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108 Dicembre 2024
Bioetica News Torino Natale 2024

Uno scatto: Fermare l’amore, fermare il tempo con un'intervista alla fotografa Carola Durazzo

Abstract

E’ possibile fermare l’amore e fermare il tempo? Come ci guida l’arte attraverso forme, colori ed il lessico della poesia a ricercare le emozioni e l’essenza della vita, a guardare dentro i corpi e attraverso questi fin oltre verso l’anima? Viviamo il tempo dei selfie, dell’esposizione seriale delle nostre immagini postate sui social, eterne e fragilmente effimere, e della dicotomia che affiora tra la ricerca estetica del corpo bello e perfetto ed il susseguirsi ripetitivo e ormai anonimo di immagini del corpo sofferente per guerre e carestie.
Nel tempo dell’io e della riproduzione di immagini estreme, per bellezza o atrocità, l’arte può suggerire altri percorsi nella semplicità comune delle esistenze che non fanno notizia, ma sono notizia di vita, può aiutare ad entrare nella fessura oltre l’apparenza a guardare e pensare bellezza e poesia nella semplicità imperfetta dell’esistenza.
Nella stupefacente quotidianità e nella meravigliosa banalità della vita e dell’amore possiamo immaginare «ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale».

«Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale…
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue».
(EUGENIO MONTALE, Satura 1962-70)

«Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale» è manifestazione di amore che Eugenio Montale tributa a Drusilla, compagna di una vita, presenza costante in un viaggio lungo ma percepito breve. Scendere e appoggiarsi. Il senso di camminare vicini, di condividere la direzione, il peso e la fatica si consuma nell’iperbole del milione di scale della quotidianità. Il braccio è condivisione, al di là delle apparenze, al di là delle debolezze. Drusilla con le pupille “tanto offuscate” sa vedere la vita, guida i passi, ispira la visione poetica e sostiene il percorso. Rovescia le certezze di «chi crede che la realtà sia quella che si vede». La bellezza trasuda non dalle forme, dagli sguardi, ma è assunta in quel procedere “dandosi il braccio” che colma e dà senso al vuoto esistenziale.
Montale coglie e fa sentire l’amore; l’amore che attraversa il tempo, che esce dalle forme stereotipate della bellezza e della giovinezza per scegliere le imperfezioni della vita, che è forza in quello scendere a fianco, col braccio che sostiene il braccio, che è energia dello spirito. L’amore non è una cosa solo di giovani. Montale con le parole ferma un attimo della vita, dipinge la scena e la trasforma in uno stare insieme nel tempo, rivendica autenticità e energia, libere dall’età.

Fermare l’amore è azione che si fa lessico e immagine. Celebra l’amore nelle forme e nei colori Marc Chagall in “Sulla città” (1918)1. Vola nel cielo teneramente abbracciato alla moglie, Bella Rosenfeld, sopra la città di Vitebsk tra colori caldi e freddi. Vola sulle casette racchiuse dalle staccionate di legno, sulle stradine e sui giardini. Trascende l’ordinario, non guarda al tempo e sublima la realtà che diventa straordinaria, creando un volo di corpo e di anima.

Fermare per un attimo l’amore. E’ possibile? Lo può fare l’arte e lo può fare la fotografia quando coglie un momento improvviso, non costruito o capace di passare dalla messa in scena ad icona, capace di farsi segno di una emozione e di un’idea. L’amore che ci porta fuori dal presente, in un tempo sospeso, come tutti riconosciamo nello scatto icona di Robert Doisneau per la rivista Life “Le Baiser de l’hôtel de ville”. E’ immagine che coglie una coppia di innamorati mentre si bacia in una via di Parigi degli anni Cinquanta del ‘900, tra il traffico ed i passanti. Rappresentazione simbolo, esemplificativa dell’amore che tutti percepiamo, un’impressione catturata anche se realizzata dall’artista per una serie a tema da pubblicare. «Fotografare è mettere sulla stessa linea la testa, l’occhio, il cuore» è quanto confermava Henri Cartier-Bresson.

E’ una fotografia mossa da un’emozione quella realizzata da Carola Durazzo, fotografa torinese, dal titolo “Insieme nel tempo”2.
Scopre l’amore e lo cattura oltre il tempo; non fissa i volti, trattiene le mani di due persone, le pone al centro, mentre camminano. Non sono giovani, lo segnalano timidamente le forme e l’abbigliamento, le pieghe del tessuto e le macchie delle mani. Vediamo le loro camicie, le mani. Nel ritratto fotografico, che sorprende la coppia per strada, non c’è colore. E’ un bianco e nero composto di righe e puntini. La sfocatura di sfondo dà il senso del moto.

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© Carola Durazzo, Insieme nel tempo, 2024. Per gentile concessione dell’artista, riproduzione vietata

l’amore e il tempo

Lo scatto cattura l’amore, ritraendolo nel mutare delle forme; l’amore che attraversa il tempo e resta vitale, rende vivi. Dà senso, anche quando il corpo si piega e appare fragile. Carola Durazzo non documenta, ma con la fotografia di strada procede a richiamare uno stato dell’anima. La fragilità dei corpi è un’impressione fugace, che contiene il suo opposto; dà forza e sicurezza alla tensione umana, in un gioco di contrari. La fotografa coinvolge lo spettatore e lo provoca a immaginare, a pensare. Ferma e svela una storia, la luce di una dimensione di cui ci mostra però solo qualche dettaglio.

Non c’è sofferenza e fatica, solitudine e depressione. Non vediamo i volti; le forme ci fanno immaginare corpi di anziani. C’è dell’altro. Un procedere a fianco, una energia che guida i passi, che rovescia il canone della relazione bellezza, amore e giovinezza. Lo scatto suggerisce uno stato in antitesi agli standard di bellezza fisica, esterna e visiva. Si allontana e diverge dalla concezione valoriale e sociale, dal luogo comune della bellezza come performance, eterna giovinezza e perfezione estetica significante la vita delle persone.

Carola scruta la condizione della vita, scambia e scombina le percezioni e le tipizzazioni. Con questa modalità ferma con il suo scatto in una domenica parigina, sotto i portici di Rue de Rivoli davanti ai Jardin des Tuileries, due turiste inglesi con il basco. Saltellano scherzose come giovani ragazze, ma non lo sono. Le movenze di gioco sono in antinomia con le forme che distinguiamo nella ripresa di spalle. Cattura un momento speciale, ferma il tempo richiamando la scanzonatezza dell’adolescenza nel procedere della vita.

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© Carola Durazzo, Gioiosità parigina, ottobre 2023, Per gentile concessione dell’artista, riproduzione vietata

INTERVISTA A CAROLA DURAZZO, FOTOGRAFA

D. Carola, cosa significa per te “fotografia”? Ci sono dei miti a cui guardi?
R. La fotografia è un modo per manifestare la mia sensibilità. Con il tempo ho capito che attraverso di essa potevo far capire chi ero e chi sono. Al medesimo tempo però è anche un modo che utilizzo per far sì che chi guarda i miei scatti possa ritrovarsi. La verità è che siamo sempre alla ricerca di noi stessi ed in questo caos che è la vita non è facile. Spesso per farlo bisogna cambiare ed il cambiamento più grande che possiamo mettere in pratica è innanzitutto quello che ci coinvolge in prima persona.
Ci sono grandi fotografi in grado di farti risplendere gli occhi. Adoro i colori di Saul Leiter, la fotografia di André Kertész e recentemente ho scoperto una fotografa americana Deanna Dikeman, il cui progetto Leaving and Weaving era in mostra al Langhe Photo Festival. Un racconto estremamente emozionante sul trascorrere del tempo. E’ questo il mio ideale di fotografia.

D. Nel tempo dei selfie, dei social media come Instagram quanto è cambiato il mondo e anche la percezione, l’atto di vedere della fotografia? E tu perché fotografi e per chi?
R. Purtroppo e per fortuna viviamo in un’epoca in cui abbiamo tante fonti a nostra disposizione in grado di darci infiniti stimoli. Bisogna saperli cogliere e selezionare. Spesso questo è difficile da mettere in pratica perché vista una foto ne guardiamo un’altra. Non ci piace la foto che abbiamo scattato, la cancelliamo e via la prossima. Guardare e vedere sono due cose molto diverse. Inoltre con i social mi verrebbe da dire che la fotografia ha assunto un ruolo marginale, purtroppo.
Avendo un rapporto nostalgico con il passato direi che fotografo per poter, in qualche dimensione, fermare il tempo e poterlo conservare. Allo stesso modo per ricordarmi che il tempo scorre e bisogna tenere a mente quelli che sono i valori che contano davvero.

D. Come nella Street Photography scegli spesso la strada per i tuoi soggetti. Chi sono?
R. Spesso mi capita di guardarmi intorno e di chiedermi cosa accada nella vita delle persone che anche solo incrocio per la mia strada. A piedi o in macchina. Attorno casa o in aeroporto. Quando cerco un soggetto penso a questo, alla sua potenziale storia. Prima avevo timore ad avvicinare le persone, invece ora ho scoperto che spesso sono loro ad avvicinarsi a me. A volte semplicemente hanno voglia di parlare, di raccontarsi. Altre non dicono nulla, ma il loro sguardo esprime tutto il loro vissuto.

D. C’è una condivisione di valori che vuoi trasmettere allo spettatore nei tuoi scatti, al di là della “foto bella” formalmente. Una foto è bella perché ci risveglia?
R. Mi piacerebbe riuscire a trasmettere quei sentimenti che tendiamo a trascurare. Viviamo in una società che ci distrae e che mira costantemente all’estetica, all’apparenza, agli amori lampo, al crescere veloce e a tralasciare alcune cose a discapito di altre. Ricordare spesso risulta difficile o peggio ancora una perdita di tempo. La fotografia credo possa fare molto per contrastare questa tendenza. Ha sempre fatto parte di me proprio perché ti permette di imprimere non solo su carta, ma anche nella memoria quelli che sono i momenti più importanti della nostra vita, sia in accezione positiva che negativa, e di poterli rivivere ricordandoli. La fase successiva dovrebbe essere quella, per ciascuno di noi nel nostro piccolo, di far tesoro di queste emozioni: in tal modo ciascuno di noi potrebbe rendere il mondo migliore.

∞∞∞∞

Nel tempo della ricerca estetica dei corpi perfetti o dell’esposizione del corpo malato, sofferente o devastato dalle guerre, dimensioni che colonizzano il nostro vivere e innestano la comunicazione di forme e topos, le opere di Durazzo attraversano un’altra dimensione e propongono un particolare punto di vista sulla vita e sulla bellezza, lontano dalla ripetizione seriale delle nostre immagini postate sui social e dalla dicotomia di perfezione e atrocità.

Nel lessico del corpo, mostrato attraverso alcuni dettagli e colto con la fugacità dell’attimo in uno scorcio di strada, i ritratti si insinuano tra ambiente interiore e ambiente esterno, nella fessura che va oltre l’apparenza e che fulminea ci mette di fronte al nostro personale e intimo colle dell’infinito, a guardare e pensare bellezza e poesia nella semplicità imperfetta dell’esistenza.

amarsi mentre si compie la storia

E’ la semplicità comune delle esistenze che non fanno notizia, ma sono notizia di vita, la semplicità comune e straordinaria che troviamo posata tra le parole del poeta Izet Sarajlić 3 , testimone della guerra di Bosnia e dell’assedio di Sarajevo, quando in una strada piccola, semplice, quotidiana, possiamo evocare il nostro amore e passeggiare anche dopo la morte

Passeggio per la città della nostra giovinezza
e cerco una strada per il mio nome.
Le strade ampie, rumorose le lascio ai grandi della storia.
Cosa stavo facendo mentre si faceva la storia?
Semplicemente ti amavo.

Nella stupefacente quotidianità e nella meravigliosa banalità della vita e dell’amore possiamo così immaginare «ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale».

Note

1 Marc Chagall, Sulla città, 1918, olio su tela, Galleria Tretyakov, Mosca .

2 Carola Durazzo è una giovane fotografa torinese che predilige soprattutto la fotografia analogica. Dice di sé: “Catturo i dettagli con lo scopo di emozionare. Sono convinta che la fotografia possa essere una terapia utile per donare nuove emozioni a vecchi e nuovi ricordi “. Recentemente è arrivata prima nel tema “Naturale” della Photomarathon 2024 (Torino, settembre 2024) ed ha portato a termine un progetto di fotografia “Dharma”, sul tema dell’avere coraggio nell’essere liberi.

3 Izet Sarajlić (1930-2002) storico, filosofo, poeta testimone della guerra di Bosnia e dell’assedio di Sarajevo. Voce del martirio di Sarajevo città dalla quale si rifiutò di fuggire. Poeta dai forti legami interculturali familiari, musulmani, cattolici e ortodossi, ha lottato per la difesa della cultura laica, della pluralità e della convivenza. La poesia Cerco una strada per il mio nome è del 1968

 

 

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