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56 Aprile 2019
Bioetica News Torino Aprile 2019

Il caso dei gemelli siamesi adulti tra personalità e corporeità

In breve

La questione dell'accertamento del numero di gemelli siamesi (adulti) viene analizzata nel presente lavoro attraverso tre posizioni:
1. la posizione materialista, che vede una corrispondenza diretta tra numero dei cervelli e numero delle persone;
2. la posizione che attinge alla svolta linguistica fa, invece, dipendere il numero dei gemelli siamesi (adulti) dallo stesso linguaggio. L'accertamento dei soggetti è, in questo quadro teorico, una questione linguistica − o, in altri termini, una questione che chiama in causa il dialogo: non è più la sola presenza del cervello ad essere la spia dell'avere a che fare con una persona, in questo caso è il dialogo ad istituire i soggetti;
3. per la posizione che si richiama alla svolta somatocentrica il corpo è apertura sul mondo. Il mondo delle sorelle Hensel è tale soltanto a partire dalla loro "fusione corporea" (per quanto vi sia un'autonomia per quanto attiene alle sensazioni che per quanto, altresì, siano riportate esservi delle sfere mentali autonome, private). Il loro mondo è, pur sempre, tale a partire dalla condivisione originaria, dal legame che intrattengono.
Nessuna delle prospettive supra delineate può, da sola, dirimere la questione di quante persone siano le gemelle Hensel. Le sorelle Hensel sono due persone che però costituiscono un solo corpo.

Campanella
Dott. Marco Tuono – Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali Università «Ca’ Foscari» di Venezia

Premessa

L’interrogazione filosofica che prenda in esame i “gemelli siamesi” è chiamata, in prima istanza, a stabilire con quanti soggetti si abbia effettivamente a che fare: se il senso comune non manca di riferirsi a questa realtà parlandone al plurale, si tratta di calibrare questa certezza irriflessa, di indagarla, per saperne scorgere le ragioni (per quanto implicite) che la sostanziano, andandone, infine, a stabilire la portata di verità che le appartiene. Nel far ciò, partiremo da dei precisi momenti interni alla storia del pensiero filosofico (dalla Modernità in avanti), cercando di mostrare in che modo tali cesure epistemologiche possano essere utili per il tema oggetto del nostro lavoro. Ecco che sarà, quindi, indagata, in primo luogo, una posizione materialista (riassumibile, per quanto concerne la determinazione degli individui, nell’equivalenza rigida tra numero di teste e numero di cervelli1), alla quale seguirà l’analisi della posizione che attinge alla svolta linguistica (linguistic turn2) − dove viene inteso il dialogo come l’elemento costitutivo dei soggetti. Verrà, infine, considerata la concezione costruita a partire dalla svolta somatocentrica: qui si tratta di attribuire alla corporeità lo stesso grado di importanza che, nelle precedenti posizioni, era attribuito al possesso di un cervello ed al linguaggio. È ora dunque la corporeità ad essere identificativa dei soggetti in questione.

1. Il caso delle gemelle Hensel

Abigail e Brittany Hensel (dicephalus twins) si presentano come due teste che fanno parte di un unico corpo; quanto alla determinazione delle loro personalità, dobbiamo richiamare che le sorelle dimostrano di avere dei caratteri distinti. Inoltre, ciascuna presenta una propria vita interiore. Per quanto concerne l’organismo che condividono (su cui si baserà l’argomentazione della svolta somatocentrica), occorre sottolineare che ogni testa controlla il lato corrispondente del corpo (le stesse sensazioni, del resto, provengono dalla parte corrispondente; ovvero, una sorella non può avere delle sensazioni per l’area che viene gestita dall’altra). Tutto ciò accade in modo che il semplice camminare richiede la coordinazione tra le due persone. Mentre, in riferimento agli organi interni, vi sono degli organi doppi (il cuore, lo stomaco, l’intestino − anche se i due intestini hanno grandezze differenti); vi è, inoltre, un solo fegato e vi sono tre polmoni. Un altro fattore degno di nota è che la circolazione sanguigna è in comune.

2. Il materialismo

Si può, dunque, inizialmente, dare una lettura del fenomeno dei gemelli siamesi a partire, anzitutto, dalla considerazione della posizione materialista, per la quale la presenza di un cervello indica necessariamente la presenza di una persona.

La nostra coscienza e il nostro pensiero, per quanto appaiano soprasensibili, sono il prodotto (Erzeugnis) di un organo materiale, corporeo, il cervello. La materia non è un prodotto dello spirito, ma lo spirito stesso non è altro che il più alto prodotto della materia. Questo naturalmente, è materialismo puro3.

Detto altrimenti, viene qui stabilita una corrispondenza rigida tra quanto, per esempio, i corticalisti4 ritengono essere la persona e la componente cerebrale (o materiale): tale posizione è, pensiamo, la più semplice, la meno articolata dal punto di vista teorico, con cui si ha a che fare. Detta semplicità deriva, appunto, dal fatto che, per attestare se vi sia un individuo, ci si riferisce alla presenza di un cervello. Dove vi è un cervello − in quanto nell’encefalo risiede la condizione di possibilità affinché vi sia una coscienza − vi è una persona: con la diretta conseguenza che, in presenza di due teste (che poi queste siano interne allo stesso corpo non fa, in questo quadro teorico, alcuna differenza), abbiamo a che fare con due individui distinti: «The presence of two separate brains is the premise for viewing conjoined twins as two individuals because an independent brain is the essence of existence.”5

3. La svolta linguistica

Dall’altro, non possiamo però non tenere in considerazione la trasformazione che si è avuta in filosofia con la “svolta linguistica”: a partire da questo indirizzo di pensiero si potrebbe, allora, concludere che vi siano tanti soggetti quanti i parlanti. Vediamo meglio. Occorre effettuare una precisazione, in quanto si tratta di comprendere come il concetto di parlante sia, in quest’ottica, dilatato. Occorre, infatti, rispondere a due domande distinte: 1) che cosa sia da intendersi per parlante; e 2) fino a che punto si abbia a che fare con un parlante. Per rispondervi, si tenga a mente che, in questo mutato quadro teorico, è ora il dialogo a costituire gli stessi parlanti: ebbene, il dialogo è (come la coscienza per Gentile, se si vuole tracciare un paragone che possa essere descrittivo delle dinamiche in esame) un cerchio la cui circonferenza si estende tendenzialmente all’infinito6. La conseguenza di quanto andiamo dicendo è fondamentale per il nostro discorso, in quanto, data questa dimensione decisamente allargata di linguaggio, ne deriva che al suo interno occorre far rientrare quelle persone che non sono più in vita, ma che sono state decisive per il soggetto. A riguardo, si consideri quanto sostiene Taylor:

Noi definiamo sempre la nostra identità dialogando, e qualche volta lottando, con le cose che gli altri significativi vogliono vedere in noi; e anche dopo che ci emancipiamo da questi altri − per esempio dai genitori − ed essi scompaiono dalla nostra vita, la conversazione con loro continua, dentro di noi, finché esistiamo.7

Quanto abbiamo appena ascoltato è esemplificativo della dinamica profonda che sostanzia il dialogo: anzitutto, anche qui cade una distinzione importante per la stessa filosofia − ci riferiamo alla distinzione tra “interno ed esterno”.

Tornando a Taylor, occorre, allora, dare una lettura del dialogo come ciò che può riportare alla vita gli stessi parlanti (fintanto che questi sono in dialogo con noi): abbiamo, quindi,che nella dimensione del dialogo si configura, se non un vero e proprio ritorno alla vita, quantomeno la presenza di una soggettività. Vediamo meglio: il senso comune afferma che chi viene ricordato non muore: ebbene, le parole di Taylor conferiscono una dignità filosofica a questa espressione. Ma si aggiunga dell’altro: quanto il senso comune attesta potrebbe essere sostanziato da delle dinamiche di carattere consolatorio (per dirla, per esempio, con Freud). Nient’altro. Ma il caso dell’Autore è di ben altra portata; nella dinamica che andiamo considerando, il quadro generale cui guardare è, infatti, quello dell’ontologia. Le persone che non ci sono più, sono ancora con noi; e questo non in senso metaforico, ma in senso ontologico: il dialogo conferisce loro un’esistenza piena. E questo in quanto i confini dell’esistenza corrispondono agli stessi confini del dialogo: abbiamo così una ridescrizione della stessa morte che procede a sconfessare radicalmente il punto di vista, per esempio, tanto del senso comune che delle varie scienze. La conclusione cui deve condurci l’analisi di questa battuta del filosofo canadese è la seguente: il numero dei soggetti è maggiore del numero delle stesse persone in vita. La corrispondenza diretta, che instaurava il materialismo tra cervelli e persone (o individui: qui i due termini vanno presi come sinonimi), perde ora di significato: a questo livello, non è più la presenza del cervello ad essere la spia dell’avere a che fare con una persona: in questo caso si è in dialogo tanto a prescindere dal cervello che, del resto, dallo stesso corpo.

Data una situazione di incertezza, quanto alla determinazione dei gemelli siamesi − ovvero quanto al numero sia di organismi che di persone cui ci si trova di fronte −, potrebbe, dunque, esservi, come detto poc’anzi, chi fa dipendere il loro numero effettivo dallo stesso linguaggio. L’accertamento dei soggetti sarebbe, quindi, nient’altro che una questione linguistica − o, in altri termini, una questione che chiama in causa il dialogo. Vediamo meglio: si faccia riferimento per es. alle “gemelle Hensel” (o, in questa fase della nostra indagine, a quanto si è soliti fare riferimento con tale espressione).


Note

1 Si veda quanto sostiene il CNB, I gemelli congiunti e gli interventi di separazione: aspetti bioetici, 19 luglio 2013, 9: «una sola testa identifica una sola persona»

HEIDEGGER M., Essere e Tempo, Longanesi, Milano 1976 (trad. it. di P. Chiodi dall’originale tedesco Sein und Zeit, Tübingen 1927;GADAMER HG, Verità e metodo, Bompiani, Milano 2001 (trad. it. di G. Vattimo dall’originale tedesco Wahrheit und Methode, 1960)

LENIN, Materialismo ed empireocriticismo (cit. in DE MATTEI R., Vera scienza o falsa filosofia, in Finis vitae. La morte cerebrale è ancora vita?, Rubbettino, Soveria Mannelli 2007, 107-124; 112

4 L’accoglimento del criterio cerebrale di morte quale definizione della morte dell’essere umano è stato una tappa intermedia nel percorso di autorevoli bioeticisti, si vedano per es. SHEWMON DA., Recovery from “brain death”: a brain neurologist’s apologia, «Linacre Q» 1997 Feb:  64 (1): 30-96; SINGER P., Ripensare la vita, Il Saggiatore, Milano 2002; DEFANTI CA., Soglie. Medicina e fine della vita, Bollati Boringhieri, Torino 2007

DUNCAN N., BARNETT A. et al., Conjoined twins: bioethics, medicine and the law, «West Indian Med J.» 2006;  55 (2): 123-124, 123

GENTILE G., Teoria generale dello spirito come atto puro, Sansoni, Firenze 1959 (cit. in GALIMBERTI U., Il corpo, Feltrinelli, Milano 1983, 32

7 TAYLOR C., «La politica del riconoscimento», in HABERMAS J., TAYLOR C., Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli, Milano 2008, 18


4. Confronto tra le posizioni materialista e linguistica

Ebbene, alla luce del quadro appena delineato, una prima posizione teorica, condivisa sia dal materialismo che dalle filosofie del linguaggio (di questa vicinanza diremo in seguito), ritiene di poter affermare che vi sono due individui (in quanto siamo in presenza di due persone) − che però − anticipando la nostra conclusione − non possono essere definiti come distinti (e nel sostenere questo ci riferiamo proprio alla “loro” corporeità, in quanto è noto che i “gemelli siamesi” possono manifestare delle differenze per quanto concerne i rispettivi caratteri). La motivazione che qui viene data, per il considerare le gemelle Hensel come due individui distinti, è, anzitutto, quella che guarda alla presenza di due teste.

Lo snodo centrale della posizione materialista, come già abbiamo detto, consiste nell’affermare l’equivalenza tra il numero di teste ed il numero dei soggetti: ma tale equivalenza può essere stabilita anche su di un terreno differente: se qui essa deriva da un argomentare semplicemente basato sul piano organico (il fatto che vi siano due cervelli), si tratta di vedere come questo parallelismo possa continuare a sussistere sostanziato però da un’argomentazione che fa riferimento al linguaggio. Per la svolta linguistica, delle considerazioni che chiamano in causa il livello dell’organismo (la sua complessità, ecc.) non sono certo bastevoli: il pensiero filosofico così connotato ritiene di compiere, rispetto alla versione materialista, uno scatto in avanti ulteriore, per guardare ora alla circostanza che le teste in oggetto vanno sottratte, appunto, alle considerazioni che ne mettono in risalto la componente organica, finendo per intenderle, invece, come dei soggetti parlanti (come dei soggetti, si badi, costituiti dallo stesso dialogo). Così, allora, la conclusione della posizione in esame: vi sono due soggetti (ma a questo era già pervenuto lo stesso materialismo) poiché vi sono due “nuclei” capaci di esprimere − per il tramite del linguaggio − delle valutazioni sul mondo, e capaci, al tempo stesso, di interagire con l’ambiente esterno, di avere (ciascuno) una vita di relazione, ecc.

Nell’ottica della svolta linguistica, abbiamo che il peso argomentativo è posto, come detto, sul linguaggio e non sulla sua base materiale: il ragionamento, infatti, non procede certo dal possesso di una testa (o, meglio, di un cervello) quale prerequisito affinché vi sia una coscienza (o una mente) e, di conseguenza, si possa generare il fenomeno del linguaggio. Al contrario, ci troviamo sul versante opposto: è attraverso l’elemento del linguaggio che, si presti attenzione, possono trovare una spiegazione fenomeni quali (staccandoci per un momento dal caso dei gemelli siamesi, anche se l’argomento finisce per inglobarli) la presenza di teste, e di encefali, cortecce cerebrali, e la stessa distinzione tra cervello e mente.

4.1 Un elemento di distanza tra materialismo e svolta linguistica

Da queste prime battute, vediamo che due prospettive si fronteggiano: vi è, dunque, un procedere materialista, che considera il linguaggio come un epifenomeno della componente materiale; in questo modo, il linguaggio e la mente sono entrambi epifenomeni del cervello − spiegabili facendo riferimento alla chimica cerebrale, ecc. Un argomentare di questo tipo può essere espresso attraverso l’immagine della linea retta: il procedere è, infatti, cumulativo, in quanto si passa dall’elemento materiale (il cervello) ad ulteriori elementi (la mente, assieme alla coscienza, ed il linguaggio) che rappresentano, rispetto al cervello, delle realtà di ordine differente − ma che, senza il cervello, non potrebbero esservi. Qui si dice, in altri termini, che senza l’elemento soggiacente, senza il cervello, non vi sarebbero né una mente né la facoltà linguistica. Occorre comprendere come il peso argomentativo sia qui rivolto all’indietro, al passato; si consideri la seguente battuta di Sartre, in quanto essa ha il merito di fotografare il rilievo che la filosofia materialista conferisce al passato (anche se, all’interno delle affermazioni sartriane, vi è dell’altro, ovvero vi è incluso lo stesso collegamento al futuro che sarà poi essenziale nelle argomentazioni della filosofia del linguaggio).

Annullando il passato […], questi autori [Cartesio e Bergson] hanno considerato a parte la sua sorte, isolandolo dal presente […] Non vi è quindi ragione di meravigliarsi del fatto che non siano riusciti a ricollegare il passato al presente perché il presente così concepito respingerà il passato con tutte le sue forze. Se avessero considerato il fenomeno temporale nella sua totalità avrebbero visto che il “mio” passato è anzitutto mio, cioè esiste in funzione di un certo essere che io sono. Il passato non è il niente, non è neppure il presente, ma deriva dalla stessa fonte, essendo legato a un certo presente e a un certo futuro. […] è un rapporto ontologico che unisce il passato al presente.8

Nell’ottica materialista, è a partire dal passato, infatti, che risulta possibile (si sostiene) reperire delle spiegazioni per fenomeni complessi quali la mente ed il linguaggio. Detto altrimenti: dal semplice si procede verso il complesso; la complessità si dà quale epifenomeno di un elemento di base. E, portando il ragionamento alla piena coerenza, detta complessità è, a sua volta, un qualcosa di semplice, poiché è già contenuta nella “semplicità” che è rappresentata dall’origine. Tra il semplice ed il complesso, tra l’origine e per es. lo stadio presente (o, il che è lo stesso, uno stadio futuro, ecc.) non vi è alcuna rottura, non vi sono dei salti qualitativi, quanto, solamente, delle differenze quantitative − o, detto altrimenti, di organizzazione. Abbracciando quest’analisi, ne consegue che la configurazione attuale dell’essere umano − un essere umano, quindi, parlante − va fatta risalire al possesso, in epoche precedenti, di un cervello: è grazie a questa base, a questo punto di partenza, che l’uomo ha la conformazione (anche linguistica, certamente) che conosciamo. L’essere umano in possesso del linguaggio non rappresenta, tuttavia, un salto, una differenza di grado rispetto all’ominide in possesso, a sua volta, di una comunicazione segnica: vi è, certamente, una maggiore complessità, ma i destini dell’uomo che parla sono presenti (sempre secondo il punto di vista adottato dal materialismo ingenuo) nell’ominide.

Ma vi è dell’altro: non dobbiamo fermarci a delle spiegazioni del presente, dell’oggi (guadagnabili, appunto, facendo riferimento al passato). Il ragionamento, infatti, può essere esteso ben oltre lo stesso presente, in quanto l’argomentazione può seguire, come si diceva poc’anzi, il modello esplicativo della linea retta. Diviene, quindi, possibile − a partire dal possesso di un cervello da parte di un nostro remoto progenitore − spiegare la conformazione che avrà l’essere umano nel futuro – anche facendo riferimento ad un futuro assolutamente distante rispetto al presente. Del resto, sempre prendendo in esame l’immagine della linea retta, abbiamo che ogni punto che la costituisce − non importa quale sia la sua distanza rispetto all’origine − rinvia necessariamente all’esordio stesso della linea. Non importa quanto si proceda in avanti: ogni possibile futuro è, pur sempre, radicato nel passato (nell’origine); e ciascun futuro, si presti attenzione, è altrettanto radicato nel passato rispetto alla gamma di modalità nella quale si incarnano i vari “futuro”.

La posizione riassumibile come “svolta linguistica” continua a mantenere, pensiamo, la linea retta quale modalità cui guardare per comprendere fenomeni quali il linguaggio, la mente, il possesso di un cervello − e, perché no? − la stessa formazione di un encefalo. L’unica differenza intercorrente tra il pensiero materialista e la svolta linguistica risiede nel fatto che la seconda fa cambiare direzione alla freccia. Vediamo meglio: non è più, in questo caso, il passato a permettere una spiegazione del futuro; al contrario, è ora il futuro ad offrire una comprensione piena di ogni passato, sino a ricomprendere la stessa origine. Il futuro, dunque, retroagisce; ad esso si devono le stesse tappe intermedie preparatorie del linguaggio: qui non è più l’organico a configurare il linguaggio (come voleva il materialismo). Al contrario, è la stessa dimensione linguistica a richiedere che vi sia una corporeità in grado di esprimersi in parole: la stessa struttura che presiede alla fonazione è tale in quanto necessaria al linguaggio.

4.2 Oltre la svolta linguistica?

Si presti attenzione alle ricadute di questo procedere: seguendo quest’ottica, abbiamo che per es. la stessa conformazione attuale dell’essere umano non rappresenta altro, a ben vedere, che un passato, e questo in quanto la sua ragion d’essere va ravvisata nel futuro (in un futuro indeterminabile, forse, ma che, tuttavia, risulta depositario della chiave di lettura attraverso la quale leggere l’oggi, ecc.). Ne deriva che la stessa “svolta linguistica” lo stesso riferirsi al linguaggio come all’unico elemento in grado di fornire una spiegazione filosoficamente adeguata della realtà (e dell’essere umano) potrebbe, nel futuro, convertirsi in qualcosa d’altro. Ma questo non sia detto per affermare che nel futuro potrebbero essere sconfessate le ragioni della svolta linguistica, sostituendovi dell’altro − giungendo, quindi, potenzialmente a sconfessare lo stesso procedere a ritroso da parte della linea retta cui è consegnata l’indagine. No, qui viene tenuto fermo il procedere esplicativo − dal futuro verso il passato; semplicemente, potrebbe esservi un momento nella storia umana (un futuro) nel quale al linguaggio venga sostituito dell’altro. All’oggi questa è, certamente, soltanto un’ipotesi, ma niente vieta di prospettare (almeno in sede di pensiero) tale scenario; potrebbe darsi, infatti, che lo stesso linguaggio non sia altro, a sua volta, che una tappa preparatoria in vista del prevalere di un elemento all’oggi non ancora prefigurabile. Quanto abbiamo detto per la fonazione potrebbe, quindi, essere riferito allo stesso linguaggio: anche su di esso, dunque, potrebbe esservi l’azione di un elemento che − retroagendo − faccia assumere alla dimensione linguistica la “struttura” attuale, ecc.

4.3 La continuità tra materialismo e svolta linguistica

Per quanto si tenda a considerare la prospettiva materialista e quella che rientra nella svolta linguistica come antitetiche, occorre saper scorgere gli elementi di continuità che, tra le due, vi sono − e che sono decisamente superiori rispetto alle distinzioni che possono essere sottolineate. Si tratta, infatti, di comprendere che la direzione della freccia (che essa sia rivolta verso il futuro, o che, invece, parta dal futuro per andare a colorare di sé il passato) non incide sulla parentela profonda che vi è tra le due posizioni. Vediamo meglio: il versante materialista è convinto della possibilità di orientare la storia − e ciò, si può sostenere, rappresenta la prova della distanza massima con la svolta linguistica, ma chi pensasse questo sbaglierebbe, poiché tale funzione di indirizzo che si intende dare alla storia economico-sociale, è tale solamente in quanto la meta (per es. la realizzazione della società giusta, ecc.) è implicata − ed è implicita, è già prefigurabile − sin dalle prime formazioni economiche. Sono, infatti, all’opera, nelle prime società umane, delle contraddizioni, la cui evoluzione è destinata a comportare delle trasformazioni nell’assetto della società, dei suoi rapporti − tanto economici che “giuridici” − che condurranno, di necessità, all’ultimo stadio. Ecco che la stessa possibilità di incidere sulla storia, da noi poc’anzi richiamata, non va intesa, certamente, nel segno di un’iniziativa individuale, o nell’espressione della volontà9, ecc., quanto come la diretta conseguenza di ciò che è accaduto nell’origine (da leggersi, nel caso in esame, nell’ottica dell’attrito fra determinare classi, il quale ha condotto ad una catena di modificazioni − la quale, a ben vedere, è la medesima catena che dovrebbe condurre, almeno secondo un certo modo di intendere, alla fine della storia10).

Sin qui l’analisi del materialismo; per quanto concerne, invece, il focalizzarsi sul linguaggio quale fattore esplicativo della realtà, dobbiamo dire che l’essere umano si trova in una posizione di attesa (poiché egli è, costitutivamente, nella condizione di presentare ascolto al linguaggio).

Il linguaggio è il recinto […] cioè la casa dell’essere. L’essenza del linguaggio non si esaurisce nel significare, né è qualcosa di connesso esclusivamente a segni e a cifre. Essendo il linguaggio la casa dell’essere, possiamo accedere all’ente solo passando costantemente per questa casa. Se andiamo alla fontana, se attraversiamo un bosco, attraversiamo già sempre la parola “fontana”, la parola “bosco” anche se non pronunciamo queste parole e non ci riferiamo a nulla di linguistico.11

Sarà, quindi, il linguaggio, infatti, a dettare i tempi all’uomo, a farlo attraversare lo spettro delle epoche storiche, in modo non dissimile da come la primissima frizione tra determinate classi sociali (o protoclassi sociali) innesca , via via, una cascata di cambiamenti nella società. Ecco che, per il pensatore materialista, è l’economia − nella misura in cui in essa si palesano i rapporti tra le classi − a rappresentare la molla, il motore della storia, mentre per il filosofo continentale il fattore che permette il passaggio da un’epoca all’altra va ravvisato nello stesso linguaggio. Materialismo e filosofie del linguaggio devono essere riconosciuti − a questo punto della nostra indagine − come delle filosofie essenzialmente storiche, aventi, appunto, nel corso storico la propria cifra di riferimento. Questa parentela, peraltro imprevista, non è certo l’unica possibile: con riferimento al tema che andiamo trattando (il numero dei gemelli siamesi); dobbiamo riconoscere che le conclusioni cui il materialismo e la svolta linguistica pervengono sono del tutto similari. Per entrambe le correnti di pensiero, ci si trova, come detto, in presenza di due soggetti.

Dopo aver messo in luce questa vicinanza, attinente al comune terreno storico, vediamo le possibili critiche alle due posizioni che andiamo indagando.

4.4 Critiche alla posizione materialista ed a quella linguistica

Tornando all’analisi dei gemelli siamesi, dobbiamo precisare di ritenere inefficaci entrambi questi approcci per quanto attiene alla loro determinazione numerica: che nel caso delle gemelle Hensel ci si trovi davanti a due soggetti, oppure ad uno solamente, non è questione che possa essere risolta con l’aiuto delle posizioni che, finora, abbiamo trattato. Iniziamo considerando le posizioni che fanno capo al linguaggio. Ebbene, il rilievo conferito alla componente linguistica − la centralità che le filosofie continentali, pur nelle differenze reciproche, le conferiscono − non è bastevole per dirimere la questione inerente le soggettività dei gemelli siamesi. Detto altrimenti, l’esistenza non è, quindi, una questione solamente linguistica; ma (come, forse, a questo punto ci si potrebbe aspettare) neppure si tratta di un qualcosa che attiene − esclusivamente − alla corporeità (dove qui non fa differenza essere un corpo o avere un corpo). A questo proposito, per rimanere ancora sul caso delle gemelle Hensel, dobbiamo dire che certamente si tratta di due persone distinte − e qui viene fatto valere, almeno in parte, l’argomento del materialismo (la presenza del cervello è la condizione di possibilità affinché vi sia una persona). Ma viene accolta, altresì, la posizione tipica della svolta linguistica − la quale può essere, a questo punto dell’indagine così espressa: vi sono (almeno) tanti individui quanti sono i parlanti.

Apriamo ora una parentesi: siamo pervenuti − dando ascolto al materialismo −  al seguente assunto: non vi può essere la componente della personalità senza che vi sia, all’opera, un cervello; ebbene, a questa posizione, Hans Jonas opporrebbe che l’identità personale è tale da distribuirsi su degli elementi della corporeità che prescindono dal cervello −  quali la reazione immunitaria e le impronte digitali. Egli, infatti, richiama queste esemplificazioni in occasione della sua presa di distanza dal criterio di morte cerebrale; il suo obiettivo è, infatti, quello di mostrare − per utilizzare un lessico diverso da quello impiegato dall’Autore, ma che non ne tradisce affatto le intenzioni − l’indipendenza della res extensa dalla res cogitans. Egli intende richiamare l’attenzione sul fatto che l’identità di ciascuno comprende non soltanto degli elementi cerebrali, quanto lo stesso corpo. Da parte nostra, non possiamo che essere d’accordo con quanto l’Autore qui sostiene: è interessante, però, considerare la relazione che può instaurarsi tra la personalità, da un lato, e gli elementi attinenti all’ambito della corporeità cui fa riferimento Jonas (reazione immunitaria ed impronte digitali12). Possiamo affermare che solamente la prima ha a che fare − anche se in una modalità indiretta − con il cervello (o, per meglio, esprimerci, con la mente): si prenda in esame il caso della “somatizzazione”. In esso abbiamo che una malattia somatica viene ad instaurarsi a partire da quanto accade sul versante della mente: ecco che per es. un lutto, una depressione, vanno a riversarsi sul corpo, facendolo ammalare: vediamo così all’opera l’incidenza (per quanto inconsapevole) della mente sulla corporeità: sono le attese della mente, sono le sue valutazioni inerenti la realtà − in una parola: sono dei pensieri − a far ammalare l’organismo − e con ciò l’ipotesi cartesiana di una res extensa in balìa della res cogitans parrebbe, in parte, confermata. La reazione immunitaria non è dissimile dalla somatizzazione (ed anzi ne è la premessa): anche qui, infatti, possiamo osservare il peso dei fattori emotivi (mediati sia dalla mente che, a diverso titolo, dal cervello) per la stessa salute.

Per quanto attiene alle impronte digitali, invece, esse non hanno la caratteristica della variabilità che è propria della reazione immunitaria (la quale può essere, per spostarci dagli esempi di Jonas, conferita, pensiamo, allo stesso peso corporeo: si faccia riferimento ai fenomeni dell’anoressia e della bulimia per comprendere come il peso non sia certo un fenomeno dipendente dai soli elementi quantificabili, ma sia inerente il piano simbolico13).


Note

SARTRE JP., L’essere e il nulla, Il Saggiatore, Milano 2009, 150-151 (trad. it. dall’originale francese L’être et le néant, Gallimard, Paris 1943

Bastino a riguardo, le frequenti accuse di “volontarismo” presenti nella letteratura marxista

10 Sulla “fine della storia” si cfr. VEGETTI M., La fine della storia. Saggio sul pensiero di Alexandre Kojève, Jaca Book, Milano 1999

11 Vedi HEIDEGGER M., «Perché i poeti?», in ID., Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze 1968, 287

12 JONAS H., «Morte cerebrale e banca di organi umani: sulla ridefinizione pragmatica della morte», in BARCARO R. − BECCHI P. (a cura di), Questioni mortali. L’attuale dibattito sulla morte cerebrale e il problema dei trapianti, ESI, Napoli 2004, 47-67

13 Vedi TUROLDO F., Le malattie del desiderio. Storie di tossicodipendenza e anoressia, Cittadella, Assisi 2011

5. La svolta somatocentrica

Per tornare alle gemelle Hensel, abbiamo visto che si tratta di due persone distinte: la decisione di attribuire loro, sin dall’inizio, due nomi ci trova quindi concordi; tuttavia − e qui veniamo a toccare se non un’insufficienza, almeno un tratto unilaterale della prospettiva che guarda al linguaggio − si tratta pur sempre di due persone nel medesimo organismo. Non risulta possibile, pertanto, affermare che la dimensione linguistica (come vorrebbero i sostenitori della svolta linguistica) sia quell’elemento in grado di determinare di quanti esseri ci si trovi in presenza.

La questione che chiama in causa, questa volta, l’organismo delle gemelle è ancor più complessa di quella che analizza (rispetto ai casi e della prospettiva materialista e della svolta linguistica) di quante persone si tratti. Due sono, infatti, le possibili interpretazioni: da un lato − per delineare una prospettiva che potremmo definire, in senso lato, come cartesiana14 −, si può sostenere che ci troviamo in presenza di due corporeità distinte (in questo senso, vi sarebbero tanti corpi quante persone coinvolte). E questo in quanto ciascuna sorella controlla solamente la propria parte − richiedendo che vi sia la coordinazione con l’altra sorella per attività quali lo stesso camminare ed il guidare: guardando alle analisi cartesiane, dovremmo dire che vi sono due corpi distinti, appunto, poiché vi sono due corporeità che controllano, appunto, altrettante res estensa. Eppure questa, come detto, non è l’unica modalità di intendere il corpo (e, di riflesso, le corporeità delle gemelle in questione): ma per comprendere ciò occorre, in via preliminare, cessare di utilizzare una definizione del corpo che lo ritiene come quel qualcosa di cui la mente (e, ancora, la psiche o la res cogitans) ha bisogno per entrare in relazione con il mondo − e sul quale, di conseguenza, si trova ad agire. Il corpo, quindi, viene inteso, per la prima accezione, come ciò che serve alla mente affinché questa abbia una presa sul mondo, sulla realtà; ma di esso vi può essere, altresì, una lettura (ed è quella alla quale noi aderiamo) che non lo ritenga alla stregua di un mero strumento, ma sappia comprenderlo per l’apertura al mondo che esso solo può offrire.15 Ecco che − una volta che esso sia guardato a partire dalla svolta somatocentrica − il mondo delle sorelle Hensel è tale soltanto a partire dalla loro “fusione corporea”; per quanto vi sia un’autonomia per quanto attiene alle sensazioni che per quanto, altresì, siano riportate esservi delle sfere mentali autonome, private. Il loro mondo è, pur sempre, tale a partire dalla condivisione originaria, dal legame che intrattengono.

Secondo l’impostazione a carattere cartesiano, il mondo, come noto, è tale solamente per una coscienza in grado di averne una rappresentazione; in altri termini, per comprendere che cosa sia (e come sia) il mondo, occorre procedere ad interrogare la stessa coscienza. Il mondo, del resto, è qui contenuto di coscienza − è racchiuso all’interno del perimetro della coscienza; in quest’ottica, il corpo è quanto permette l’intervento della coscienza nel mondo. Nient’altro. L’impostazione somatocentrica, invece, poggia su altre basi: qui non vi è alcun legame tra la coscienza ed il mondo da tracciare, poiché ci si trova sempre presso le cose, presso il mondo: è il corpo a fornirci il mondo, e non certo la coscienza. Ecco che si è, quindi, al mondo, e non si ha un mondo, per il tramite dello strumento della corporeità − come vorrebbero le prospettive cartesiane.

Conclusione

Facendo leva su questa seconda concezione della corporeità − non più cartesiana, ma fenomenologica,16 somatocentrica − possiamo svolgere delle ulteriori considerazioni sulle gemelle Helsen. Dopo aver riconosciuto che si tratta di due personalità distinte (e questo sia in quanto ci si trova di fronte a due cervelli che a due soggetti parlanti), occorre esplicitare quello che per il pensiero può essere un paradosso: le sorelle Hensel sono due persone che però costituiscono un solo corpo. Due persone che, tuttavia, condividono un unico organismo: a partire da questo rilievo dobbiamo osservare che i tre approcci che abbiamo considerato (il materialismo, la svolta linguistica e quella somatocentrica)17 possono vantare, ciascuno, una posizione di verità. Ma come sono delle posizioni portatrici di verità, allo stesso modo devono essere riconosciute come portatrici dell’errore; infatti, come sono saltate le spiegazioni basate sul possesso del cervello e del linguaggio (per quanto attiene alla determinazione del numero effettivo dei gemelli siamesi), così vi è stata un’incomprensione di fondo che ha caratterizzato la posizione che guarda al solo corpo come all’elemento cui far dipendere la determinazione delle soggettività . Ritenere decisiva la componente corporea significa, infatti, concludere che ci si trova davanti ad un unica persona (se, appunto, la personalità viene espressa dalla stessa corporeità − si ricordi, in merito, il riferimento a Jonas, per il quale le impronte digitali sono costitutive della mia identità). La conclusione cui occorre pervenire è, allora, quella di osservare che la condizione dei gemelli siamesi resiste ai tentativi di collocarla in una posizione all’interno del ventaglio di quelle che abbiamo considerato (il materialismo, la filosofia del linguaggio e la svolta somatocentrica). E questo in quanto il numero reale delle persone non trova un numero di corpi corrispondente: non possiamo negare che esistano due persone distinte, come, allo stesso modo, non possiamo negare che vi è un solo corpo.

Nell’ambito della riflessione bioetica si discute innanzitutto se l’integrale indipendenza fisica (ossia il possesso di un corpo separato) sia un requisito indispensabile per essere considerato un soggetto/individuo a cui deve essere garantita sempre la “propria” specifica integrità oppure se ci troviamo di fronte a un’integrità diversa, unitaria e duplice nello stesso tempo, che va riconosciuta e rispettata, quando non vi siano imminenti pericoli di vita, nella “propria” particolarità.18

Osservando tutto ciò dall’angolatura visuale dell’esistenza, dobbiamo riconoscere che alla domanda che chieda quanti soggetti esistano, non si può che rispondere facendo delle distinzioni −  e non certamente attraverso una risposta secca. In altri termini, la stessa esistenza, quando si ha a che fare con degli esseri umani, non può che presentarsi come un ibrido di elementi corporei e di elementi personali. Del resto, come abbiamo avuto modo di dire19, è la stessa personalità ad implicare degli elementi corporei − si ricordi (ancora una volta), andando a ritroso, quanto abbiamo detto sulla reazione immunitaria (Jonas), oltre che sul prerequisito del possesso di un cervello affinché vi sia una persona (rilievo, questo, già effettuato dalla posizione materialista). L’esistenza umana non si presta, quindi, ad essere descritta nei termini della sola personalità, né in quelli della sola corporeità: al contrario, personalità e corporeità non sono altro che delle astrazioni. La realtà umana è, come detto, un qualcosa di intermedio, un ibrido, tra le due20. Chi ha compreso come gli elementi della res cogitans e della res extensa non possano poggiare su quella separatezza che, invece, la loro definizione richiede è H. Jonas: «Chi può sapere se, quando il bisturi comincia a tagliare, non si causi uno shock, un ultimo trauma a una sensibilità diffusa, non cerebrale, ancora in grado di sentire il dolore, che noi, con le funzioni organiche, teniamo in vita?»21 Pensiamo che la domanda di Jonas possa benissimo diventare un’affermazione: il pensiero che qui l’Autore esprime ha il merito di mostrare come questa ibridazione sia all’opera per quanto attiene alla stessa vita umana (che poi si tratti di una vita vicina alla morte non cambia le cose). A partire da qui, dunque, non dobbiamo vedere, per quanto concerne i gemelli siamesi, la configurazione di un’eccezione, nient’altro che un caso particolare. Con la loro resistenza, per così dire, all’equazione che ad un cervello fa corrispondere un corpo, i gemelli siamesi testimoniano della complessità della vicenda umana, ovvero del suo comporre, di continuo, elementi corporei ed elementi personali − senza alcuna possibilità di pervenire ad una “semplificazione”, la quale sia in grado di ridurre le dinamiche nelle quali trova espressione la personalità al corporeo o, a rovescio, possa prescindere dal corpo per scorgere l’essenza della persona nei soli elementi definiti come superiori (la ragione, il linguaggio). Ecco che, una volta che si sia guadagnata quest’ottica, la sorte delle gemelle Hensel viene allora ad essere la sorte di ciascuno di noi.

 


Note

14 Contra, si veda quanto sostiene LOWEN A., Bioenergetica, Feltrinelli, Milano 2004, 48: «La coscienza, tuttavia, non è un elemento staccato o isolato della personalità. È una funzione dell’organismo, un aspetto del corpo vivente»

15 Vedi MERLEAU-PONTY M., Phenomenology and Perception, Routledge, London-New York 2010

16 Vedi GALIMBERTI U., Il corpo cit.

17 GALANTINO N., Sulla via della persona. La riflessione sull’uomo: storia, epistemologia, figure e percorsi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006, 173-179

18 CNB, I gemelli congiunti e gli interventi di separazione: aspetti bioetici, cit., 9

19 Si vedano, supra, le considerazioni sulla morte dell’essere umano

20 Vedi per es. LOWEN A., Bioenergetica, cit., 44-47

21 JONAS H., Morte cerebrale e banca di organi umani, cit., 51


Pubblicazioni

TUONO M., Inconscio, azione ed etica. Le condizioni psicologiche della libertà morale, Linea, Padova 2017

TUONO M., La morte: questione ontologica o valoriale?, «Etica e politica» 2017; XIX: 2, 507-524

TUONO M., Il neonato anencefalico come donatore di organi: una “terza via” tra utilitarismo e dignità, «Q-Times», 2017; IX: 4; http:www.qtimes.it

TUONO M., Il detenuto in sciopero della fame come problema bioetico, «Bio-ethos» 2016; 28, 91-106

TUONO M., Come un insetto nell’ambra. Divenire e linguaggio nel pensiero di F. Nietzsche, Aracne, Roma 2015

TUONO M., I trapianti e la bioetica: un incontro decisivo, «Trapianti» 2013; 17: 4, 137-144

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