Dignitas infinita, il recente documento redatto dal Dicastero per la Dottrina della Fede sulla dignità umana, alla luce della sua complessità, richiede un’analisi competente, meditata ed a più voci. Per tali ragioni inizia con Giuseppe Zeppegno, Bioeticista e Docente presso la Facoltà Teologica di Torino, un percorso di approfondimento sulle tematiche affrontate da un testo che ha richiesto ben cinque anni di lavoro e che include il Magistero papale dell’ultimo decennio. Gli interrogativi sollevati dalle trasformazioni del mondo odierno interpellano tutti, ma ai credenti si impone una riflessione ulteriore, attraverso la quale le sfide etiche del nascere, del generare e del morire devono essere lette e interpretate attraverso il Vangelo della vita.
Enrico Larghero
Il riferimento alla dignità umana ripercorre, tra alterne vicende, tutta la storia. È presente già nei trattati dell’antichità classica che attribuiscono all’umanità, dotata di ragione, la capacità di orientare responsabilmente sia il vissuto di ogni singola persona, sia i rapporti degli individui tra loro e con il mondo circostante. In ambito ecclesiale, l’ultimo tassello di questo ricco mosaico è stato pubblicato l’8 aprile scorso. In quel giorno, infatti, è stata presentata la Dichiarazione Dignitas infinita. Si apre con una ricca introduzione in cui si precisa che è stata occasionata dalla ricorrenza del 75° anniversario della promulgazione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. L’avvenimento – si spiega – offre alla Chiesa l’opportunità di «proclamare nuovamente la propria convinzione che, creato da Dio e redento da Cristo, ogni essere umano deve essere riconosciuto e trattato con rispetto e con amore».
Prevedendo, come effettivamente è avvenuto, che il documento potesse essere accolto con un certo scetticismo, sia in ambito ecclesiale che extra-ecclesiale, il suo firmatario, il Card. Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha puntualizzato che il testo non ha la pretesa di essere esaustivo. Ha però lo scopo di rivalutare «aspetti della dignità umana che oggi possono essere oscurati nella coscienza di molte persone». Nella prima parte (paragrafi 1-16), oggetto dell’analisi condotta in quest’articolo, si registra la graduale presa d’atto ecclesiale della dignità umana. Si ricorda che la Sacra Scrittura, a partire da Gen 1,26-27, sostiene che il suo fondamento è da ricercarsi nella consapevolezza che gli esseri umani sono stati creati da Dio a sua immagine e somiglianza. Il Nuovo Testamento, alla luce degli insegnamenti di Cristo, ancor più marcatamente, enuncia che essa è patrimonio di tutte le persone, anche di quelle che vivono in situazioni disagiate e sono poste ai margini della società. Nei Padri della Chiesa e nella successiva ricerca teologica – sia aggiunge – il tema è costantemente ricorrente. Ricca di significato è, ad esempio, l’ampia trattazione offerta da Tommaso d’Aquino nella sua Summa Teologica. L’insigne teologo medioevale arriva a dire che «la persona significa quanto di più nobile c’è in tutto l’universo». Con sfumature diverse, apprezzamenti simili si trovano anche nell’umanesimo rinascimentale. Ne sono prova gli studi di Cartesio e Kant.
La dignità è stata messa spesso in relazione con i diritti umani. È conveniente memorizzare, anche se non se ne fa esplicito riferimento nel testo vaticano, che si ebbe al riguardo un confronto serrato tra il Papato e gli Stati colonizzatori al tempo della scoperta dell’America. Un primo intervento del magistero cattolico risale, infatti, al 29 maggio 1537 quando Papa Paolo III minacciò la scomunica ai coloni spagnoli che privavano dei beni e sottoponevano a schiavitù gli indigeni. Nel sedicesimo paragrafo si ribadisce che la riflessione sulla dignità umana è stata attentamente considerata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Ne trattano soprattutto Dignitatis humanae personae e Gaudium et Spes. Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno proposto ulteriori importanti pronunciamenti su questa materia. È tornato più volte sull’argomento anche l’attuale Pontefice. Ne sono prova le sue due ultime encicliche (Laudato si’ e Fratelli tutti). Nella prima, Papa Francesco sottolinea tra l’altro che il degrado ambientale è intimamente connesso con il degrado umano. Nella seconda,dedicata alla fraternità universale e all’amicizia sociale, annota che «se si accetta il grande principio dei diritti che promanano dal solo fatto di possedere l’inalienabile dignità umana, è possibile accettare la sfida di sognare e pensare ad un’altra umanità».
Proseguendo la lettura di Dignitas infinita,si può notare l’importanza del settimo e ottavo paragrafo dove è scritto che la dignità compete ad ogni essere umano per il solo fatto di esistere. È la cosiddetta dignità ontologica che non può essere disconosciuta neppure in chi sperimenta vissuti problematici. Accanto a tale dignità, il documento ne riconosce altre tre. La prima, la dignità morale, concerne la gestione della libertà. La seconda, la dignità sociale,è messa in rapporto con le condizioni di vita. Infine, la dignità esistenziale fa riferimento ai contesti in cui si vive. Questi tre ultimi aspetti, a differenza della dignità ontologica, possono venir meno qualora l’agire morale sia negativo e siano presenti situazioni di estrema povertà, malattie, dipendenze patologiche, disagi familiari o lavorativi, ecc.
A conclusione di questa prima parte, si rammenta che la Chiesa ha maturato, con sempre maggiore accuratezza, il significato della dignità umana e l’ha applicata alle concrete situazioni in cui l’umanità si è venuta a trovare. Di questi aspetti si fa esplicito riferimento nel proseguo della Dichiarazione.
Giuseppe Zeppegno
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