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Paxlovid per Covid-19: perché è poco usato e perché non vale un prolungamento d’uso per evitare il rischio di un “ritorno” da Covid ?

22 Giugno 2022

Tra i farmaci antivirali per la cura del Covid-19 il Paxlovid (nirmatrelvir/ritonavir) è il meno scelto nonostante la determina dell’Aifa di aprile scorso con la quale se ne facilitava l’uso concedendone la prescrizione anche ai medici di medicina generale rinnovabile di volta in volta oltre già agli specialisti dei centri Covid individuati dalle regioni e consentendone quindi l’acquisizione nella farmacia del territorio. Si era resa veloce la procedura terapeutica perché la sua buona efficacia è legata alla somministrazione di questo farmaco entro i primi cinque giorni dall’esordio dei sintomi della malattia.

Ne aveva dato parere favorevole il presidente della Federazione nazionale dei medici e odontoiatri Filippo Anelli nel giorno di discussione da parte dell’Agenzia del farmaco italiana Aifa: «Si tratta di una misura che permetterà ai pazienti che ne hanno i requisiti di accedere alle terapie nei tempi previsti per ottenerne i benefici….Affidare la prescrizione ai medici di medicina generale significherà portare il farmaco laddove serve, al letto del paziente, nei tempi previsti. Sosteniamo quindi con favore tutti quei processi che implementino i servizi ai cittadini, facilitando il più possibile l’accesso ai farmaci necessari ed appropriati» (Fnomceo, 12 aprile 2022).

L’Aifa nella determina di aprile scorso autorizzava la prescrizione di Paxlovid, in forma di compressa, anche da parte del medico di famiglia mediante ricetta elettronica inserendolo nel piano terapeutico Aifa e ne specificava l’uso per gli adulti per il trattamento precoce del Covid-19 lieve e moderato nei pazienti che non sono ospedalizzati ma a rischio di un aggravamento del Covid-19 in forma severa, seppure non necessitano al momento di ossigenoterapia supplementare, per il loro stato di salute in cui si trovano ad essere come malati oncologici, affetti da cardiopatie, diabetici affetti da diabete mellito non compensato, broncopneumopatici cronici e gravi.

Nel bollettino più recente dell’Aifa, pubblicato il 10 giugno 2022, di monitoraggio nazionale e regionale degli antivirali per Covid-19, risultano 2.210 persone a cui è stato avviato il trattamento precoce di Paxlovid per pazienti non ospedalizzati al 7 giugno, per poco più di un mese dal rilascio della prescrizione ai medici di famiglia. E ne hanno usufruito da febbraio 2022 (riferimento determina del 3 febbraio 2022, Gu 7.02.2022), allora non era prevista la prescrivibilità ai medici di famiglia ma solo la segnalazione delle persone, di 20.392 trattamenti avviati non ospedalizzati.

Il Quotidiano Sanità.it ha messo in evidenza la criticità sullo «scarso ricorso al farmaco» facendo notare come «l’Italia abbia opzionato 600 mila trattamenti per l’anno in corso», ritenendo ciò «un dato inspiegabile visto che ogni mese in Italia continuano a morire migliaia di persone positive al Covid» e poi perché «se assunto entro cinque giorni dalla comparsa dei sintomi riesce a prevenire dell’80% il rischio di ospedalizzazione». Ha indicato i possibili paletti, la limitazione prescrittiva che riguarda pazienti adulti che si trovano in particolari condizioni di salute, che non necessitano di ossigenoterapia supplementare e sono a rischio elevato di un peggioramento in forma severa del Covid, e una maggiore formazione al riguardo da parte dei medici di famiglia.

Non tanto sulla scarsa conoscenza sull’uso del farmaco quanto «più in generale sulla tipologia dei casi risultati positivi al tampone registrati negli ultimi mesi», ha replicato il segretario provinciale della federazione dei medici di medicina generale Fimm di Roma Pier Luigi Bartoletti nell’articolo di G. Rodriguez di Quotidiano Sanità.it. Il trattamento con Paxlovid richiede l’osservazione a condizioni specifiche. Le persone giovani e in salute non sono idonei. E se nell’anziano con tampone positivo vi sono multicomorbidità, alla luce del rapporto rischio/beneficio un trattamento con Paxlovid avrebbe reso necessario sospendere almeno per una settimana tutte le altre terapie, ha spiegato Bartoletti. Gli anticorpi monoclonali sarebbero in questo caso l’opzione migliore.

«L’aver opzionato 600 mila trattamenti è stata una scelta prudenziale e corretta», ha aggiunto il segretario provinciale Fimmg Bartoletti facendo osservare come i casi di contagi aumentano in modo veloce, si alza l’età media dei positivi e la variante continua a diffondersi, persino a 35 gradi all’ombra e sollecitando a prepararsi per l’autunno in cui si richiederà di individuare le diverse patologie respiratorie e virali in circolo.

Del Paxlovid se ne è parlato in questo mese di giugno anche per i suoi limiti, di un ritorno del covid-19 che si può talvolta verificare dopo il trattamento, con un test che negativizzato ritorna positivo. Una notizia che ha una rilevanza scientifica, attualmente è in corso di studi, viene detto “effetto rebound”, lo fa evidenziare la Federazione dei medici e degli odontoiatri dando informazione sul proprio sito della Fnomceo Dottore ma è vero che..? che riporta l’avviso pubblico del Centro di prevenzione e di controllo delle malattie CDC del governo statunitense (24 maggio 2022, Cdc Health advisory, Covid-19 Rebound After Paxlovid Treatment). Il ritorno del Covid-19 dopo il trattamento con Paxlovid orale riguarda l’1-2% dei casi guariti che abbiano ricevuto il farmaco o il placebo. E ciò non spiega se è correlato al trattamento del farmaco.

Il Cdc spiega che il “ritorno” si presenta con la ripresa dei sintomi della malattia o in forma asintomatica diagnosticato con un test positivo successivo ad uno negativo. Vi sono alcuni individui con una risposta immunologica normale che dopo aver completato un ciclo di cinque giorni di Paxlovid per l’infezione confermata in laboratorio e guariti possono fare esperienza di una ricaduta della malattia nei 2 -8 giorni dal tempo della guarigione, compreso quelli che sono stati vaccinati o richiamati con una dose aggiuntiva “booster, sono stati negativizzati dopo il trattamento per poi mostrare una positività virale manifestata con sintomi della malattia da Covid-19 o asintomatica da un test antigenico positivo.

Il documento del Cdc statunitense fornisce alcune possibili risposte sul ritorno dei sintomi. Può far parte della storia naturale del virus Sars-CoV-2 in alcune persone a prescindere dal trattamento di questo farmaco e dello stato vaccinale. La conoscenza è tuttora in corso e dai dati riportati «nelle persone trattate con Paxlovid che fanno esperienza di ricaduta da Covid-19 la malattia si è manifestata in modo mite; non ci sono rapporti di malattia in forma severa. Attualmente non c’è alcuna evidenza della necessità di un trattamento aggiuntivo con questo farmaco o altre terapie anti Sars-CoV-2 nei casi in cui un ritorno del Covid-19 sia sospetto». A differenza dell’Italia la FDA statunitense l’ha autorizzato anche per uso pediatrico dai 12 anni di età con un peso di almeno 40 kg.

Nei casi riportati di recente, scrive ancora il Cdc, la ricorrenza della malattia e i risultati positivi al test sono migliorati o risolti – in media, in 3 giorni – senza trattamento aggiuntivo anti-Covid-19. Questo effetto di ricaduta non rappresentava una reinfezione da Sars-CoV-2 o lo sviluppo di una resistenza al Paxlovid-19; tra i casi conosciuti non è stato identificato alcun patogeno respiratorio e una trasmissione infettiva durante il ritorno del Covid-19 è stata descritta. Tuttavia rimarca il Cdc la probabilità di trasmissione durante la ricaduta differisce dalla probabilità di trasmissione durante l’infezione iniziale.

Per prevenire la diffusione del contagio raccomanda i pazienti con ritorno dei sintomi da Covid o con nuovo test positivo dopo averlo avuto negativo, un re-isolamento di almeno 5 giorni, concluderlo al termine dei quali se non compare la febbre per 24 ore e si ha un miglioramento dei sintomi, l’uso della mascherina per un totale di 10 giorni dall’esordio dei sintomi. Alcuni soggetti hanno continuato ad essere positivi dopo 10 giorni. Così conclude il documento: «Poiché non vi sono rapporti di malattia severa tra le persone con ricaduta, Paxlovid continua ad essere raccomandato per un trattamento a breve termine di Covid-19 da lieve a moderato tra le persone ad elevato rischio per la progressione a malattia severa».

Uno studio californiano di Deborah E. Malden, Vennis Hong et. al. (21 giugno 2022), intitolato Hospitalization and Emergency Department Encounters for Covid-19 After Paxlovid Treatment, California December 2021-May 2022) citato dal Centro di Prevenzione e Controllo delle malattie infettive statunitense, mostra l’analisi di dati raccolta dai registri sanitari elettronici (Ehr) del sistema sanitario integrato in California sulle ammissioni ospedaliere e di emergenza correlate alle infezioni da Sars-CoV-2 durante i 5-15 giorni dopo la terapia di 5 giorni con il Paxlovid su 5.287 soggetti di età uguale o superiore ai 12 anni che hanno ricevuto il Paxlovid, durante il periodo dal 31 dicembre 2021 al 26 maggio 2022. Soggetti che per il 73% hanno ricevuto 3 o più dosi di vaccino covid-19, l’8% non sono stati vaccinati. Si è riscontrato che «ospedalizzazione o in emergenza per Covid-19 durante i 5-15 giorni dopo la somministrazione di Paxlovid sono accaduti sotto l’1% tra tutti i pazienti».

La discussione verte su un altro tema, non su quello dei vantaggi sull’uso di questo farmaco per i quali viene prescritto, ma quello «sull’eventuale prolungamento o ripetizione della terapia che potrebbe essere autorizzato in futuro soltanto nel caso in cui emergessero benefici sufficienti a controbilanciare i rischi legati all’antivirale, soprattutto nei pazienti con un’insufficienza renale anche lieve», afferma Roberta Villa della Fnomceo nell’articolo Finito l’antivirale Covid-19 torna forte come prima?

La Food & Drug Administration statunitense informerà degli ulteriori sviluppi della revisione dei dati clinici sperimentali. Al momento, in data 4 maggio 2022, per il direttore dell’Ufficio delle malattie infettive John Farley «non c’è evidenza alcuna di benefici per un corso di trattamento più lungo (ad esempio 10 giorni anziché i 5 raccomandati per il Paxlovid nella scheda dell’azienda farmaceutica) o di una ripetizione del ciclo terapeutico con il Paxlovid nei pazienti con sintomi di ricaduta del Covid al termine del trattamento». Conclude sostenendo che «c’è una forte evidenza scientifica della riduzione di rischio di ospedalizzazione e decesso nei pazienti con il Covid -19 leve-moderato ad elevato rischio di progressione a malattia severa. Si aspetta anche che sia efficace contro la variante Omicron».

CCBYSA

(aggiornamento 23 giugno 2022 ore 16.08)

redazione Bioetica News Torino