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Pediatria. La proposta della Sip per eliminare le diseguaglianze territoriali nell’accesso alle cure

10 Ottobre 2014

In Italia il tasso di mortalità infantile è sensibilmente inferiore alla media europea e quasi la metà rispetto a quello degli Stati Uniti. Tuttavia, lungo lo Stivale, permangono consistenti disparità territoriali: nelle Regioni meridionali la mortalità infantile (rappresentata per il 70% dalla mortalità neonatale) rimane del 30% più elevata rispetto alle Regioni settentrionali.

Un bambino che viene al mondo in Toscana è sottoposto allo screening neonatale metabolico allargato, che consente di diagnosticare, e quindi trattare precocemente, più di 40 patologie rare, mentre un bambino che nasce in Campania viene monitorato solo per i tre test obbligatori per legge (ipotiroidismo congenito, fibrosi cistica e fenilchetonuria). Nel Lazio e in Sicilia, invece, alcuni bambini fanno lo screening allargato, altri solo i tre obbligatori.

Un quadro preoccupante, analizzato nel documento ‘La salute dei bambini e la sanità delle Regioni: differenze inaccettabili’, elaborato dal Comitato di Bioetica della Società italiana di pediatria (Sip). Come indica il dossier, sono molteplici le difformità lungo il territorio italiano. A partire dai vaccini. In Puglia, in Basilicata, in Veneto e in Toscana da quest’anno i bambini saranno gratuitamente vaccinati contro il temibile meningococco B, una tra le principali cause di meningite da meningococco con esiti mortali e danni permanenti (ipoacusie, amputazioni ecc) con maggiore impatto nel primo anno di vita.

Nelle altre Regioni d’Italia i bambini non riceveranno l’immunizzazione gratuita, anche se alcune Asl, in base alle risorse economiche disponibili, hanno deciso di offrirla nel proprio ambito territoriale ai nuovi nati o ai soggetti a rischio. E se in Italia circa 15 mila minori necessitano di cure palliative, sono solo 5 le Regioni in cui è stata attivata la rete pediatrica di cure palliative prevista dalle legge 38/2010.

“Questa situazione è inaccettabile, sia guardando alla disomogeneità nella qualità del servizio offerto sia guardando alla confusione normativa che si è creata – afferma il presidente della Sip Giovanni Corsello – I bambini pagano un prezzo particolarmente alto a questa disomogeneità e a questa confusione. I bambini italiani, oggi, non sono tutti uguali: programmi di vaccinazione, screening neonatali, rete punti nascita, assistenza oncologica e cure palliative rappresentano altrettante priorità di una politica sanitaria che non è stata capace di garantire i fondamentali principi di uguaglianza, universalità e equità. E purtroppo nemmeno i livelli essenziali di assistenza. Come testimonia il Rapporto Verifica Adempimenti Lea 2012 una sola Regione italiana, il Veneto, fra le 16 prese in esame, risulta in regola ‘per tutti gli adempimenti oggetto di verifica’ e sono purtroppo molte quelle che dimostrano di non saper assicurare neppure i livelli considerati appunto essenziali”.

Da qui l’appello lanciato dalla Società italiana di pediatria alle istituzioni, affinché intervengano per porre rimedio a questa palese violazione di principi costituzionali il cui rispetto non può dipendere dalla Regione di appartenenza. “La cabina di regia nazionale prevista dal Patto per la salute per gli anni 2014-2016 non basterà a correggere le distorsioni – afferma Stefano Semplici, presidente del Comitato per la Bioetica della Sip e presidente del Comitato internazionale di Bioetica dell’Unesco – Occorre un ripensamento radicale degli esiti della ‘regionalizzazione’ del sistema sanitario, fermando almeno la tendenza alla divaricazione fra le Regioni e orientando la loro autonomia all’obiettivo di una crescente integrazione, perché questa è l’unica direzione coerente con l’articolo 32 della Costituzione”.

La Sip propone, in questa prospettiva, approfittando del dibattito in atto sulla riforma del titolo V della Costituzione, la sostituzione della attuale lettera ‘m’ dell’articolo 117 della Costituzione con il testo seguente, anziché quello uscito dal Senato: (…) lo Stato ha legislazione esclusiva rispetto alla “determinazione dei livelli appropriati e inderogabili di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, al fine di garantire una adeguata parità di trattamento su tutto il territorio nazionale; (alle) disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per la sicurezza alimentare e per la tutela e sicurezza del lavoro”.

“Una formulazione di questo tipo – conclude Semplici – salvaguarderebbe l’autonomia delle Regioni rispetto alla “programmazione e organizzazione” dei servizi, ma limiterebbe -attraverso l’utilizzo della misura di ciò che è appropriato/inderogabile e non semplicemente essenziale nel senso del minimo indispensabile – il disorientamento normativo e l’allargarsi della distanza fra chi ha di più e chi ha meno. Si rafforzerebbe anche la possibilità dello Stato di intervenire con decisione ed efficacia là dove le Regioni dimostrano di non saper svolgere il loro compito e il cerino di servizi inadeguati o semplicemente inesistenti resta nelle mani dei soggetti più poveri e vulnerabili. In queste differenze e in queste disuguaglianze, quando a tema ci sono i diritti fondamentali, sprofonda inesorabilmente la sostanza etica e politica di una cittadinanza condivisa”.

Fonte: Quotidiano Sanità

Approfondimenti: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato7156672.pdf

Lara RealeGiornalista ScientificaRedazione Web Arcidiocesi di Torino