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La tutela dei diritti per le bambine e le ragazze nella giornata internazionale dedicata

11 Ottobre 2021

La consapevolezza di proteggere le donne sin dall’infanzia nei loro diritti umani contro ogni forma di discriminazione di genere e di violenza e aiutarle nella loro crescita educando la società ad accoglierne i valori che esse portano per una partecipazione attiva nella sfera pubblica ha preso forma istituzionalmente nel 2011, con la risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (RES66/170) dedicando una Giornata internazionale alle Bambine, annuale, di sensibilizzazione per poter sia avere un quadro aggiornato della situazione che delle problematiche da affrontare.

Una decisione che nasce in seno alla quarta conferenza mondiale sulle donne a Bejing (Pechino) nel 1995 che si concluse con la Bejing Dichiarazione e Piattaforma di Azione. Quest’ultima riservava per la prima volta un capitolo alle questioni delle bambine The girl child tra obiettivi e azioni strategiche per l’integrazione, l’emancipazione e lo sviluppo economico, sociale, l’istruzione e la salute delle donne.

La tutela dei diritti delle bambine al centro della dichiarazione di Bejing “The Girl Child” (1995)

Si matura nelle Nazioni Unite la decisione di dover contribuire in modo più incisivo ad una tutela dei diritti umani per le donne sin da quando sono ancora piccole nonostante esista la Convenzione per i diritti dei bambini nell’età dell’infanzia e dell’adolescenza, stipulata dall’Onu nel 1989 e percepita in Italia nel 1991: «Tuttavia, in molti paesi indicatori disponibili mostrano che la bambina viene discriminata sin dalle prime fasi della vita, durante l’infanzia e nell’età adulta» ( «The Girl Child» in Bejing Declaration).

Nella Dichiarazione di Bejing vengono descritti diversi tipi di discriminazione a cui le bambine sono soggette e vittime. Afferma che in alcune aree della terra la sopravvivenza dei bambini maschi nell’età adulta è maggiore rispetto alle femmine per le pratiche di mutilazione dei genitali femminili, per la preferenza del figlio maschio mediante selezione prenatale o infanticidio femminile, per i matrimoni precoci, nella distribuzione del cibo e altri usi correlati alla salute e al benessere. Evidenzia come ogni anno sono più di 15 milioni le bambine di età compresa tra i 15 e i 19 anni che partoriscono, soprattutto in età molto giovane i cui rischi di complicanze crescono durante la gravidanza.

Gli stereotipi radicati sulla loro inferiorità le escluderà dalla partecipazione sociale. Nel settore dell’istruzione in alcuni paesi nonostante la crescita vi è una prevalenza femminile nell’impossibilità di accedere ad una scuola primaria; nel 1990 su 130 milioni di bambini 81 milioni erano ragazze. Tra i fattori i matrimoni precoci, le gravidanze in giovanissima età, il lavoro minorile, ritiri dalla scuola, e per chi ci va i compiti domestici vengono prima di quelli scolastici e nelle superiori le materie scientifiche non vengono incoraggiate per lo studio delle donne..

Sul piano della violenza, sessuale attraverso gli abusi, il traffico degli organi e dei tessuti, il lavoro forzato e delle malattie sessualmente trasmesse, Hiv- Aids, le bambine si rivelano più vulnerabili. Un ulteriore peso viene dato dalla disabilità e da chi è solo, senza casa, in strada, ancora più nelle zone di conflitto, e che si aggrava con l’appartenenza ad un gruppo di minoranza minore o etnico.

Si propone di eliminare le ingiustizie che le riguardano nell’ambito familiare in tema dell’egual diritto dei maschi alla successione e nell’ambito matrimoniale per un pieno e libero consenso ed un’età minima adeguata. Di educare alla parità dei generi attraverso la scelta di determinati materiali di insegnamento ed esercizi in cui si rivaluta l’immagine femminile e si sradicano mentalità culturali tradizionali secondo cui gli indirizzi scientifico, matematico e tecnologico sono adatti solo alle figure maschili.

Invita alla divulgazione nei tre pilastri fondamentali, la famiglia, la scuola e la società, dei pericoli per la salute e ad altre complicanze quando le gravidanze avvengono in età precoce.

I tanti passi conquistati resi vani dal Covid-19: le mutilazioni genitali femminili

Sul fronte delle mutilazioni genitali l’epidemia da Covid-19, seppure in misura minore non ha impedito la pratica delle mutilazioni genitali femminili (MGF). Da un’indagine del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) si viene a conoscenza dalle persone intervistate (31%) in Somalia di un possibile aumento; tendenza rilevata in altri Paesi africani come descrive l’osservatorio internazionale e fondazione per la protezione dei bambini, Terre d’Hommes in un dossier sulla condizione delle bambine e delle ragazze redatto in occasione di questa Giornata internazionale.

Una pratica per la modalità in cui viene spesso svolta, senza anestesia e per le lesioni che essa lascia accompagnando dolori fisici e psicologici nel corso della vita, che «costituisce una forma estrema di discriminazione contro le donne. Viola anche i diritti alla salute, alla sicurezza e all’integrità fisica di una persona», afferma l’Organizzazione mondiale della Sanità che da anni è impegnata attivamente.

Rialzano così la stima delle mutilazioni le agenzie delle Nazioni Unite Unicef e l’Unfpa, secondo le quali nei prossimi 10 anni vi saranno 2 milioni di bambine e ragazze che vi saranno costrette. Lo stigma è nei confronti delle bambine e delle ragazze che vi si rifiutano, vengono derise e possono anche subire l’abbandono e il rinnegamento da parte dei genitori. Terre d’Hommes Olanda ha aperto un centro di protezione e di divulgazione informativa sui rischi sanitari per le ragazze e i ragazzi del popolo Kuria in Tanzania che la tradizione popolare, nonostante il divieto, effettua incurante, con le mutilazioni genitali femminili e la circoncisione maschile, eseguiti dai capi villaggio. Lì l’agenzia Terre d’Hommes in pochi anni ha “salvato” 1500 ragazze e sostenuto un progetto alternativo per il passaggio all’età adulta e formato bambini che a loro volta diventano mediatori del messaggio verso i loro compagni e inciso sul cambio di mentalità di alcuni “mutilatori”.

Una pratica che ha un impatto dissestante nel piano economico sanitario per i trattamenti dovuti alle conseguenze del “taglio” alle donne sopravvissute che l’Oms stima sui 1,4 miliardi di dollari l’anno. Se non vi sarà un cambio di rotta il simulatore elaborato dall’Oms prevede che la spesa sanitaria per i trattamenti post-mutilazioni in Kenia ad esempio «si passerebbe agli attuali 19 milioni a 31 milioni di dollari nel 2048» mentre in Somalia dagli attuali 5.3 milioni di dollari a oltre 10 milioni.

Un fenomeno che è presente in Europa dove vi è un forte flusso migratorio proveniente da Paesi a tradizione escissoria. Cresce il rischio per le bambine e le ragazze che vivono ad esempio in Spagna o in Danimarca nonostante vi siano divieti della pratica e sanzioni giuridiche anche se viene effettuata all’estero, che si aggira tra le 3400 e le 6000 bambine nel primo Paese e tra le 1400 e le 2.500 nel secondo, dai dati dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige). Anche per l’Italia c’è un rischio elevato per le 76mila bambine e ragazze presenti in Italia dai dati del 2016 provenienti da Egitto, Nigeria, Senegal, a Burkina Faso, Costa d’Avorio, Etiopia e Guinea.

Nell’istruzione

In Afghanistan con la presa dei talebani il ruolo delle donne viene relegato ad inferiorità con il conseguente impatto sull’accesso all’istruzione e il Dossier Terre d’Hommes descrive come nel periodo ventennale della coalizione internazionale a guida statunitense (2001) al ritorno del potere talebano 2021 «il numero delle bambine e ragazze iscritte alla scuola è passato da zero al 65% delle bambine iscritte in prima elementare nel 2011, dopo il quale c’è stato un rallentamento nelle iscrizioni…Oggi solo il 37% delle adolescenti sa leggere e scrivere contro il 66% dei coetanei maschi».

La chiusura delle scuole a causa della pandemia desta preoccupazione per l’istruzione in generale nei paesi a medio e basso reddito e soprattutto per quella femminile che comporta la ricaduta di mentalità e atteggiamenti dannosi alla loro crescita formativa e sociale. Il poter andare a scuola garantisce una protezione dai matrimoni precoci, dalle violenze, dall’avere figli troppo presto, un’istruzione che consente un miglioramento economico nella vita.

All’interruzione scolastica non si è avuto un ritorno alla “normalità” nel sistema educativo nel mondo e nel giugno 2021 erano 19 i Paesi in cui le scuole erano chiuse per la pandemia e centinaia di milioni di bambini hanno abbandonato la scuola, afferma Save The Children in Girls’ rights in Crisis (2021). La scuola rimane una sfida nelle zone di conflitto che la diffusione virale del Sars-CoV-2 l’ha accentuata. In Nigeria, informa Save The Children, 300 bambine sono state sequestrate dalla scuola secondaria in Zamfara State agli inizi del 2021 nel paese da un’indagine telefonica sul ritorno a scuola dei figli è cresciuta la risposta negativa passando dall’agosto 2020 con un 4,8% a marzo 2021 con un 15,5%. Cita un’altra indagine: su 4mila adolescenti che vivono negli insediamenti urbani in Kenia il 16% delle ragazze non ha fatto ritorno a scuola dopo la riapertura di gennaio 2021 in confronto all’8% dei ragazzi. Il divario di genere si è ripetuto in Somalia e a Burkina Faso.

In Libano, descrive lo staff di Save The Children, una mancanza di accesso all’uso della tecnologia come tablet, computer, e la rete internet da un lato e i dubbi dei genitori sulla qualità dell’istruzione dall’altro, hanno portato a limitare l’accesso delle ragazze all’apprendimento da remoto.

Una ferita ancora maggiore si è rivelata per i bambini disabili che hanno dovuto preferire l’isolamento, che significa per molte, come prima della pandemia, l’esperienza di violenza o carenza nutritiva mancando i pasti scolastici. Le disuguaglianze di genere sono cresciute, prosegue Save The Children, con la pandemia per coloro che abitano nelle zone rurali. Camel Library è un servizio educativo in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione etiope che ha portato libri di testo alle ragazze delle aree rurali perché proseguissero gli studi mentre non sempre è stato possibile la consegna virtuale per la mancanza di accesso ai smartphone e alla ricezione della frequenza.

In Europa i “neet” che comprende la fascia di età tra i 20 e i 34 anni, non impegnata né in uno studio universitario, né in un tirocinio formativo né in un lavoro, presentano un divario marcatamente femminile: nel 2020 vi era il 21,5% delle ragazze rispetto al 13,8% dei ragazzi, secondo i dati di Eurostat. Nel 2020, con la pandemia in corso, l’Italia arriva a quasi 2milioni e 100mila neet, giovani tra i 15 e i 29 anni, con una posizione peggiore degli altri Paesi europei e una situazione più critica se si riflette che una ragazza su quattro entra nella fascia dei Neet, ovvero il 25,4% rispetto alla media europea del 15,4%, si afferma nel Dossier di Terre d’Hommes.

Il matrimonio forzato in Italia

Nonostante sia vietato dalla normativa italiana (lg 69/2019, chiamato Codice Rosso) con punibilità del reato anche se è commesso all’estero da parte di cittadini italiani o stranieri residenti in Italia, da agosto 2019 fino maggio 2021 sono state registrati 24 vittime di matrimoni forzati, tra donne e bambine, dai dati del Servizio Analisi Criminale nel suo primo rapporto sul fenomeno citato nel Dossier.

Una ricerca di Non c’è Pace senza Giustizia, riporta il Dossier, pubblicata nel mese di luglio 2021 sui matrimoni minorili in Italia, confrontando i dati e buone pratiche di altri paesi dell’Europa, ha dimostrato la presenza di una lacuna in tale ambito nel contrasto alla violenza di genere: «È opportuno segnalare che diversi centri antiviolenza non si occupano del fenomeno e non dispongono, di conseguenza, di personale formato e competente nel follow up di eventuali casi, né di protocolli specifici». Presenta proposte per il nostro Paese attingendo dagli altri Paesi, ad esempio la Forced Marriage Unit nel Regno Unito sorta per prevenire e tutelare chi si trova a rischio sul territorio nazionale a prescindere dalla nazionalità, oppure un potenziamento linguistico della linea telefonica nazionale antiviolenza come in Germania in cui il servizio è in 15 lingue.

CCBYSA

(aggiornamento 11 ottobre 2021, ore 23.07)

redazione Bioetica News Torino