La sentenza della Corte Costituzionale sul fine vita, la nota della Cei e l’appello dell’Associazione L. Coscioni contro l’imposizione di coscienza
26 Settembre 2019La sentenza della Corte Costituzionale attesa, riunita ieri 25 settembre, sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale sull’aiuto al suicidio, in determinate condizioni, è arrivata portando ad assolvere Marco Cappato.
La questione della legittimità costituzionale del reato penale di aiuto al suicidio citato nell’art. 580 del codice penale è stata sollevata dalla Corte di Assise di Milano per il ruolo che Marco Cappato ha avuto nella vicenda di Fabiano Antoniani, detto dj Fabo, quando era in irreversibile e gravissima disabilità, dopo un incidente d’auto nel 2014, nell’accompagnarlo in auto da Milano il 25 febbraio 2017 in Svizzera dove in una clinica prescelta si sarebbe procurato due giorni dopo la morte con un farmaco letale, assecondando la sua volontà. Di ritorno dal viaggio Marco Cappato, come si legge nell’ordinanza del 23 ottobre n. 207/2018, si era autodenunciato ai carabinieri. Il processo è iniziato a novembre del 2017. La Corte di Assise di Milano lo ha assolto per la parte di istigazione al suicidio nel febbraio 2018 e per la parte di aiuto al suicidio ha rinviato il giudizio di costituzionalità dell’art. 580 del codice penale alla Consulta. La Corte Costituzionale il 23 ottobre 2018 ha deciso di rinviare la discussione al 24 settembre 2019 per dare un anno di tempo al Parlamento per poter legiferare in materia (ordinanza 207/2018) facendo presente che l’evolversi della medicina e della tecnoscienza ha portato a situazioni nuove nel salvare la vita dalla morte «pazienti in condizioni gravemente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali» e sottolineando l’assenza di una normativa sul fine vita che tuteli in modo adeguato determinate situazioni meritevoli di protezione e rispetto, in cui il valore della tutela della vita umana sia bilanciato con altri beni costituzionalmente rilevanti, considerando alcune condizioni in cui il suicidio medicalmente assistito possa avere una giustificazione. Il riferimento alle specifiche situazioni è, scrive la Corte, «più in particolare, alle ipotesi in cui il soggetto agevolato si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Si tratta, infatti, di ipotesi nelle quali l’assistenza di terzi nel porre fine alla sua vita può presentarsi al malato come l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, secondo comma Cost.».
In una nota stampa si informa che «la Corte ha ritenuto non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Poi precisa che «In attesa di un indispensabile intervento del legislatore, la Corte ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219/2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del SSN, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».
Infine «La Corte sottolinea che l’individuazione di queste specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento, si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili, come già sottolineato nell’ordinanza 207 del 2018. Rispetto alle condotte già realizzate, il giudice valuterà la sussistenza di condizioni sostanzialmente equivalenti a quelle indicate».
La Cei accoglie la sentenza esprimendo «sconcerto e la loro distanza da quanto comunicato dalla Corte Costituzionale» – informa in una nota di ieri – mentre attendono il passaggio parlamentare. Innanzitutto «la preoccupazione maggiore è relativa soprattutto alla spinta culturale implicita che può derivarne per i soggetti sofferenti a ritenere che chiedere di porre fine alla propria esistenza sia una scelta di dignità». Poi i Vescovi «confermano e rilanciano l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati». All’unanimità si uniscono al pensiero di Papa Francesco «Si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia».
Il Parlamento dovrà riconoscere «nel massimo grado possibile tali valori ⌈l’impegno di prossimità e di accompagnamento della Chiesa nei confronti di tutti i malati⌉ anche tutelando gli operatori sanitari con la libertà di scelta».
È iniziata una petizione promossa dal dottor Mario Riccio e dell’Associazione Luca Coscioni contro «l’imposizione di coscienza» firmata da 200 medici. Il dottor Mario Riccio che è stato il medico di Piergiorgio Welby ed è dirigente dell’ Associazione Luca Coscioni chiarisce, facendo riferimento alla dichiarazione sulla possibilità di un”obiezione di coscienza” da associazioni mediche «che nessuno – né tantomeno un medico favorevole alla morte medicalmente assistita come me – vuole imporre a qualcuno l’obbligo professionale di praticarla, ma vogliamo solo garantire al paziente quello che in tanti medici riteniamo essere un suo diritto e che speriamo che oggi la Corte Costituzionale voglia definitivamente sancire». Si appella contro il presidente della FNOMCeO per aver espresso ai medici, come si afferma nel sito dell’Associazione Luca Coscioni «se anche cambiasse la legge i medici dovrebbero comunque seguire le indicazioni del codice deontologico, anche se in contrasto con le richieste della Corte Costituzionale e l’eventuale determinazione».