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38 Marzo Aprile 2017
Bioetica News Torino Marzo - Aprile 2017

Gli infermieri e la «Nuova Carta degli Operatori sanitari»

In breve

La «Nuova Carta degli Operatori sanitari» sostiene la fedeltà etica dei Sanitari seguendo le tappe dell’esistenza umana: generare, vivere, morire e riafferma la sacralità della vita e la sua indisponibilità in quanto dono di Dio.
Gli infermieri, ministri della vita, da sempre si sono presi cura della persona dal suo concepimento al suo termine naturale. La professione infermieristica è una professione intrinsecamente etica, si esprime nella relazione interpersonale e riconosce nell’altro un volto che lo responsabilizza; questo sguardo è appunto «epifania del volto». La buona pratica infermieristica è chiamata a essere guidata da un’intenzione: aiutare l’altro a crescere e a fiorire nella sua umanità attraverso gesti di cura che riconoscono dignità non solo a chi lo riceve, ma anche a colui che lo porge divenendo luogo di senso, «perché nelle piccole cose quotidiane è nascosto il vertiginoso senso della trascendenza».

La prima edizione della Carta degli Operatori sanitari risale al 1994 e ha costituito un valido strumento per la formazione di tanti professionisti che operano nel mondo della salute.  La revisione e l’aggiornamento di questo documento risponde all’urgenza di ulteriori e approfondite riflessioni che tengano conto dell’avanzamento delle scienze biomediche e delle possibili ripercussioni sulla vita umana.

La Nuova Carta vuole sostenere la fedeltà etica dei sanitari con ruoli e responsabilità diverse ma integrate, nelle scelte e nei comportamenti in cui prende corpo il servizio alla vita. Questa fedeltà viene delineata seguendo le tappe dell’esistenza umana: generare, vivere, morire, quali momenti di riflessioni etico-pastorali. Dal punto di vista dottrinale, la Nuova Carta riafferma la sacralità della vita e la sua indisponibilità in quanto dono di Dio.

Riflessione sullo stesso “fenomeno Uomo

Il “filo rosso” che sottende al presente articolo in riferimento alla Nuova Carta e che riguarda trasversalmente le tappe dell’esistenza umana è la riflessione sullo stesso “fenomeno Uomo” che richiede un’organica armonizzazione dei saperi. Assumere la sfida di questa complessità, significa lasciarsi attraversare dall’avventura, meravigliosa e drammatica, della vita umana.

Ministri della vita

Gli Infermieri, come ministri della vita, da sempre si sono presi cura della persona dal suo concepimento al suo termine naturale.  La professione infermieristica è una professione intrinsecamente etica, perché si estrinseca in una relazione interpersonale, tra la persona assistita e l’infermiere, relazione che assume un carattere così personale e così intimo, che si manifesta con il prendersi cura di.  

E, poiché l’etica si conquista il suo spazio e porta il suo calore in quegli ambienti che non tollerano di essere totalmente ridotti ad ambiti burocratici-formali, ne segue che lo spazio della professione infermieristica possiede, accanto a una doverosa valenza strettamente tecnico-scientifica, una propria specifica e irriducibile valenza morale. L’assistenza infermieristica può essere definita come pratica del “caring” nella quale la scienza è guidata dall’arte morale e dall’etica della responsabilità (Benner PE, Wrubel J., 1989).  Emmanuel Lévinas descrive mirabilmente l’essenza dell’esperienza morale come esperienza dell’incontro con l’altro, con il volto dell’altro: «Questo sguardo che supplica ed esige, privo di tutto perché ha diritto a tutto e perché si riconosce solo donando, questo sguardo è appunto l’epifania del volto […] La nudità del volto è indigenza⌈…⌉».

Qualunque situazione assistenziale è una situazione antropologica

In un’epoca dominata dal primato della tecnica sfuggono spesso le domande di senso e le uniche questioni che è possibile porre sono quelle funzionali; ciò comporta che in questa logica la persona scompare e resta solo il corpo, scompare il malato e ciò che resta è solo la malattia (F. D’Agostino, 2002), tuttavia qualunque situazione assistenziale è una situazione antropologica, cioè è qualcosa che riguarda l’uomo inserito nell’ambiente, intessuto di tutti i tipi di legami simbolici (M.F. Collier, 1992). Assistere una persona è esserci per stabilire con l’altro e per l’altro «uno spazio propriamente umano o, meglio, umanizzante» (M. Zambrano, 2008). Il prendersi cura allora, prima ancora di un agire, è un entrare in contatto con l’altro, un toccare e farsi toccare dall’altro. Come ogni buona pratica l’assistenza infermieristica è chiamata a essere guidata da un’intenzione: aiutare l’altro a crescere e a fiorire nella sua umanità. È questo il senso dell’assistenza infermieristica come azione del coltivare l’esserci. I quotidiani gesti di assistenza infermieristica possono essere la frontiera su cui si gioca il riconoscimento della dignità umana, dell’alterità. Il gesto non è un semplice strumento, ma un linguaggio, nel suo profondo significato ontologico.

Il gesto riconosce dignità non solo a chi lo riceve, ma anche a colui che lo porge

La dignità della persona non è una proprietà tra altri dati empirici, né un diritto che richieda di essere rispettato, ma piuttosto il motivo metafisico per cui gli esseri umani hanno diritti e doveri (R. Spaemann, 2011). Il gesto riconosce dignità non solo a chi lo riceve, ma anche a colui che lo porge divenendo luogo di senso sia per chi lo effettua sia per chi lo riceve; un gesto che deve essere competente, fatto di assoluta scientificità e di assoluta umanità, in un binomio sempre più inscindibile.

Il gesto apre alla trascendenza del possibile. Il pensiero e il gesto, uniti e riuniti, dicono l’essenza dell’essere infermiere: la scienza, la coscienza e l’esistenza. Un gesto può calmare, può dare sicurezza, può esprimere partecipazione, può far sentire la speranza. Le azioni quotidiane allora raccontano quanto le parole non possono contenere. […] Attraverso il gesto, composto anche dalla più semplice azione infermieristica si celebra che la persona umana costituisce non solo il valore più alto, ma la finalità stessa della storia. Il gesto cambia le due parti che lo hanno vissuto. (E. Manzoni, 2011)
Il gesto apre alla trascendenza del possibile

«Se attraverso un piccolo e semplice gesto un malato vive la sorpresa di sentirsi accolto, curato, e avverte la sua dignità sollevarsi, noi abbiamo salvato il mondo. Con un semplice gesto, a parità di tempo, abbiamo permesso all’umano di sorgere» (E. Manzoni, 2013), poiché: «nelle piccole cose quotidiane è nascosto il vertiginoso senso della trascendenza» (P. Florenskij 2009).
Il gesto di cura richiede attenzione attiva, intenzionale. “Attenzione” intesa come: attendere….aspettare…rivolgere l’animo a qualcosa…rispettare, prendersi del tempo prima di interpretare precipitosamente e superficialmente i bisogni dell’altra persona. Implica la conoscenza e la riflessione su noi stessi per trasformare impulsi e stimoli in intenzioni ponderate (M. Barnes, 2012). Aver rispetto significa “tenere l’altro nella posizione dell’infinito”  e comporta un concepire l’altro nella sua trascendenza, come portatore di un valore intrinseco. Afferma Luigina Mortari: «La cura è partecipazione del sacro che c’è nell’altro». Se l’eticità è un agire con gli altri nel mondo è anche un «sentire il sentire dell’altro», come afferma Edith Stein, un accogliere e rispondere a quel bisogno di bene che non comporta il distogliere lo sguardo dal mondo ma un tenerlo in dialogo al servizio della nostra tensione ad esso. Il nostro esistere come esseri condizionati ci chiama al lavoro del vivere e la fragilità della condizione umana ci obbliga al «compito del proprio dover continuamente trascendere l’esserci che si è per un esserci ulteriore». Si tratta non di opporsi ma di resistere al dolore ontologico nell’accettazione della nostra immanenza senza rinunciare al desiderio di trascendenza, come ci indica Maria Zambrano; un’accettazione che sola è in grado di coltivare un desiderio di bene che appare proprio nei gesti più semplici.

Infermieri che ogni giorno vivono l’esperienza del “guaritore ferito”

Il discorso fin qui condotto non può avere una conclusione, ma solo un’apertura verso orizzonti di riflessione su molti aspetti che la Nuova Carta propone, chiarendo quali sono i valori umani e cristiani su cui fondare l’agire professionale nel rispetto della dignità ontologica dell’uomo. Oggi stiamo vivendo una emergenza di tipo educativo nei confronti dei giovani, ma anche nei confronti degli infermieri che ogni giorno vivono l’esperienza del “guaritore ferito” e avvertono la fatica del lavoro di cura che può farsi insostenibile quando le difficoltà e le sofferenze si sedimentano nell’anima senza che si abbia il tempo di pensare con altri la propria esperienza. Solo l’abitudine a esercitare una riflessività sull’esperienza può condurre infatti a quella consapevolezza emotiva che nasce dalla consuetudine a «lasciar essere» i sentimenti e a decifrarne il significato (D. Bruzzone, 2007).

 

 


Bibliografia

BENNER P., WRUBEL J., The primacy of caring: stress and coping in health and illnes, Addison-Wesly Pubbl., Menlo Park, 1989

BRUZZONE D., MUSI E. (eds.), Vissuti di cura, Guerini Scientifica, Milano 2007

COLLIER M.F., Aiutare a vivere, Sorbona, Milano 1992

D’AGOSTINO F., «Valenza bioetica della professione infermieristica»,  in L’arco di Giano, v. 34, 2002

LEVINAS E., Totalità e infinito, trad. it.di A. Dell’Asta, Jaka Book, Milano 1980

MANZONI E., Le radici e le foglie: una visione storico-epistemologica della disciplina infermieristica, Ambrosiana, Milano 2016

MELIES, AFAF IBRAHIM, Teoretica infermieristica: sviluppo e progresso della filosofia e delle teorie infermieristiche, Ambrosiana, Milano 2013

MORTARI L., La pratica dell’aver cura, Mondadori, Milano 2006

 

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