Ricerca. Cellule embrionali staminali in un chip. Metodo che potrebbe aprire la via a ricostruzione di tessuti e organi. È etico?
06 Luglio 2019Può aprire a prospettive della medicina rigenerativa il recente metodo di stimolazione delle cellule staminali umane embrionali in un chip che le porta ad auto-organizzarsi in differenti tipi cellulari, sviluppato da un gruppo di ricercatori dell’Institute of Bioengineering del Politecnico di Losanna (EPFL).
La ricerca, guidata dal professore Matthias Lütof, è stata pubblicata di recente sulla rivista scientifica internazionale «Nature Method», Engineered signaling centers for the spatially controlled patterning of human pluripotent stem cells. (Andrea Manfrin, Yoij Tabata, Erci R. Paquet et ali, 16, 640-648, internet 27 giugno 2019).
L’approccio è, come riporta l’abstract – di tipo microfluidico che espone colonie di cellule staminali pluripotenti umane (hPSC) a gradienti morfogeni controllati nello spazio e nel tempo. Le cellule staminali ricevono infatti una gamma altamente dinamica di concentrazioni morfogene da cosiddetti “centri di istruzione” ingegnerizzati similmente a quel che avviene in natura. Gli ordini dati alle staminali servono per sviluppare un determinato tipo di cellula specializzata o tessuto. La ricerca dimostra che la capacità intrinseca delle cellule staminali ad autoorganizzarsi può essere estrinsicamente controllata attraverso l’uso di “indicatori” ingegnerizzati.
Invece «una semplice esposizione di cellule staminali a una singola concentrazione di morfogeni finisce in una incontrollata morfogenesi perché le cellule sono prive di importanti istruzioni» spiega il prof. Lütof sulla rilevanza del metodo in un articolo pubblicato sul sito del Politecnico di Losanna (EPFL) di N. Papageorgiu, Growing Embryonic Tissue on a Chip (28.06. 2019).
In sintesi, il dr Andrea Manfrin del Laboratorio di Bioingegneria delle Cellule staminali – Politecnico di Losanna (EPFL) e sviluppatore del metodo ha simulato in vitro una prima fase dell’embrione in sviluppo dove le sue cellule iniziano a trasformarsi in differenti tipi cellulari e tessuti. Per i ricercatori ciò servirebbe a poter comprendere meglio la formazione dei tessuti nell’embrione e ad aprire la strada alla crescita di specifici tessuti umani in laboratorio e in una prospettiva più a lungo termine di organi per il trapianto.
La professoressa Assuntina Morresi, docente di Chimica presso la Facoltà di Scienze MMFFNN dell’Università degli Studi di Perugia, membro del Comitato nazionale di Bioetica, nell’editoriale di Avvenire.it del 29 giugno descrive che «la metodica sembra promettente» riguardo alla possibilità di costruire organi e tessuti umani in laboratorio. Tuttavia solleva il problema etico, la fonte delle cellule staminali embrionali. «Sarebbe superabile se si potessero utilizzare staminali pluripotenti indotte (quelle del premio Nobel Shinya Yamanaka, derivate da staminali adulte) o almeno staminali da linee cellulari già esistenti, senza dover ricorrere alla distruzione di altri embrioni».
La bioeticista spiega come il prof. Manfrin ha creato un sistema di microingegneria simile a quanto avviene nel nostro organismo, attraverso dei microcanali sostenuti da un chip che fanno fluire dei liquidi che contengono i morfogeni, una specie di “nutrienti speciali” che debbono arrivare nelle dosi e nei tempi giusti alle staminali, riproducendo quelle “indicazioni” naturali necessarie per lo sviluppo dell’embrione da indifferenziato a differenziato con organi, tessuti e cellule, «pur non riproducendo un embrione umano».
Il problema etico per le cellule staminali embrionali riguarda l’origine del materiale biologico, tessuti di aborti, spontanei o provocati, embrioni appositamente prodotti, cellule staminali adulte. La illeicità infatti secondo il Magistero cattolico riguarda il materiale di provenienza e il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente perché ne causa la sua distruzione.