Terza Assemblea dell’Agora Sociale, “ricostruiamo il Welfare dal basso”* Convegno promosso dalla Diocesi. Intervista a don Paolo Fini, delegato Arcivescovile per l'Area Sociale
12 Novembre 2018È sempre accaduto, le opere sociali della Chiesa (gli ospedali, le scuole, gli oratori) hanno sempre aperto strade innovative nella lotta contro la povertà e la malattia. Ecco perché sabato 17 novembre (per il programma del convegno) la Chiesa torinese sente di poter invitare a convegno tutte le massime istituzioni e i responsabili del volontariato di Torino e dintorni, in un’assemblea (l’«Agorà del Sociale», Centro Congressi Santo Volto, via Borgaro 1, ore 9-13) che pungoli sulle innovazioni possibili nel Welfare del nuovo millennio. Sono attesi, tra gli altri, il presidente della Regione Chiamparino e il sindaco di Torino Appendino.
Don Paolo Fini, delegato dell’Arcivescovo Nosiglia per l’Area Sociale della Diocesi, è responsabile di questa nuova sessione dell’Agorà Sociale, la terza dopo quelle già dedicate al Lavoro (2016) e ai Giovani (2017).
Don Fini, cosa significa innovare il Welfare?
Per molti decenni l’assistenza pubblica è stata grandemente sostenuta dalle finanze e dalle strutture dello Stato, ma oggi lo Stato è in crisi: sta tagliando bilanci e risorse economiche, sta riducendo le strutture e i servizi alla persona. Chiunque comprende l’assoluta urgenza di modelli organizzativi nuovi, con risorse nuove.
Quali risorse?
Il territorio. Le comunità civili ed ecclesiali. I corpi sociali (come le parrocchie e le associazioni). Le iniziative che salgono dal basso sono spesso viste come «destinatarie» delle risorse pubbliche, invece dovrebbero essere considerate «titolari» di quelle risorse: sono i protagonisti di un nuovo Welfare di comunità, creativi, leggeri, capaci di innovare. La sfida è farli entrare nel cuore delle istituzioni che assumono le decisioni.
Cosa occorre fare?
Inaugurare un tempo di grande ascolto del territorio: ci permetterà di scoprire l’immensa ricchezza di idee e di partecipazione nelle realtà locali. È esattamente questo il proposito dell’Agora del Sociale: promuovere i territori, e le loro diversità ascoltare la voce di chi si sta ingegnando per affrontare le emergenze sociali di questa nostra epoca. La sensibilità della Chiesa parte ovviamente da ciò che si muove attorno alle parrocchie e al volontariato ecclesiale, ma il tempo dell’ascolto e dello stupore vale per tutte le realtà, ecclesiali e civili.
L’Assemblea di sabato 17 chiede insomma di aprire gli occhi sulle forze in campo?
Il metodo dell’Agorà, fortemente voluto dall’Arcivescovo, è sempre lo stesso: favorire l’incontro e la conoscenza fra i soggetti che operano attivamente nella società, mettere in rete le istituzioni, gli operatori economici e il privato sociale. Sabato saranno presentati e discussi i frutti di un primo lavoro di analisi e proposte condotto in sei mesi da quattro gruppi tematici su carità (coordinatore Pier Luigi Dovis), salute (Ivan Raimondi, il sottoscritto don Fini), lavoro (Alessandro Svaluto Ferro) e migranti (Sergio Durando). Questa terza assemblea dell’Agorà è una tappa importante verso un momento ecclesiale che, come aree del Sociale, proporremo nella primavera 2019.
Esiste uno stile comune delle azioni che nascono dalle comunità cristiane?
Mi sembra che tutte esprimano spontaneamente, di fatto, le ispirazioni di fondo dell’Agorà: mettere
al centro la persona; dar voce alle comunità e al territorio; superare l’assistenzialismo a vantaggio
di una solida promozione e accompagnamento degli individui, perché possano rendersi liberi e responsabili.
Quali caratteristiche avrà l’assemblea del 17 novembre?
Sarà un assemblea viva e connessa costantemente con le realtà della città e della diocesi , un modo di ascoltarci, di conoscere buone pratiche, di sollecitare le istituzioni, di condividere attese e speranze. Vogliamo come Chiesa di Torino renderci corresponsabili delle sorti dei vari territori e promuovere un tessuto sociale che accolga, tuteli, includa, promuova e soprattutto restituisca dignità in ogni azione.
* Articolo di Alberto Riccadonna, tratto da «La Voce e il Tempo» dell’11 novembre 2018, pp. 2-3.