Convegno «Le Lingue della malattia»
4 maggio 2017 − Residenza Richelmy, Torino
Intervista1 alla relatrice prof.ssa Raffaella Scarpa
Domanda: Dinanzi ad un folto pubblico eterogeneo, composto di accademici, specialisti soprattutto nei settori linguistico e sanitario, studenti e uditori interessati all’argomento, presso la sala conferenze della struttura residenziale Richelmy del Gruppo Orpea Italia, il 4 maggio scorso, il gruppo di ricerca «Remedia –Lingua, Medicina e Malattia» del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Ateneo torinese ha presentato gli esiti del progetto universitario interdisciplinare sul rapporto tra espressione linguistica e patologia mentale, in un convegno dal titolo «Le lingue della malattia».
Nel porgere il saluto il professor Mario Squartini, vicedirettore alla Ricerca del Dipartimento degli Studi Umanistici, ha fatto riferimento alla novità del progetto che apporta un aspetto nuovo al connubio tra Medicina e Linguistica esteso ad un ambito della linguistica generale più ampio rispetto ai meri tratti strutturali specifici del linguaggio (morfologici, fonologici e sintattici) e ha annunciato il nuovo insegnamento, primo in Italia, di «Linguistica Medica e Clinica», iniziato pochi giorni prima dell’evento, presso il Corso di Laurea magistrale in Scienze linguistiche.
Lei ha sottolineato l’importanza di aver potuto unire alla ricerca la sperimentazione sul campo, avvalendosi di un’intesa con il gruppo Orpea del Piemonte. Può spiegarci meglio la questione illustrandoci anche cosa si occupa il gruppo e, in particolare, il progetto di Ricerca «Remedia – Lingua Medicina e Malattia», avviato nel 2012 e di cui lei è coordinatrice?
Risposta: Se dovessi sintetizzare cos’è Remedia direi che è una associazione e gruppo di ricerca interdisciplinare (ne panno parte linguisti, storici della lingua, storici della medicina, medici ecc.) che si muove su tre direttrici dominanti:
− la linguistica clinica e la psicopatologia del linguaggio che studia le lingue della malattia, le relative tecniche terapeutiche e riabilitative, con particolare riguardo alle patologie psichiatriche, neuropsichiatriche e neurologiche;
− la linguistica medica, che analizza modi e forme della comunicazione operatore e paziente (comprendendo anche le terapie coadiuvanti di parola, i colloqui terapeutici o informativi, il consenso informato, la comunicazione della diagnosi e della prognosi ecc.) e, più in generale, delle forme di comunicazione linguistica tra le realtà sanitarie (enti, istituzioni, commissioni, associazioni di malati ecc.), persone assistite e popolazione;
− la storia della lingua della medicina, che studia la lingua dei testi medici – dai trattati antichi ai foglietti illustrativi – dal punto di vista in primo luogo lessicale, ma anche fonologico, morfologico, sintattico, retorico, argomentativo, testuale e che si colloca nell’ambito dell’analisi dei cosiddetti “linguaggi specialistici” o “lingue speciali” o “linguaggi settoriali”.
Le cliniche Orpea presenti in Piemonte ci hanno dato la preziosa possibilità di svolgere attività di osservazione e ricerca al loro interno e, soprattutto, hanno investito sulla formazione dei giovani, istituendo in collaborazione con Remedia e con il corso di laurea magistrale di Scienze linguistiche del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Torino, una articolata offerta di tirocini rivolta agli studenti, coordinata dalla Dott.ssa Beatrice Dema. Gli studenti che svolgono in tirocinio con noi possono scegliere di inserirsi in vari progetti in corso e quindi essenzialmente:
− compiere attività di osservazione e supporto della relazione operatore-paziente, imparando le tecniche di relazione e proponendo nuove modalità di interazione alla luce dei loro studi;
− lavorare, in stretta collaborazione con gli operatori, direttamente con i pazienti allo scopo di raccogliere testi e testimonianze da sottoporre ad analisi, proponendo nuovi metodi di raccolta-dati.
Lo scopo del tirocinio è innanzitutto di attivare uno scambio virtuoso tra studente paziente e operatore, avvicinare lo studente ai malati, alle strutture e a chi vi lavora, in modo che il sapere teorico appreso durante il corso di studi e − anche, semmai − durante la confezione della tesi di laurea non resti materia inerte ma possa essere applicato a contesti professionali specifici.
D: Il poderoso volume da lei curato e diretto per la collana «Lingua Medicina e Malattia» di Mimesis da lei diretta (Le lingue della malattia. Psicosi, Spettro autistico, Alzheimer, Sesto San Giovanni – Mi – Mimesis, 2016) dà il titolo al convegno, che si è rivelato essere tuttavia non solo una semplice presentazione. Come lei stessa ha sottolineato, l’incontro della giornata ha infatti voluto essere anche un’occasione di riflessione e di dibattito sull’utilità di uno scambio interdisciplinare tra scienze mediche e scienze umane. A questo riguardo, quale valore può avere la tradizione storica in tale scambio, prendendo spunto da quanto lei ha detto del primo Glossario di termini medici utili alla relazione di cura, risalente al primo Settecento, diventato poi nell’Ottocento appendice al Vocabolario della Crusca?
R: Certo, l’ho detto durante il convegno e lo ribadisco qui: la dimensione storica è fondamentale anche per lo studio dei fenomeni della contemporaneità. Senza inquadrare i fenomeni linguistici nella storia della lingua e della cultura si rischia (ed è accaduto) di considerare “scoperte”, ciò che invece è già noto e attestato.
Un esempio banale: chi studia la comunicazione operatore-paziente e ignora, o non tiene in debito conto, che la questione della alleanza di cura è una questione che i medici si pongono da sempre, tanto che tra Settecento e Ottocento vengono scritti, in Italia, una gran quantità di “galatei medici” (gli antenati dei codici deontologici) che codificano il “buon comportamento” che il medico deve tenere nei riguardi della persona assistita, scambierà per una novità anche un po’ alla moda quello che invece è una questione saliente da sempre in medicina, riducendola, fraintendendola e insomma banalizzandola. Allo stesso modo ricostruire la storia dei termini tecnici di ambito medico è un mezzo per ricostruire ampi squarci di storia della cultura e delle idee. L’epoca che viviamo è tutta proiettata in avanti, in una smania di futuro ma, come scrive Giorgio Agamben in Che cosa resta?
Note
1 Intervista a cura di Gabriella Oldano, giornalista, redazione «Bioetica News Torino». Rivista del Centro Cattolico di Bioetica-Arcidiocesi di Torino
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