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Povertà e diritti umani: indagine Eurostat e Caritas in occasione della Giornata internazionale contro la Povertà

20 Ottobre 2018

Il contrasto alla povertà non può prescindere dal rispetto dei  diritti umani e della dignità della persona.  È quanto si è voluto sottolineare nella Giornata internazionale contro la Povertà, la cui  25ma  ricorrenza commemorativa si è celebrata mercoledì scorso, 17 ottobre da New York,  da dove ha avuto inizio nel 1992,  indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, per estendersi nelle città di tutto il mondo. Il Segretario generale António Guterres ha infatti ricordato nel suo messaggio per la Giornata che  la povertà  è una  “questione di giustizia” e come tale va considerata se si vuole eliminarla, facendo loro essere una voce inclusiva nella società globalizzata attraverso il rispetto dei diritti umani. Quest’anno, tra l’altro, si fa  memoria del 70°anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

No poverty» che è il primo tra i dodici obiettivi per uno sviluppo sostenibile nel mondo nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, richiama  alla consapevolezza che 783 milioni di persone vivono al di sotto del limite di povertà internazionale, di  un dollaro e 90 centesimi  al giorno.  E quando ci si riferisce alla povertà non si intendono solo  mancanza di reddito e risorse ma anche  altri aspetti ad essa correlati, significativi per una comunità che abbia davvero a cuore e sappia prendersi cura di  tutte le persone che ne fanno parte.  Della povertà fanno parte diversi elementi ben noti:  fame,  malnutrizione,  difficoltà ad accedere all’istruzione e altri servizi primari, discriminazione ed esclusione sociale.

Nell’Unione europea nel 2017 si contano 113 milioni di persone a rischio di povertà o di esclusione sociale ( 22,5% della popolazione) per povertà da reddito (dopo i benefit sociali) o  materiale (difficoltà nel   pagare rate, bollette entro le date di scadenza, mantenimento del riscaldamento, affrontare spese impreviste, un fine settimana fuori casa) o con una bassissima attività lavorativa, secondo i dati pubblicati da Eurostat per la Giornata internazionale contro la Povertà. Una tendenza che in  generale è  in diminuzione rispetto al 2008 che registrava 116 milioni  ma che presenta alcune criticità per alcuni Paesi.  L’Italia come Grecia, Spagna, Paesi Bassi,  Cipro ed Estonia presenta  una controtendenza. Rispetto al 2008 con  15milioni  di persone a rischio di povertà o esclusione sociale (25,5%) il nostro Paese registra nel 2017 un aumento di 3.4 punti in percentuale con 17 milioni  (28.9%). In generale emerge un quadro in cui nel 2017 con più di un terzo della popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale vi sono  la Bulgaria (38.9%) seguita dalla Romania e dalla Grecia mentre i Paesi che oscillano  tra il 12,2% e il 17,2%  occupando le ultime posizioni sono Repubblica Ceca, Finlandia, Slovacchia, Paesi Bassi, Slovenia, Francia e Danimarca.

Dai dati del Report  2018 di Caritas Italiana pervenuti dai 1982 Centri di ascolto (il 58% del totale) situati in 185 diocesi corrispondenti all’84% delle Caritas diocesane, continua a spiccare  «una forte correlazione fra livelli di istruzione e povertà economica» che per alcune fasce di istruzione significa una  cronicità della povertà che perdura da prima degli anni della crisi economica del 2007-2008.
Si incontrano meno persone nei Centri di ascolto rispetto al 2016 ma con storie  più complesse, croniche e multidimensionali. Dei 197.332 incontrate nel 2017 42,6% sono nuovi utenti (48,6 nel 2016), il 22,4 % sono in carico da 1-2 anni ai Centri di Ascolto (CdA), 12,3 % da 3-4 anni e sono in aumento chi vive situazioni di fragilità da 5 o più anni, il 22,6% rispetto al 18,7% nel 2016.

L’età media è di 44 anni delle persone che si rivolgono a tali centri  la presenza dei giovani tra i 18 e e 34 anni risulta significativa. Questi ultimi si presentano  in maggioranza con un basso titolo di studio: il 60,9 % dei ragazzi italiani possiede una licenza media inferiore mentre quelli stranieri il 38,4%. Solo un 1,8 % degli italiani si presenta con una laurea a differenza degli stranieri con il 4%.  Con un basso livello di istruzione è più possibile andare incontro ad una situazione di povertà cronica.  La percentuale dei disoccupati tra italiani e stranieri varia di poco con il 63,8% per i primi e un lieve aumento per i secondi con il 67,4%.
L’Italia pur avendo raggiunto il limite del 26% di laureati nel 2016, obiettivo europeo prefisso entro il  2020,   si pone come fanalino di coda al penultimo posto dopo la Romania per la presenza di  laureati tra i 30-34 anni. Per gli adulti, invece, che si rivolgono ai centri, da un’indagine sperimentale condotta in alcuni Paesi e considerando l’Italia la  Grecia  e  il Portogallo per similarità di classificazione dei livelli scolastici si riscontra che in media l’11,4% sono  analfabeti o non possiedono alcun titolo scolastico e solo il 10,2% hanno il diploma di scuola media superiore a confronto con i Paesi occidentali il cui titolo è il livello minimo formativo per cercare lavoro ed evitare fenomeni di esclusione sociale.  Per prevenire il rischio di  una elevata marginalità sociale  per tali persone che ad un basso titolo di studio si associno la mancanza di una fonte di reddito (dal campione risulta il 4%) si richiede «di favorire la ricerca di un lavoro e al contempo  il raggiungimento di un livello formativo idoneo.

Tra i  bisogni appare innanzitutto la povertà economica (78,4%), poi l’attività lavorativa (54%) e  il problema abitativo (26,7%) che rispetto al 2016 è in aumento, bisogni differenti  che spesso  vengono sentiti due o più insieme in una sola persona.  Si è riscontrata anche una  presenza (4,2% del totale) per problemi legati alle fragilità dai problemi familiari (la morte o detenzione di un familiare)  allo stato di salute (depressione, salute mentale, difficoltà di assistenza).  Si è dato aiuto soprattutto con  beni e servizi materiali dalla distribuzione di pacchi viveri e vestiario al servizio di pasti alla mensa.

Non è mancata la situazione sul Reddito di inclusione (Rei),  percepito in modo positivo per il suo «buon attecchimento iniziale nei territori» dal 1 dicembre 2017 a  giugno 2018 ricevuto «da poco più di un milione su 1,7 milioni totali» con un allargamento della platea dal 1 giugno con la nuova modalità di unico accesso previsto  dall’indice di grave povertà che dovrebbe essere estesa a 2,5 milioni di persone,  ancora lontana dalla misura universalistica in , come viene fatto osservare, è «la metà dei 5 milioni in povertà assoluta oggi presenti in Italia».  Tra le criticità, in un’analisi sulla situazione dal 1 giugno,  vi è una disomogeneità geografica in presenza di povertà assoluta:  in Italia il 44% delle famiglie in povertà assoluta ne ha  diritto; nel Sud e Centro  il 50-54 % dei nuclei indigenti mentre nel Nord la percentuale è  tra il 31 e il 33%.  Poi l’importo medio attuale di 206 euro mensili è insufficiente per aiutare ad uscire dalla povertà assoluta e dovrebbe passare a  396 euro, ovvero per una persona  da 150 a 316 euro ed un nucleo di 4 persone da 263 a 454 euro.  Si conclude con l’auspicio di considerare l’esperienza  maturata del REI nell’introduzione dell’annunciato  Reddito di Cittadinanza quale strumento di novità rilevanti.

Redazione Bioetica News Torino