Nella mia ormai lunga esperienza lavorativa in qualità di docente nella scuola secondaria, ho potuto assistere a cambiamenti profondi e strutturali dell’organizzazione scolastica, al rinnovamento delle programmazioni disciplinari e all’introduzione di nuove metodologie formative e didattiche. Ma se nei numerosi anni di lavoro avessi assistito solo a questi positivi e innovativi aspetti della vita scolastica, certamente potrei ritenermi una docente serena e appagata. Purtroppo, invece, sto osservando alcuni cambiamenti comportamentali nei più giovani che suscitano timore, dubbi e una certa sensazione di impotenza.
Da diversi anni, infatti, nell’istituzione scolastica ci si adopera, attraverso molteplici forme di attività e progetti, per la prevenzione alle dipendenze, eppure assistiamo quasi inerti all’abbassarsi sempre più della soglia d’età in cui i giovanissimi iniziano a far uso di sostanze stupefacenti. Ciò che però desta maggior preoccupazione è che lo sforzo, anche economico, per le campagne contro l’uso di droghe ha forse messo in secondo piano il problema emergente dell’abuso di alcol da parte dei più giovani.
La globalizzazione dei media e dei mercati condiziona sempre più le percezioni, le scelte e il comportamento dei giovani, i quali nell’attuale società postmoderna, narcisista e consumista, sono maggiormente vulnerabili alle tecniche di commercializzazione dei prodotti di consumo e delle sostanze potenzialmente nocive quali l’alcol.
L’alcol rischia oggi di giocare un ruolo importante nella destrutturazione della vita di molti giovani. Il consumo e l’abuso di alcol fra i giovani e gli adolescenti è un fenomeno preoccupante, soprattutto se si considera che chi inizia a bere prima dei 16 anni ha un rischio quattro volte maggiore di sviluppare alcol-dipendenza in età adulta rispetto a chi inizia non prima dei 21 anni.
I comportamenti di consumo diffusi tra i giovani richiedono una particolare attenzione e adeguati interventi per la possibilità di gravi implicazioni in ambito non solo sanitario ma anche psico-sociale, data la facilità di associazione con altri comportamenti a rischio, come assenze scolastiche, riduzione delle prestazioni scolastiche, aggressività e violenza, oltre alle possibili influenze negative sulle abilità sociali e sullo sviluppo cognitivo ed emotivo. Altri problemi nascono dalla diffusione dell’utilizzo di alcol simile a quello delle altre sostanze psicoattive, con finalità di “sballo”, dato anche il basso costo e la grande disponibilità delle bevande alcoliche.
In Italia il primo contatto con gli alcolici avviene in età molto precoce e secondo un’indagine svolta dall’OMS sui comportamenti dei ragazzi in età scolare di 40 Stati europei, i ragazzi italiani di 11, 13 e 15 anni sono ai primi posti per il consumo settimanale di alcol.
L’indagine europea ESPAD, inoltre, afferma che la percezione della disponibilità di bevande alcoliche è tra i giovani studenti italiani fra le più alte in Europa. In particolare, a partire dal 2003 è in crescita tra i giovani il fenomeno del “binge drinking” (= bere fino a essere ubriachi, bere per stordirsi). Si tratta di un consumo “ricreazionale”, alle feste, nei fine settimana quando si esce. Un modo di bere al di fuori del modello familiare.
Nella nostra cultura vi è ormai un totale e assodato consenso sociale relativo al consumo di bevande alcoliche. Tant’è che l’“iniziazione” al bere avviene spesso in ambito familiare, con un consumo di alcol che potremmo definire “alimentare”. Dopo questa iniziale esperienza il consumo di vino o di birra diventa abituale, e i genitori accettano tale abitudine a condizione che rimanga contenuta e sotto il loro “controllo”. Il consumo di alcolici da parte di un giovane all’interno della propria famiglia non si configura quindi mai, sin dall’inizio, come un comportamento inadeguato.
Recentemente si è visto un significativo mutamento nella rappresentazione sociale del bere, con un passaggio dal vino alla birra e poi ai superalcolici, e con l’individuazione di nuovi luoghi del bere spesso assunti da modelli esteri. Oggi siamo di fronte a due modelli del bere: 1. un modello tradizionale legato al vino e alla cultura dello stare insieme; 2. un modello moderno legato al consumo per lo più di birra e superalcolici e alla necessità di affrontare difficoltà personali (timidezza, paura, imbarazzo, ecc).
Quello che va di moda non è bere più alcol, ma “sballarsi” in generale. Parliamo di giovanissimi tra i 14 e i 17 anni e dei giovani adulti tra 18 e 24 anni. Sono le categorie per le quali nell’ultimo decennio è aumentata l’abitudine di bere fuori pasto, passando rispettivamente dal 14 al 17% e dal 34 al 42%.
L’età adolescenziale è quella del comportamento provocatorio, in tutti i sensi, dal sesso alle droghe, dall’alcol ad altri comportamenti rischiosi.Di fronte a un comportamento sbagliato la famiglia deve interrogarsi al suo interno, insieme al ragazzo e non esitare a ricorrere all’aiuto di personale specializzato (il medico, lo psicologo…) per la soluzione della problematica neuro-comportamentale.
Le possibili cause della dipendenza da alcol sono molteplici, come si può immaginare, ma certamente il problema è radicato prima di tutto in alcune situazioni, quali ad esempio una personalità non ben formata, l’influenza del contesto sociale o del gruppo dei pari, la mancanza di un adeguato supporto familiare o una debolezza costituzionale.
Le politiche in materia di alcol riferite ai giovani dovrebbero inserirsi in una più ampia azione sociale, dato che il consumo di alcol tra i ragazzi riflette in larga misura il modello e gli atteggiamenti della società adulta. Sono sicuramente necessari, come già detto, degli interventi specifici e competenti dal punto di vista medico-scientifico e psicologico, ma occorre non tralasciare la riflessione etica sul problema.
Una prima riflessione si riferisce ad alcune strutture culturali e sociali, dalla propaganda suadente delle case produttrici di alcol alla caratterizzazione edonistica del mondo occidentale volta alla soddisfazione del piacere. Inoltre, si pone la domanda etica circa la liceità del benessere proprio a scapito del benessere altrui (l’uso di alcol ha delle ripercussioni anche gravi sulle persone vicine). Infine, altro aspetto importante è l’illusorietà del benessere delle bevande alcoliche (illusorio è il benessere che l’alcol possa sollevare da forme d’ansia o dalla paura di non saper affrontare le difficoltà della vita).
La riflessione etica contribuirà a cogliere il problema in toto, suggerendo possibili vie di azione. L’auspicio è che nella ricerca di risoluzione del problema si tenga sempre presente che i giovani non sono solo oggetto di studio e indagine, bensì persone con la loro biografia e unicità. Occorre in futuro promuovere per i giovani maggiori opportunità di partecipazione alla definizione di decisioni che influenzano la loro vita.
I giovani sono risorsa, e proprio loro possono contribuire attivamente a risolvere i problemi legati all’alcol.
La società adulta deve solo porsi in ascolto: i giovani hanno qualcosa da dire e da insegnare!
© Bioetica News Torino, Febbraio 2014 - Riproduzione Vietata