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Vaccini Covid-19. Sotto osservazione rari casi sospetti di sindrome infiammatoria multisistemica

03 Settembre 2021

In Europa sono stati segnalati dopo la vaccinazione anti Covid-19 alcuni casi sospetti di reazione avversa per la sindrome infiammatoria multisistemica che ha riguardato sia bambini che adulti. Per i bambini la banca dati europea EudraVigilance fino al 19 agosto ha rilevato cinque segnalazioni di casi con il Cominarty (Pfizer), di un caso con Spikevax (Moderna) e con Janssen.

La decisione della revisione è stata presa dopo che un ragazzo 17enne in Danimarca ne è stato affetto dopo essersi vaccinato con il Cominarty. Prima di allora non aveva contratto l’infezione da Covid-19 ed ora si è ripreso del tutto, annuncia l’agenzia erogatoria dei medicinali europea, Ema (3 settembre 2021), che ha deciso per questo motivo di lasciare ogni valutazione al Comitato di sicurezza Prac per comprendere se esiste un possibile rischio di correlazione tra il vaccino anti-Covid-19 e la sindrome.

Al momento ciò non ha comportato alcun cambiamento nelle raccomandazioni dei vaccini. La revisione è in corso. L’Ema chiede ai professionisti di darne sempre ogni segnalazione di caso sospetto.

Questa sindrome infiammatoria multisistemica è una malattia clinica grave rara che prima dell’arrivo della diffusione virale del Sars-CoV-2 in Europa si constatavano tra i 2 e i 6 casi ogni centomila persone all’anno tra bambini e adolescenti sotto i 20 anni di età e meno di 2 casi ogni 100mila negli adulti con venti e più anni.

Si può manifestare in diverse parti del corpo che si infiammano e con sintomi come stanchezza, febbre persistente, diarrea, vomito, dolori allo stomaco, al torace e difficoltà nel respirare.

Il gruppo di lavoro dell’Istituto superiore di Sanità per le malattie rare e Covid-19 aveva stilato nel 2020, in piena pandemia, un rapporto (n. 29/2020)in cui evidenziava «una “plausibile” correlazione tra infezione da SarsCov-2 e insorgenza della sindrome, pur in presenza di evidenze limitate del nesso di causalità». Mentre si riteneva che i bambini avessero un andamento clinico più benigno rispetto agli adulti, con in generale una buona prognosi e una letalità dello 0,06% nella fascia di età tra i 0 e i quindici anni, dagli studi europei e nordamericani è emerso che anche i bambini in età pediatrica e adolescenziale possono ammalarsi. Alcuni presentavano sintomi simili alla malattia di Kawasaki. Studi approfonditi hanno poi individuato che si trattava della sindrome di iperinfiammazione.

Nelle zone più colpite dal virus in Italia in alcune regioni vi era un aumento di bambini con sintomi di iperinfiammazione quasi sempre collegati all’infezione da nuovo Coronavirus, spiegava l’Ospedale Bambino Gesù di Roma in una nota (aggiornata al 26 marzo 2021). Ogni collegamento con la malattia di Kawasaki è stato eliminato in quanto la malattia iper- infiammatoria si può manifestare in due gruppi diversi di età, sotto i 3 anni e dai 7 anni in su e presentarsi anche a distanza di un paio di settimane dall’infezione da Sars-CoV-2. E a differenza della malattia di Kawasaki presenta caratteristiche cliniche differenti: non la lingua a fragola, la congiuntivite e la tumefazione dei linfonodi del collo così caratteristici della malattia di Kawasaki. Dall’altro lato la malattia di Kawasaki non si presenta quasi mai sopra i 6 anni. La sindrome iper-infiammatoria può essere curata e portata a guarigione senza problemi, spiegava l’Ospedale pediatrico.

(aggiornamento 3 settembre 2021 ore 19.23)

redazione Bioetica News Torino