre a Lampedusa, ha ricordato Pinto, “non abbiano più morti e questo è un dato oggettivo. Meglio gli arrivati che i morti, anche se un così massiccio arrivo di persone crea problemi. Mare Nostrum ha svolto un’operazione di drenaggio delle partenze, raccogliendo finora 23mila persone”. Secondo Pinto, serve “una exit strategy da Mare Nostrum. La Commissione europea – ha sottolineato – deve mettersi le mani in tasca e dare risorse”.
L’allarme di Alfano. La stima di Pinto supera, e di gran lunga, quella dello stesso titolare del Viminale, il ministro dell’Interno Angelino Alfano, che poco meno di un mese fa aveva lanciato un simile allarme: “Secondo le nostre informazioni, in Nordafrica ci sono tra 300 e 600mila persone in attesa di transitare nel Mediterraneo. Si tratta di persone che molto spesso finiscono nelle mani di trafficanti di morte, trafficanti di esseri umani”. “Noi ci batteremo perché l’Europa difenda le frontiere”; aveva aggiunto Alfano, “lo strumento c’è, si chiama Frontex, va potenziato. Se non si difende la frontiera non si risolve il problema degli sbarchi”.
(Fonte: «la Repubblica»)
Codice deontologico, da Aaroi-Emac osservazioni e richieste di modifica
30 aprile 2014
«È essenziale che le disposizioni del nuovo Codice deontologico mantengano al centro dei loro obiettivi gli aspetti etici e non prefigurino alcuna fuga in avanti rispetto alle vigenti disposizioni di legge e ai contratti collettivi nazionali di lavoro, soprattutto in tema di responsabilità professionale» lo sottolinea Alessandro Vergallo, Presidente Aaroi-Emac, Associazione Anestesisti Rianimatori Ospedalieri Italiani Emergenza Area Critica, in una nota di commento sull’aggiornamento del Codice di deontologia medica.
Come è noto – sottolinea Vergallo – «il Codice, al quale i medici devono uniformare il proprio comportamento professionale, è un corpo di regole “ordinamentali”, che anche se non rappresentano una fonte primaria di diritto, una volta approvate possono essere un’arma a doppio taglio, anche in tribunale».
Tra le principali osservazioni, l’Aaroi-Emac interviene sulle Prescrizioni diagnostico-terapeutiche (art. 13), rivendicando l’esclusiva competenza del medico, così come la sua autonomia e la sua responsabilità nel rispetto delle normative in materia, non ritenendo opportuno che il Codice deontologico si sostituisca a regole di sistema, e/o a norme di legge, ma nel contempo lasci ricadere sul singolo medico eccessive prerogative e responsabilità.
Sull’articolo 16, dedicato ai Trattamenti diagnostico-terapeutici, l’Associazione richiede che le risorse umane necessarie alle cure sanitarie non siano ricondotte forzosamente alla “disponibilità” e allo “spirito di sacrificio” del singolo medico, e che favoriscano un’individuazione condivisa, da parte dei medici e dei pazienti, delle rispettive autonomie di scelta e di responsabilità.
E proprio sul rapporto medico/paziente (art. 20 – Relazione di cura), viene richiamata la necessità di una reciproca fiducia, basata sul mutuo rispetto dei valori di entrambi, e su un’informazione bilateralmente comprensibile e completa, da una parte sullo stato e sulle aspettative di salute, dall’altra sulle possibilità di cura. Rispetto agli articoli che richiamano il consenso informato, viene sottolineata la necessità di chiarire meglio le modalità obbligatorie di consenso, dato che se ne parla in modo frammentario e diversificato (consenso, consenso scritto, consenso scritto e sottoscritto), con ciò rischiando di generare una pericolosa confusione.
L’Associazione contesta inoltre l’art. 54, che vorrebbe introdurre anche per i medici dipendenti, equiparandoli ai liberi professionisti, un obbligo assicurativo, irrazionale e non previsto dalla legge, con un vincolo a fornire gli estremi di polizza assicurativa ai pazienti che per tramite delle Strutture Sanitarie pubbliche e private convenzionate si affidano alle loro cure. Le ultime due osservazioni riguardano i Rapporti con il medico curante (art. 59), laddove, per evidenti motivi di continuità e di sicurezza delle cure, viene richiesto un vincolo reciproco di informazione sanitaria tra medici ospedalieri e colleghi del territorio, e i Rapporti con le Strutture Sanitarie Pubbliche e Private (art. 68), con la richiesta di estendere anche ai medici dipendenti di Cliniche Private convenzionate il divieto di comportamenti che possano favorire la libera professione a pagamento, qualora tali comportamenti fossero finalizzati indebitamente e scorrettamente a scoraggiare i pazienti dall’affidarsi a prestazioni analoghe, ma garantite dal Ssn pubblico.
(Fonte: «Doctor 33»)
Carceri: in Europa solo la Serbia peggio dell’Italia
30 aprile 2014
Solo la Serbia peggio dell’Italia per sovraffollamento delle carceri in Europa. È uno dei dati pubblicati nel rapporto 2012 sugli istituti di pena del Consiglio d’Europa. L’analisi non fa che confermare che l’Italia deve riuscire a risolvere il problema del sovraffollamento carcerario. Nel 2012, un anno prima della sentenza Torreggiani con cui la Corte di Strasburgo condannava il nostro Paese per il sovraffollamento carcerario infatti, l’Italia è risultata ancora una volta nella top ten di quelli con il maggior numero di detenuti per posti disponibili. In quel momento, con 66.271 detenuti e 45.568 posti disponibili, c’erano 145 carcerati per ogni 100 posti. Peggio dell’Italia solo la Serbia, con un rapporto di quasi 160 detenuti per ogni 100 posti.
Il monito di Napolitano. Un problema quello del sovraffollamento degli istituti di detenzione che ha sollevato proprio da poco ancora una volta l’attenzione del capo dello Stato. Giorgio Napolitano ha chiesto alle Camere di fare il punto sulle misure adottate e di rispettare la sentenza di Strasburgo. E ha tenuto a ringraziare il Papa per la telefonata a Marco Pannella: il leader radicale che, come ha detto il presidente della Repubblica, “perora la causa dei detenuti anche a rischio della sua salute”.
Detenuti in attesa di giudizio. Secondo il Consiglio d’Europa, l’Italia con 12.911 detenuti in attesa di giudizio (di cui 10.717 stranieri) è preceduta da Turchia (32.470) e Ucraina (16.281). Ma tra i paesi Ue il nostro paese precede Francia (12.870) e Germania (11.195). Non sono invece pervenuti i dati che riguardano la Grecia.
Gli stranieri. L’Italia nel 2012 è stato il Paese del Consiglio d’Europa con il maggior numero di detenuti stranieri nelle sue carceri. In totale erano 23.773, e rappresentavano quasi il 36% dell’intera popolazione carceraria. Dopo l’Italia i paesi con più detenuti stranieri sono la Spagna (23.423), la Germania (19.303), la Francia (13.707) e l’Inghilterra e il Galles (10.861).
I suicidi. Nelle carceri italiane nel 2011 si sono suicidate 63 persone e il nostro Paese è secondo solo alla Francia, dove nello stesso anno si sono tolti la vita 100 detenuti. Seguono poi le carceri d’Inghilterra e Galles (57), Germania (53) e Ucraina (48). L’Ucraina è invece lo Stato dove si registra il maggior numero di morti dietro le sbarre, 1.009, seguono poi la Turchia (270), la Spagna (204) e Inghilterra e Galles (192).
Le fughe. Il nostro è uno dei Paesi del Consiglio d’Europa con il minor numero di fughe dal carcere o durante il trasporto in tribunale, ad altro istituto penitenziario o all’ospedale. In totale nel 2011 sono riusciti a evadere 5 detenuti. Il primato per numero di evasioni spetta alla Svizzera (33), seguita dall’Austria (30), Francia (29), Belgio (28), Turchia e Scozia entrambe con 24 evasioni. La maggior parte dei detenuti fugge durante i permessi d’uscita o quando è sotto un regime di semi libertà. Le persone fuggite in Italia in queste circostanze sono state 148 nel 2011. Numero molto distante da quelli riportati per la Spagna (1.510), la Francia (888) o il Belgio (702).
Il costo. L’Italia ha speso in media 123,75 euro al giorno per ogni detenuto nel 2011, quasi 7 euro in più rispetto all’anno precedente (116,68 euro). Dallo stesso rapporto del Consiglio d’Europa emerge anche che tra il 2011 e il 2012 è aumentato il numero di guardie carcerarie, mentre al contempo scendeva il numero di detenuti.
Un problema quello del sovraffollamento che colpisce non solo i detenuti, ma anche chi lavora nelle carceri. Proprio nel giorno della diffusione del rapporto del Consiglio d’Europa, un agente della polizia penitenziaria di Padova, 47 anni, è stato trovato privo di vita nel garage della sua abitazione a Villafranca Padovana. “L’agente – come spiega Donato Capece, segretario nazionale del Sappe – si sarebbe suicidato sparandosi alla testa per lo stress da lavoro, una circostanza che accade sempre più spesso tra i colleghi più fragili e generata dalla mancanza di personale e turni troppo pesanti”.
(Fonte: «la Repubblica»)
Fecondazione, boom di domande per l’eterologa: 3400 in 22 giorni
30 aprile 2014
Sono circa 3.500 i contatti e le richieste di coppie per accedere alla fecondazione eterologa in soli 22 giorni, da quando, lo scorso 9 aprile, la Consulta ha dichiarato incostituzionale il divieto di eterologa della legge 40. Email e telefonate che sono arrivate nei centri di fecondazione Cecos Italia.
Dal giorno successivo alla sentenza della Corte Costituzionale, Cecos Italia ha avuto a che fare con decine di quesiti. Una media di 150 al giorno. Domande alle quali però l’associazione, che raggruppa una rete di centri di fecondazione pubblici e privati in cui si effettuano circa 10 mila cicli l’anno, non è riuscita a rispondere in modo certo. Accanto alla rete Cecos, nel nostro Paese si occupano di fecondazione molte altre strutture sanitarie. Per questo altre centinaia di quesiti potrebbero essere arrivate in altri centri italiani in questi giorni.
“Servono linee guida”. “Tutte le coppie fanno la stessa domanda: qual è l’iter da seguire per la fecondazione eterologa? Chiedono se ci sono liste di attesa, quali sono i costi, le procedure tecniche, le garanzie del centro”. Sono “coppie consapevoli che vogliono risposte certe – spiega Elisabetta Coccia, presidente Cecos e docente di Ginecologia e Ostetricia all’università di Firenze – e rimangono sorprese del fatto che ad oggi non sono state emanate linee guida dal ministero della Salute, nonostante noi società della riproduzione abbiamo dato la nostra totale disponibilità a un tavolo tecnico di confronto. È necessario che il ministero della Salute dia delle indicazioni chiare attraverso delle linee guida”. Il punto è che, anche se i Centri sarebbero “tecnicamente” pronti ad effettuare questo tipo di interventi, sottolinea l’esperta, “non potremo partire se il ministero non darà indicazioni per chiarire il quadro di riferimento”. Molte famiglie in attesa dovranno aspettare ancora un poco per chiarire i loro dubbi. Non sono state ancora pubblicare le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale e probabilmente in seguito il ministero della Salute si occuperà delle linee guida sull’eterologa.
“Ricevo circa cinque domande al giorno. In tutto il Paese le richieste dovrebbero essere migliaia. Le coppie sono impazienti di avere spiegazioni su come fare la fecondazione eterologa nel nostro paese – dice Andrea Borini presidente della Società italiana di Fertilità e sterilità – . Ora che sanno che le cose in Italia sono cambiate vogliono fare tutto qui. Sono situazioni delicate e preferiscono stare vicino casa. Fra l’altro uno dei problemi dei viaggi all’estero è che i costi sono elevati. Servono spiegazioni che per ora non possiamo dare”. Ma quanto dovranno aspettare ancora questi futuri genitori per avere risposte precise? “Penso che le risposte siano vicine, poco più di un mese”.
Molte richieste di ovodonazione. Ad aumentare, nei centri Cecos, sono soprattutto “le richieste di ovodonazione e non solo limitatamente all’età di accesso all’eterologa”. Sono molte, infatti, le donne la cui fertilità è stata compromessa a causa di neoplasie o menopausa precoce o per interventi chirurgici. Ci sono inoltre i casi in cui la donna è fertile ma è portatrice di una malattia genetica, o quelli in cui i ripetuti tentativi fallimentari portano la coppia stessa a intraprendere altre strade.
Valeria Pini
(Fonte: «la Repubblica»)
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