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7 Marzo 2013
Bioetica News Torino Marzo 2013

Notizie dall’Italia

1. Giornata degli stati vegetativi: per il ministro Balduzzi «fenomeni purtroppo in crescita»

8 febbraio 2013

«Gli stati vegetativi sono fenomeni purtroppo in crescita, che richiedono un’attenzione maggiore, anche sotto il profilo delle risorse sia finanziarie sia umane». Lo ha detto il Ministro della Salute Renato Balduzzi aprendo a Roma l’8 febbraio scorso la III Giornata nazionale degli stati vegetativi. Il Ministro ha ricordato alcune iniziative già prese dai diversi governi, dal Libro Bianco all’accordo Stato-Regioni del 2011 e lo stanziamento per quest’anno di 20 milioni di euro – dei 240 per la non autosufficienza – vincolati alla presa in carico dei pazienti in stato vegetativo e inseriti fra gli «obiettivi prioritari e di rilevanza nazionale». Inoltre, ha aggiunto, «col decreto del 18 ottobre 2012 in materia di tariffe per le prestazioni sanitarie viene prevista per la prima volta una specifica remunerazione per i casi ad alta intensità assistenziale».

Di seguito il testo integrale dell’intervento del Ministro:
«Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad un rilevante incremento del numero di pazienti con quadri clinici complessi dominati da severe alterazioni dello stato di coscienza e bassa responsività, che includono lo Stato Vegetativo, lo Stato di Minima Coscienza e la sindrome locked-in.
Si tratta di condizioni non più episodiche ma che affliggono, come diversi studi anche italiani dimostrano, un rilevante numero di persone e di famiglie, generando sofferenza, disagi, disabilità.

Già i Governi precedenti hanno avviato importanti iniziative per affrontare questo delicato e complesso tema. Il Libro Bianco ha rappresentato un importante passo in avanti nella conoscenza della situazione e nella presa di coscienza delle diverse dimensioni del problema, in ascolto delle associazioni che rappresentano i familiari, sottolineando l’importanza della domiciliarietà, integrato con la presenza di strutture quanto più prossime ai luoghi di vita in cui ospitare i pazienti e ottenere cure riabilitative idonee.
Insieme alle Regioni è stato raggiunto l’Accordo del 5 maggio 2011 che ha fornito importanti indicazioni per:

– promuovere l’utilizzo di percorsi assistenziali omogenei su tutto il territorio nazionale per le persone in condizioni di Stato Vegetativo o Stato di Minima Coscienza, caratterizzati da elevata complessità ed intensità assistenziale;

– garantire la continuità assistenziale, l’integrazione degli interventi per uno stesso paziente ed il coordinamento secondo la modalità di rete e di presa in carico globale.

Sono state finanziate diverse ricerche e studi sul fenomeno, che ne hanno messo in luce la diffusione e le caratteristiche, come pure l’urgenza di adeguare l’offerta pubblica dal punto di vista quantitativo e qualitativo, per ridurre i “viaggi della speranza” e consentire la miglior qualità di vita possibile ai pazienti e al nucleo familiare.

Nel corso del mio mandato di Governo ho avuto modo di ascoltare e confrontarmi in diverse occasioni con questa tematica, con le associazioni, con singole famiglie, con esperti e operatori che lodevolmente profondono un impegno e una dedizione davvero esemplari. Certo, ci sono state anche incomprensioni e polemiche, ma abbiamo creduto sin dall’inizio alla rilevanza dell’apporto di tutti, del confronto sereno, costruttivo, dialogico, orientato a risolvere problemi concreti che interessano le famiglie e i pazienti.
Con questi intendimenti abbiamo voluto costituire un Tavolo al quale partecipano, in modo innovativo, sia esperti indicati dalle Società scientifiche sia rappresentanti indicati dalle tre Federazioni delle Associazioni, sia tecnici del Ministero e delle Regioni.

In questi 12 membri si aggiungono 3 esperti individuati dal Ministro, con competenze di tipo clinico, giuridico e etico, nonché di comunicazione specializzata su questo tema. Il presidente è il Prof. Paolo Maria Rossini, illustre neurologo dell’Università Cattolica di Roma. È importante evidenziare che sia la rappresentanza delle associazioni sia quella delle Regioni sono una novità rispetto al Gruppo di lavoro precedente.

Il ruolo delle Associazioni è sempre stato forte e qualificato, tanto che nel corso del 2012 esse hanno costituito un «Osservatorio nazionale per definire gli standard di qualità dei percorsi di cura», che ha elaborato un decalogo di raccomandazioni che costituisce la base per un documento condiviso che verrà presentato anche alle istituzioni. Le Regioni sono poi le istituzioni che concretamente assicurano la programmazione e l’organizzazione dei servizi, in un quadro di garanzie e di diritti nazionale.
Occorre sviluppare, anche in questo campo, un federalismo solidale, promuovendo la massima collaborazione delle Regioni con lo Stato e tra di esse; dalla rete regionale di assistenza dipende l’offerta e l’organizzazione dei servizi, come pure il primo monitoraggio delle attività svolte da tali reti. Per questo motivo è stata costituita la rete dei Referenti regionali per le Associazioni dei familiari al fine di contribuire a promuovere, a livello nazionale e regionale, adeguate forme di consultazione con le Associazioni dei familiari dei pazienti in S.V.

Il senso di questa composizione è chiaro: mettere tutti gli attori interessati a confronto, trovare insieme soluzioni praticabili, sostenere l’effettiva attuazione di quanto previsto dai precedenti documenti e atti. Al Tavolo potranno essere invitati altri esperti e operatori che per ragioni di contenimento del numero di partecipanti non sono stati inseriti quali componenti, ma sulla cui competenza e passione sappiamo di poter contare.

Al Tavolo sono stati dati indirizzi molto concreti. Tra questi, ricordiamo quello di promuovere l’aggiornamento delle conoscenze epidemiologiche circa i bisogni di salute e l’offerta dei servizi; di proporre modalità per l’integrazione dei dati raccolti con i flussi informativi esistenti dell’assistenza ospedaliera, residenziale e domiciliare al fine di disporre di informazioni che consentano di seguire i percorsi assistenziali seguiti dai pazienti nei diversi setting di cura; di individuare un set minimo di indicatori specifici per il monitoraggio dell’accesso, dei processi, e dell’efficacia.

Il lavoro è iniziato da poco (27 novembre 2012) ma grazie al forte atteggiamento di collaborazione da parte di tutti ha già avviato diverse linee di attività, conoscitive, di proposta, di sostegno alle best practice.
Per quanto riguarda gli aspetti economici, anche quest’anno sono stati stanziati, nell’ambito degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale, 20 milioni di euro destinati al finanziamento di specifici progetti che assicurino la presa in carico dei pazienti in stato vegetativo; da quest’anno è stato introdotto un vincolo specifico di destinazione.

Con il decreto 18 ottobre 2012 in materia di tariffe per le prestazioni sanitarie, viene prevista per la prima volta una specifica remunerazione per i casi ad alta intensità assistenziale trattati sia in riabilitazione sia in lungodegenza con particolare riferimento anche ai pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza. Occorre però insistere anche sulla via maestra dell’assistenza a domicilio e della residenzialità extraospedaliera.

Auspico che questo lavoro proceda celermente, con rinnovata sinergia e conduca a concreti risultati in favore dei pazienti. Ringrazio tutti coloro che partecipano a questo lavoro, gli Uffici del Ministero, il coordinatore prof. Rossini, ma soprattutto ringrazio le migliaia di persone che ogni giorno nelle case, nelle strutture, nelle riabilitazioni, negli ospedali si prendono cura dei pazienti affetti da queste condizioni».

(Fonte: www.salute.gov.it)

 

2. No di Strasburgo al ricorso italiano sulla legge 40

12 febbraio 2013

Lo scorso 12 febbraio la Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) ha deciso di respingere il ricorso del governo italiano contro la sentenza con cui, il 28 agosto 2012, la stessa Corte aveva dichiarato «incoerente» il sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto degli embrioni. Per i giudici l’incoerenza nasceva dal conflitto di due norme, per cui se da un lato la Legge 40 non consente la diagnosi preimpianto, allo stesso tempo la Legge 194 autorizza l’accesso a un aborto cosiddetto «terapeutico» in caso il bambino sia affetto da una patologia.

Il panel della CEDU, composto dai giudici Dean Spielmann, Josep Casadevall, Mark Villiger, David Thór Björgvinsson ed Erik Mose, si è espresso negativamente riguardo al rinvio del caso Costa et Pavan contro Italia (54270/10) davanti alla Grand Chambre. Il ricorso del Governo italiano, depositato il 28 novembre scorso (quasi allo scadere dei termini per la presentazione), basava la domanda di riesame sulla necessità di «salvaguardare l’integrità e la validità del sistema giudiziario nazionale», non intervenendo invece «sul merito delle scelte normative adottate dal Parlamento né eventuali nuovi interventi legislativi».

Alla luce della sentenza del 12 febbraio, l’ex sottosegretario Eugenia Roccella ha fatto appello al ministro della Salute Renato Balduzzi affinché emani le linee guida, già pronte da un anno, in cui «sono richiamati i criteri già presenti nella Legge 40, in cui si afferma che ogni indagine clinica su ciascun embrione» deve essere «volta alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso». 

Paola Ricci Sindoni, vicepresidente vicario dell’associazione «Scienza & Vita», ha posto l’accento sulla deriva valoriale, evidenziando come «continuano a soffiare venti di relativismo, in un clima culturale, quello dell’Ue, che prosegue nel perpetuare modelli di tipo individualistico e libertario, cui è necessario opporre una valida riproposizione di valori antropologicamente fondati».

(Fonti: «Avvenire» e www.scienzaevita.org)

 

3. «OKkio alla salute»: cala obesità infantile, ma situazione ancora grave

20 febbraio 2013

Dal 2008 a oggi sono diminuiti leggermente i bambini di 8-9 anni in sovrappeso e quelli obesi, ma l’Italia resta ai primi posti d’Europa per l’eccesso ponderale infantile. Sono ancora troppo frequenti tra i piccoli le abitudini alimentari scorrette, come pure i comportamenti sedentari, anche se aumentano, sia pur di poco, i bambini che fanno attività fisica.

È questa la fotografia scattata nel 2012 dal Sistema di sorveglianza «OKkio alla salute», promosso dal Ministero della Salute e dal CCM (Centro per il Controllo e la prevenzione delle Malattie), nell’ambito del programma strategico «Guadagnare salute – Rendere facili le scelte salutari». I dati sono stati presentati il 20 febbraio.

La rilevazione, che è a carattere biennale ed è alla terza edizione, ha coinvolto 46.492 bambini appartenenti a 2.623 classi terze della scuola primaria. Dai dati 2012 risulta che il 22,1% dei bambini di 8-9 anni è in sovrappeso rispetto al 23,2% del 2008/09 (-1,1%) e il 10,2% in condizioni di obesità, mentre nel 2008/09 lo era il 12% (- 1,8%). Complessivamente, dunque, nel 2012 l’eccesso ponderale riguarda il 32,3% dei bambini della terza elementare (-2,9% rispetto alla prima rilevazione).

Le percentuali più elevate di sovrappeso e obesità si riscontrano nelle regioni del Centro-Sud: in Abruzzo, Molise, Campania, Puglia e Basilicata l’eccesso ponderale riguarda più del 40% del campione, mentre Sardegna, Valle d’Aosta e Trentino-Alto Adige sono sotto il 25%.

L’educazione alimentare resta cruciale: risultano ancora troppo frequenti tra i bambini le abitudini che possono favorire l’aumento di peso, specie se concomitanti. In particolare il 9% dei bambini salta la prima colazione e il 31% fa una colazione non adeguata (ossia sbilanciata in termini di carboidrati e proteine); il 67% fa una merenda di metà mattina troppo abbondante; il 21% dei genitori dichiara che i propri figli non consumano quotidianamente frutta e/o verdura; il 43% consuma abitualmente bevande zuccherate e/o gassate.

I valori dell’inattività fisica e dei comportamenti sedentari mostrano un piccolo miglioramento, pur rimanendo elevati: il 16% dei bambini pratica sport soltanto per un’ora a settimana o anche meno, rispetto al 25% del 2008-9; il 17% non ha fatto attività fisica il giorno precedente l’indagine (quattro anni prima erano il 26%); il 42% ha la TV in camera (-6%), il 36% guarda la TV e/o gioca con i videogiochi per più di 2 ore al giorno (-11%) e solo un bambino su 4 si reca a scuola a piedi o in bicicletta.

Sovrappeso, obesità e stili di vita non salutari rappresentano una sfida rilevante per la sanità pubblica. In particolare, la loro diffusione tra i bambini è preoccupante in quanto predittori di future condizioni di salute sfavorevoli, considerando l’attuale quadro epidemiologico caratterizzato dall’alta prevalenza delle malattie cronico-degenerative. A ciò si aggiunge il fatto che i genitori non sempre sono consapevoli dei problemi relativi al peso dei propri figli: tra le madri di bambini in sovrappeso o obesi, il 38% non ritiene che il proprio figlio sia in eccesso ponderale.

Questi risultati sottolineano la necessità di investire ancora di più nella prevenzione per ridurre le disuguaglianze e i costi sanitari e sociali.

(Fonte: www.salute.gov.it)

4. Il cervello non ha età: i neuroni sopravvivono all’organismo

26 febbraio 2013

I neuroni di alcuni mammiferi possono vivere più a lungo dell’organismo che li ha generati. Il limite della loro esistenza, dunque, non sarebbe scritto nei geni. In pratica il cervello può sopravvivere al corpo. È la conclusione raggiunta – dopo un esperimento che ha richiesto oltre cinque anni di lavoro – da Lorenzo Magrassi, professore di Neurochirurga dell’Università di Pavia che lavora presso la Fondazione Policlinico S. Matteo e l’Istituto di Genetica Molecolare del Cnr di Pavia, insieme al professor Ferdinando Rossi e Ketty Leto, neurofisiologi del NICO (Istituto di Neuroscienze della Fondazione Cavalieri Ottolenghi presso l’Università di Torino). Lo studio è pubblicato su «Pnas», la rivista dell’Accademia delle Scienze Usa.

Nei mammiferi i neuroni vivono per l’intera esistenza dell’individuo, in assenza di malattie neurodegenerative. Non era ancora chiara alla scienza, però, la durata dei singoli neuroni e se il limite della loro vita sia geneticamente determinato, legato cioè alla sopravvivenza degli individui tipica di ogni specie: ad esempio 20 anni per un gatto, 120 per l’elefante. In questo caso gli sforzi per prolungare la vita media dell’uomo sarebbero resi inutili dall’inevitabile invecchiamento del cervello. Ora lo studio dei ricercatori italiani offre una prima risposta alla questione.

L’esperimento ha previsto il trapianto di neuroni in fase embrionale prelevati dal cervello di un embrione di topo – con vita media di circa un anno e mezzo – in quello di un ratto, una specie con vita media più lunga, circa tre anni (il doppio rispetto al donatore). Le cellule trapiantate si sono sviluppate in neuroni cerebrali, integrandosi nel cervello del ratto, pur mantenendo le dimensioni lievemente più piccole tipiche topo donatore. Inoltre i neuroni di topo non sono morti circa un anno e mezzo dopo il trapianto – come sarebbe successo se fossero rimasti nel topo, essendo questa la durata media della vita dei topi utilizzati – ma sono sopravvissuti tre anni, fino alla morte naturale del ratto in cui sono stati trapiantati.

I risultati suggeriscono quindi che la sopravvivenza dei neuroni trapiantati non è geneticamente fissata, ma può essere determinata dal microambiente del cervello dell’organismo ospite. Considerando le differenze di specie, i risultati dell’esperimento suggeriscono che – ammessa una vita media di ottant’anni – fino a centosessant’anni non ci sarebbero problemi di sopravvivenza dei neuroni.

Questa scoperta contraddice dunque l’opinione diffusa che aumentare la vita media degli individui può essere inutile in quanto i neuroni – anche in assenza di patologia – morirebbero, riducendo chi sopravvive oltre una certa età a una vita priva di facoltà cognitive. Il lavoro di Magrassi, Leto e Rossi dimostra invece che l’ambiente in cui i neuroni vengono a trovarsi modula la loro sopravvivenza che, almeno entro i limiti studiati, non è determinata geneticamente.

I risultati indicano che i fattori presenti nel microambiente in cui le cellule sono state trapiantate contribuiscono a mantenere in vita i neuroni, indipendentemente dall’età raggiunta. Identificare questi fattori mediante nuovi esperimenti aprirebbe la strada per nuove terapie, anche nel caso di malattie neurodegenerative che conseguono alla morte precoce dei neuroni in aree specifiche del cervello.

(Fonte: http://www.pnas.org/content/early/2013/02/19/1217505110.abstract) 

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